Ciao Valentina, grazie per la disponibilità. Ci parli un po’ di te e del tuo percorso professionale?
Grazie mille per avermi invitata a condividere il mio percorso. Attualmente mi occupo di sviluppo di carriera e talent management presso un fondo delle Nazioni Unite. Se al momento posso confermare di sentirmi nel mio posto, questa sensazione non ha caratterizzato gli ultimi 7 anni della mia vita. Il file rouge del mio percorso è la passione per le lingue e un amore immenso per la commistione tra culture. A parte questo, ho cambiato il lavoro dei sogni diverse volte, passando da ambasciatrice in Germania, una nazione che amo tantissimo, fino all’interprete. Il mio è quel percorso che i recruiter definirebbero come “non lineare”. Ho iniziato con una triennale in mediazione linguistica e interculturale, per poi proseguire con un master in interpretariato in lingua tedesca. Neanche quella sembrava essere la mia strada. Lo percepivo un ambiente troppo competitivo e non si allineava con il mio modo di vivere la vita e intendere il mondo del lavoro. Così, dopo il master ho proseguito con una laurea magistrale in Economia e Management Internazionale, con metà degli esami in lingua inglese. Ho proseguito poi la mia specializzazione in HR attraverso vari corsi gratuiti, un master di cui sono stata anche tutor e tanta formazione.
Risorse umane. Cosa ti ha spinta ad abbracciare questo ambito?
Durante la magistrale sentivo che stavo procedendo verso la giusta direzione, ma mi mancava ancora una meta definita. Questa illuminazione è arrivata mentre studiavo per un esame – l’unico dato da non frequentante, che casualità! – in Intelligenza Emotiva e gestione delle risorse umane. Lì, tutto ebbe un senso. Potevo unire la mia empatia e il desiderio di aiutare gli altri con uno dei miei principali talenti: trovare opportunità cucite sulle aspirazioni delle persone che mi stavano accanto. Dopo la laurea in Intelligenza Emotiva e gestione delle risorse umane nell’industry 4.0, non ho più abbandonato il mondo HR. Ho iniziato a pubblicare articoli per un blog del settore e poi ho deciso di dedicarmi al mio progetto personale More Human Resources.
Cosa significa lavorare in UNFPA?
Lavorare con il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione significa contribuire al raggiungimento di 3 obiettivi fondamentali:
- porre fine alla violenza di genere,
- favorire la salute riproduttiva di donne e giovani,
- impedire che altre donne muoiano come conseguenza del parto.
Anche se non sono nel field a gestire programmi, lavorare nelle risorse umane mi permette di prendermi cura dello sviluppo di carriera delle persone che lavorano nelle varie regioni del mondo. Quindi, analizzare i bisogni di sviluppo specifici per diversi ruoli e definire programmi ad hoc è comunque un’attività di grande valore, perché permette all’organizzazione di raggiungere in modo più efficace gli obiettivi citati.
Ci racconti qualcosa in più sul tuo progetto personale More Human Resources?
Il progetto More Human Resources è nato in un periodo molto difficile del mio percorso professionale. Mi sono laureata a marzo 2020 e il momento storico era molto particolare, di sicuro non il più favorevole per trovare uno stage. Così, ho cercato di fare di questa frustrazione qualcosa di utile. Avevo tantissime risorse a disposizione sul mondo della formazione e del lavoro, grazie al mio tirocinio curriculare svolto durante la magistrale come editrice di un sito che si occupava di aiutare i giovani a trovare opportunità di lavoro e corsi in Italia e all’estero.
Mentre cercavo di focalizzare il mio obiettivo di carriera, volevo dare un senso a quel periodo lavorando sulla mia mission, che è quella di migliorare il livello e la qualità dell’informazione dei giovani sul mondo del lavoro, far conoscere loro le diverse opportunità a disposizione e accompagnarli in questo viaggio alla scoperta di sé. Da questa missione, a novembre 2020 è nato More Human Resources, una pagina Instagram su cui condivido opportunità di formazione, borse di studio, offerte di stage e lavoro, percorsi di sviluppo delle soft skill, e non solo. Essendo oggi una professionista HR in organizzazioni internazionali, una parte dei contenuti è dedicata a rendere più comprensibile il lavoro in realtà che spesso intimoriscono.
