Enzo Passaro, formatore, esperto di public speaking e neurolinguistica, acceleratore di competenze relazionali e autore di ‘Easy Public Speaking’.
Buongiorno Enzo, ti ringrazio davvero molto per la tua disponibilità. Apprezzo molto i tuoi contenuti ricchi di qualità e mai scontati. Per chi non ti conoscesse, ti chiedo di raccontarci qualcosa in più su di te e sul tuo percorso professionale.
Buongiorno Giada e buongiorno al tuo pubblico! In aula mi piace presentarmi così: sono un docente e mi occupo in particolare dello sviluppo delle competenze delle persone attraverso gli strumenti essenziali della Neuro Linguistica che declino, in particolare, nell’efficientamento dei sistemi di relazione interpersonale e nella conduzione e moderazione di eventi. Più di recente ho sviluppato una notevole passione per la Neuro Leadership, arrivando ad essere uno degli undici trainer in Italia ad aver frequentato l’unico percorso formativo a tema organizzato da INNEL®, l’Istituto Nazionale di Neuro Leadership.
Ti descrivi con una definizione bellissima ‘artigiano della parola’. Da dove proviene questa espressione?
Proviene da un mio mentore, una persona che mi ha insegnato molto quando ero poco più che un apprendista in questo campo. Apprezzava molto la mia prontezza linguistica, la mia capacità di elaborare testi scritti o a voce in maniera molto rapida e coerente con il contesto o la richiesta. Era un uomo minuto, che amava il basso profilo, uno di quelli che si era fatto da solo: con una quinta elementare era arrivato ad essere HR Manager di una multinazionale da 13.000 dipendenti! Un giorno mi disse proprio così:
«Enzo, tu sei un artigiano della parola»
e da allora lo porto con me per il senso del “fare” che avvolge.
Dove hai scoperto l’amore per il public speaking e la neurolinguistica?
Parlo in pubblico, come racconto anche nel mio libro “Easy Public Speaking” edito da Zandegù, da quando il parroco dell’oratorio che frequentavo da piccolo mi affibbiò, letteralmente, il microfono e mi intimò di condurre la tombola natalizia che organizzava per i genitori e i nonni di noi ragazzi. Rimasi allo stesso tempo spaventato e affascinato da quella situazione che le circostanze mi hanno permesso di rivivere e riscoprire fino a quando ho deciso di frequentare corsi specifici. Tra questi, e non poteva essere altrimenti quando si ha a che fare con questa materia, ne ho seguiti parecchi sulla Programmazione Neurolinguistica e sull’applicazione dei linguaggi nei diversi contesti e attraverso i vari mezzi di cui disponiamo. È stata proprio l’acquisizione delle cosiddette competenze trasversali, le soft skills, a stimolare la svolta professionale verso la formazione e quindi, inevitabilmente direi, verso il mondo complesso ed affascinante delle Risorse Umane.
Parlare in pubblico crea spesso qualche preoccupazione. Cosa serve per acquisire maggior sicurezza e consapevolezza?
Serve innanzitutto uscire dal falso messaggio secondo il quale sia possibile gestire le emozioni, ansia e preoccupazioni comprese. Le emozioni, infatti, precedono dal punto di vista neurale qualsiasi approccio logico tentiamo di applicare. Inoltre, le stesse emozioni rappresentano il nostro vero “sé” la nostra natura, ed è quindi controindicato rinnegarla, magari fingendosi qualcun altro o qualcos’altro. Piuttosto, suggerisco ai miei corsisti di rivelare come si sentono e cosa provano in apertura di un discorso per liberare la tensione che avvertono e darle così una forma più empatica che le persone in platea accolgono con favore proprio perché, a parti invertite, avvertirebbero le medesime sensazioni! Più in generale, teniamo bene a mente che si tratta di un’esperienza già fatta chissà quante volte da piccoli, a scuola, in famiglia o tra amici.
Che ruolo hanno le emozioni in una interazione?
Le emozioni sono il sale di qualsiasi interazione. Dal punto di vista semantico le parole “emozione” e “motivo” hanno la stessa base: si parla di qualcosa che viene da dentro ed esce, naturalmente e spontaneamente, in tutti e tre i livelli della comunicazione umana. Il nostro linguaggio del corpo, la nostra voce e le nostre parole sono lo specchio fedele di ciò che stiamo provando, del “cosa” stiamo dicendo alla persona davanti a noi e di ciò che le arriva per primo, ovvero il “come”. Un buon livello di consapevolezza emotiva, che chiunque può allenare o approfondire, è la premessa indispensabile per avere interazioni efficaci, in grado di portare beneficio ai diversi attori sul palco e di conseguenza all’intera organizzazione.
