Spesso sentiamo di parlare di soft skill. Soft skill qua, soft skill là, percorsi per sviluppare le soft skill del momento e via discorrendo. Rispetto a una decina di anni fa, ma anche meno, queste caratteristiche hanno visto aumentare la loro importanza sia durante le fasi di colloquio, ma anche durante l’inserimento in azienda e lungo tutto il percorso professionale all’interno di una realtà.
Cosa sono le soft skill?
Come recita Adecco, le soft skill potrebbero essere tradotte in italiano come le “abilità personali” e, aggiungerei, trasversali. In particolare, il concetto dietro al termine anglofono Soft Skill fa riferimento a tutte quelle competenze legate all’intelligenza emotiva, alle abilità naturali che ogni individuo ha. Più in generale, sono contrapposte alle competenze tecniche di un dato lavoro e/o settore. Se da un lato troviamo le hard skill, specifiche per ogni settore e ruolo, come il disegno tecnico, la gestione delle reti, la capacità di sviluppare le paghe, dall’altro troviamo le soft skill, competenze più trasversali, importanti a tutti i livelli e settori, ad esempio la gestione del tempo, lo spirito critico, la capacità di lavorare in team, le capacità manageriali…
Perché sono così importanti?
Le soft skill hanno una valenza di rilievo in una persona, in un candidato e in un dipendente, perché il lavoro sta diventando sempre più complesso. La sempre più spinta digitalizzazione, l’apparizione di nuovi ruoli e mansioni e la scomparsa di altri, le acquisizioni, le dimensioni aziendali, il lavoro da remoto, la globalizzazione. Solo qualche esempio per spiegare che probabilmente lo stesso lavoro svolto oggi è molto differente rispetto a quello di venti, trenta, ma forse anche solo di cinque anni fa. Basti pensare alle innovazioni e automazioni, alle procedure gestibili online, alle app…
Il lavoro è diventato ‘liquido’ e ‘fluido’ sia in termini di attività che di tipologie e tempi. Quando si cerca uno specialista con esperienza le competenze sono quasi date per scontate. Chiaramente vengono testate ed approfondite, ma anche l’aspetto più caratteriale e psicoattitudinale ha un peso molto elevato. Nei confronti di una figura junior o senza esperienza, si predilige spesso l’attitudine.
Per parafrasare le parole che ho spesso sentito dire un responsabile con la quale ho il piacere di collaborare, è meglio avere un lavoratore che sa fare il suo lavoro, magari con qualche punto da approfondire, ma che si integra bene in un gruppo ed è disponibile, rispetto a un genio del mestiere, ma ingestibile. Ovviamente questo non vale nel 100% dei casi, ma in una buona maggioranza sì.
Qualche esempio
Gestire le persone all’interno di un’azienda (ma lo stesso potrebbe dirsi per una realtà sportiva, un’associazione, una cooperativa…), non solo come reparto HR, ma anche come responsabili e come collaboratori, è un’attività delicata che ha necessità di giusti equilibri. Ogni azienda poi ha le sue caratteristiche e i suoi valori ed è essenziale trovare delle persone allineate al mood aziendale.
Per fare qualche esempio, una realtà dove il lavoro è gestito da squadre sarà importantissimo saper collaborare, lavorare in gruppo e comunicare. In realtà, invece, molto spinte verso l’innovazione e verso tutto ciò che è nuovo e futuristico si cercheranno persone con una visione innovativa, come capacità di growth thinking, con propensione al cambiamento. In ultimo, in una realtà che opera con soggetti fragili, saranno essenziali skill come empatia, capacità di ascolto, pazienza e attenzione.
Le soft skill del futuro
A mio modestissimo parere le soft skill che andranno per la maggiore nei prossimi anni, oltre a quelle più diffuse, saranno:
- empatia
- gentilezza
- curiosità
- creatività
- resilienza
Perché penso a queste? Perché il mondo del lavoro sta cambiando ed è cambiato, perché le aziende si sono accorte che, oltre alla paga, ci vuole altro, perché le persone hanno iniziato a valutare cosa vogliono davvero, a dare un peso sempre più elevato al benessere sul luogo di lavoro e nella vita, oltre al famoso work-life-balance. Basti pensare a quanto è capitato e sta capitando in questi due anni, accresciuto dalla pandemia. Le priorità sono variate e le persone cercano aziende sempre più umane, così come le aziende – o perlomeno una buona parte – cercano anche buone persone, non soltanto buoni tecnici, contabili, ecc.
Concludendo, in un mondo dove siamo spinti al cambiamento (perché la vita è una sola, perché c’è la costante volontà di crescere e migliorarsi, ma anche perché spesso i contratti offerti sono a scadenza, un po’ come il mio amato yogurt Vipiteno) il mio unico augurio è quello di essere curiosi, flessibili, aperti a quello che verrà, mantenendo vivo il lato umano che ci caratterizza.
Qualche piccolo spunto pratico per restare aperto e pronto al cambiamento lo puoi trovare qui.