Il progetto More Human Resources nasce poi da una promessa di tanti anni fa: contribuire, nelle mie possibilità, a far in modo che nessun giovane debba rinunciare al proprio obiettivo di carriera soltanto perché non ha le risorse per raggiungerlo da sé. Un’altra parte fondamentale della mia attività di informazione è legata a consigli pratici sulla stesura del CV e della lettera motivazionale. Tutto risponde all’obiettivo di aiutare i giovani che mi seguono a sviluppare un’idea più chiara sul mondo del lavoro e avviare la loro carriera con più consapevolezza di sé e delle opportunità a loro disposizione.
Perché scegliere di fare un’esperienza di volontariato in Italia e/o all’estero?
Che il nostro obiettivo sia quello di lavorare all’estero o restare in Italia, svolgere un’esperienza di volontariato online o in sede significa iniziare a uscire dal mondo della formazione per inserirsi in quello professionale. Perché intendo esperienze di volontariato come esperienze di lavoro? Perché attraverso queste attività siamo in grado di capire come si comunica all’interno di un team, come possiamo gestire il tempo per raggiungere un determinato output e in che modo definiamo il nostro ruolo all’interno di un’organizzazione. Queste sono le differenze principali con la formazione universitaria che, sebbene di grande valore, credo sia ancora più valida se completata da esperienze di questo tipo.
Le soft skill che apprendiamo attraverso un’attività di volontariato, che sia all’estero o dal nostro divano, ci faranno vivere la prima esperienza di stage o lavoro in maniera molto più consapevole. Il volontariato è uno degli argomenti che tratto più spesso sulla pagina, proprio perché ritengo che sia di grande valore. La mia esperienza con il volontariato risale al liceo, quando iniziai a fare la volontaria con la Protezione Civile del mio paese perché sapevo che mi avrebbe dato CFU utili. Quello che non sapevo, però, era quanto di me avrebbe cambiato e migliorato in qualità di individuo.
Un altro elemento che vorrei condividere su questo argomento è l’importanza del networking che esperienze simili possono aiutarci a costruire. Probabilmente molti giovani non lo sanno, ma almeno il 70% della ricerca di lavoro dovrebbe essere costituita da attività di networking. Questa è spesso una delle ragioni per cui inviare il CV non ci fa ottenere i risultati sperati. Se solo qualcuno me lo avesse detto 2 anni fa mentre mi chiedevo cosa non andasse in me, dato che nonostante un percorso accademico di eccellenza non trovavo un’opportunità di stage! Questa riflessione mi ha portata a sviluppare una guida sul networking per lo sviluppo di carriera, disponibile gratuitamente sulla pagina.
Quali sono i primi passi da muovere per una carriera internazionale?
Una carriera internazionale può essere tante cose: lavorare in lingua inglese con un’azienda multinazionale in Italia, trasferirsi all’estero, lavorare da remoto presso un’organizzazione internazionale, ecc. Il primo consiglio che posso dare è quello di fare un’analisi del proprio obiettivo professionale di breve e medio termine e preparare su questo un piano di carriera. Il piano deve essere elaborato attorno a una SWOT analysis che ci aiuti a individuare le nostre aree di forza, quelle in cui possiamo migliorare, eventuali sfide dall’ambiente esterno e opportunità a nostra disposizione. In base a questo, possiamo poi decidere quale di questi diversi contesti fa per noi. Ricordandosi che il piano di carriera cambia in base a come si evolvono i nostri bisogni, ci sono delle competenze o requisiti comuni per lavorare nei vari scenari indicati prima. Ad esempio, avere una buona conoscenza delle lingue, almeno dell’inglese. Anche sulle questo, fare una ricerca di quelle più richieste dal contesto di interesse è molto rilevante. Se so che per lavorare con l’Unione Europea il francese è quasi sempre richiesto, incrementare le conoscenze di questa lingua mi aiuteranno ad avere un ventaglio maggiore di opportunità a cui candidarmi. In merito a questo, qualche tempo fa ho pubblicato un reel sulla differenza tra i requisiti per entrare nel mondo dell’ONU e nelle istituzioni europee. Qual è il messaggio? Se continuo a puntare su una direzione che non è (ancora) la mia, non posso pretendere un risultato diverso nel breve termine. E’ un po’ quello che cercavo io subito dopo la laurea. Mi candidavo soltanto per posizioni HR con agenzie per il lavoro, e avevo bisogno che fossero da remoto. Per un anno non sono riuscita a ottenere uno stage. Il problema non ero io, ma il contesto in cui mi candidavo, in cui le mie competenze di comunicazione interculturale, la conoscenza delle lingue e la formazione internazionale non erano utili all’agenzia. Nel momento in cui ho iniziato a candidarmi per le realtà che cercano questo tipo di background, allora le cose sono iniziate a cambiare.