A tuo avviso come si coniugano la neurolinguistica e il public speaking con le Risorse Umane?
Per rispondere alla tua domanda, basterebbe pensare alle riunioni interne in cui siamo chiamati a presentare un progetto o quando dobbiamo negoziare con altre figure un accordo, una soluzione o un possibile compromesso. In questi casi e in tutte le interazioni possibili entrano in gioco abilità relazionali come l’ascolto attivo, le domande aperte e chiuse, i feedback di qualità, l’utilizzo di parole assertive che sostituiscano tutti quei vizi verbali che ci portiamo dietro come un fardello, la calibrazione e il modellamento dei linguaggi nel rispetto della personalità propria e altrui, i toni di voce empatici, una prossemica adeguata, la lettura del linguaggio non verbale di chi abbiamo di fronte e la gestione corretta del nostro.
Chi si occupa di Risorse Umane è in una condizione di costante scambio perché riceve tantissime informazioni e richieste che deve rielaborare costantemente in funzione della specificità della persona o delle persone con cui si confronta. Inoltre, ha una molteplicità di livelli di interazione visto che il ruolo fa da trait d’union tra posizioni apicali e secondarie, tra manager e i più svariati livelli gerarchici. Diventa quindi indispensabili possedere quell’ampiezza espressiva, quella cassetta degli attrezzi relazionale dalla quale prendere la chiave di interpretazione corretta di ciò che arriva e di ciò che più funzionale restituire. Questo può accadere sia in dinamiche one-to-one e sia in una riunione. In questo secondo caso è auspicabile avere competenze retoriche adeguate a farsi comprendere, apprezzare e, perché no? seguire visto che alla figura di speaker associamo istintivamente quella di leader in una dinamica che ha radici etologiche prima ancora che antropologiche.
Sei co-fondatore di Speaker Social Club, un gruppo Facebook dove poter migliorare le proprie competenze nel public speaking. Da dove nasce l’idea? Chi può accedervi?
Un gruppo Facebook che in realtà nasce su… LinkedIn! Eh sì, perché il bello di LinkedIn, se vi si approccia correttamente e lo si frequenta nell’ottica della divulgazione e dello scambio di contenuti di valore, è la quasi matematica certezza di intercettare professionalità e occasioni che altrove non troveremmo. A me è capitato: un giorno Antonella Brogi, quella che sarebbe diventata nel breve volgere di qualche settimana la mia #partnerincrime, mi manda un messaggio nel bel mezzo della piena pandemia, ci vediamo in una delle tantissime call che abbiamo fatto all’epoca e partiamo con il progetto Speaker Social Club. In pochi mesi abbiamo prima creato uno spazio dove imparare a parlare con e per il pubblico grazie innanzitutto a un test che permette di comprendere subito quale dei tre percorsi disponibili è il più adatto alle proprie esigenze; poi abbiamo accolto e stiamo accogliendo le curiosità, i video e le richieste di chi ha chiesto e ci chiede di entrare nel gruppo Facebook, un gruppo esclusivo e non escludente come ci piace definirlo, facendone semplicemente richiesta; inoltre, aperto un profilo Instagram dove carichiamo contenuti brevi sì, ma di facile ed immediata applicazione; infine, non poteva essere altrimenti, siamo tornati dove tutto era partito, su LinkedIn, con un profilo in cui divulghiamo contenuti più articolati e anche più sfidanti. Il tutto, ovviamente, rigorosamente targato e in stile Speaker Social Club!
Quali sono gli aspetti dell’essere un formatore che ti motivano maggiormente?
C’è un aspetto, oserei dire l’aspetto per antonomasia: la Persona (e la maiuscola non è un errore di battitura!). Tutte le volte che entro in un’aula scolastica o aziendale, infatti, il mio obiettivo è uno: migliorare l’autoconsapevolezza degli individui e delle organizzazioni partendo proprio dalla Persona, dalle sue esigenze e dal suo desiderio di miglioramento. Senza la Persona non c’è prodotto o strategia che tenga e senza miglioramento dell’individuo non c’è miglioramento sistemico del gruppo, piccolo o grande che sia.
Un libro da leggere almeno una volta nella vita.
Accidenti, solo uno? Va bene! Allora, suggerisco un grande classico che forse abbiamo letto da piccoli, ma che letto da adulti ci dà tutta un’altra visione della vita e del mondo: Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry. Un libro, peraltro, lungo il quale l’autore dissemina perle di neurolinguistica che ancora oggi mi chiedo se conoscesse o meno!