Quindi, per concludere: prenditi il tempo di capire cosa cerchi, fare un bilancio di competenze e/o interessi, capire come questi possono tradursi in attività lavorative e candidati per i contesti in cui il tuo profilo aggiunge valore. Datti tempo. Per trovare il mio primo stage nell’ONU ci è voluto un anno e 163 candidature in cui ho ricevuto un “NO” come risposta. Prendi questi feedback e valorizzali per capire se hai bisogno di specializzare la tua formazione in una funzione precisa o per rendere più efficace il modo in cui ti presenti tramite CV, cover letter e interazioni sui social. Ricorda che il NO è rivolto al tuo profilo per quella posizione specifica e in quel momento definito. Non è un rifiuto nei confronti della tua persona. Questo è importantissimo da ricordare!
Una convinzione che molti neolaureati e neolaureate hanno sulle carriere internazionali è che avere una laurea in relazione internazionali sia l’unica cosa che conta. In realtà, questo ci allinea con il contesto, ma non necessariamente con la posizione. A meno che tu non lavori in ambiti di ricerca, le funzioni in cui ti inserirai sono molto specializzate, come legal, HR, marketing, strategic partnership e molto altro. Ecco perché è importante iniziare ad acquisire competenze pratiche attraverso tirocini, esperienze di volontariato, collaborazioni o progetti personali in quel particolare ambito.
Un consiglio che daresti a chi si è appena laureato e cerca di inserirsi nel mondo del lavoro.
Oltre a quello di seguire la mia pagina e gli altri progetti di content creator in ambito Risorse Umane o nel settore specifico per cui si cercano opportunità, il mio consiglio più grande è informarsi. Questa per me è la parola chiave. Innanzitutto, partire dal conoscere le posizioni a cui puoi candidarti grazie al tuo percorso di studi. Le università stanno iniziando a mettere in atto opportunità di mentoring, placement e altre occasioni di confronto con chi è già inserito nel mondo del lavoro. A questo si aggiunge il nostro approccio più mirato. Ad esempio, se ho una laurea in relazioni internazionali e non so a quali posizioni candidarmi oltre alle più note, posso visitare i portali del lavoro, cercare “relazioni internazionali” e scoprire che dal candidarmi soltanto presso ambasciate, di fatto posso ricoprire posizioni in ambito HR, legal, comunicazione, ricerca, analisi dati, relazioni istituzionali e molto altro ancora. Questo vale per tanti altri percorsi che ci offrono una base di conoscenze molto ampia, che poi possiamo imparare indirizzare verso un percorso specifico. Una volta individuate le principali posizioni che mi interessano, il secondo step può essere quello di cercare su LinkedIn persone che svolgono quella posizione per capire di cosa si occupano in concreto, connettersi con loro e trovare dei role model o mentor che ci possano fornire gli strumenti e le conoscenze utili su quel settore particolare, che avrà le proprie caratteristiche e peculiarità difficili da captare se non lo viviamo dall’interno.
Faccio un esempio pratico: per lavorare in HR presso le aziende oggi la combinazione triennale più master sembra essere quella più efficace. Questo però non è necessariamente il caso di una persona che vuole lavorare in organizzazioni internazionali, perché il nostro master non è equiparato a una magistrale per il sistema UN. Questi consigli e informazioni sono qualcosa che soltanto chi lavora nel settore conosce. Ecco perché da poco ho iniziato anche la rubrica “Ti spiego il lavoro con le Nazioni Unite” e ho reso disponibile sul profilo una guida gratuita su come lavorare nell’ONU. Per la stessa ragione, quando dei giovani mi chiedono come iniziare a lavorare in settori che non conosco, come ingegneria o finance, li rimando alle creator che si occupano proprio di questo. Da candidati, non possiamo imparare a conoscere un settore in un mese, ma quello che possiamo fare per iniziare a capire come funziona è proprio il networking.
A tuo avviso quali sono le soft skill più richieste nel mondo del lavoro di oggi?
L’elemento delle soft skill è fondamento per il mio progetto. Chiamarlo More Human Resources aveva l’obiettivo di far capire ai giovani quanto ciò che ci distingue, alla fine, è ciò che ci caratterizza come persone, il nostro lato umano. Non è un caso se attività di volontariato, collaborazioni e attività affini sono quello che consiglio ai giovani di sperimentare. Quando mi sono trovata a selezionare tirocinanti, quello che potevo utilizzare come fattore che mi permettesse di differenziare il profilo di un candidato dall’altro sono proprio queste attività a cui tendiamo a dare minore importanza. A volte è importante osservarci dall’esterno, come farebbero i recruiter e chiederci: Tolta la formazione tecnica simile per tanti candidati, su cosa possono basare la mia valutazione i recruiter? Cosa comunico di me? Il percorso di studi è sufficiente a definire chi sono come persona o il contributo che posso offrire come professionista? Ci sono altre attività, anche meno rilevanti, che mi hanno permesso di sviluppare skill rilevanti per il ruolo?
Soprattutto per figure junior, in cui i profili sono simili, puntare sulle soft skill quando abbiamo già un buon livello di competenze hard richieste dalla posizione può facilitare il lavoro dei recruiter e aiutarli a capire meglio chi siamo e che ruolo potremmo avere in quel contesto. Esperienze che hanno permesso ai candidati di sviluppare le capacità comunicative, stare in un team con persone di background differenti, allenare l’ascolto attivo o svolgere attività di in cui hanno dovuto imparare a gestire situazioni complesse e con problemi inaspettati sono alcuni di quei contesti che permettono alla persona di maturare consapevolezza di sé e del proprio stile lavorativo. È questo che si cerca: una persona che sia in grado di partire da ciò che è ed essere abbastanza aperta all’apprendimento continuo da crescere insieme al team di cui entra a far parte. Concludo ribadendo che oltre a queste competenze più trasversali e comuni al mondo del lavoro di oggi, è importante capire quali sono le soft skill core per la posizione lavorativa che desideriamo ricoprire.
Un libro da leggere almeno una volta nella vita.
Un libro che ha dato una nuova direzione alla mia prospettiva è “Lavorare con Intelligenza Emotiva” di Daniel Goleman, da cui è iniziato il mio amore per questo argomento e su cui si è basata la mia tesi di laurea. Per quanto questo libro sia stato illuminante, vorrei consigliarne uno che raccoglie tanti degli argomenti trattati nella nostra intervista e che si ritrovano spesso nel mio progetto: “Funzionare o esistere” di Miguel Benasayag. Il testo mi ha appassionata particolarmente, perché è davvero attuale. È una domanda per me esistenziale, in quanto spesso ci troviamo di fronte al dilemma di scegliere tra comportarci senza commettere errori e “funzionare” oppure vivere, accettando di poter sbagliare ed “esistere”, in tutta la nostra umanità.
Grazie davvero Valentina per aver condiviso con noi il tuo percorso, il tuo progetto More Human Resources e dei consigli molto utili e pratici da mettere in campo.
Alla prossima intervista di Giada’s Project