Giovanni Tavaglione coach e founder I.R.A. per Giada's Project

L’ascolto per motivare e cambiare – Intervista a Giovanni Tavaglione, coach e fondatore di I.R.A.

Giovanni Tavaglione, coach internazionale con 23 anni di esperienza, fondatore e direttore di I.R.A. – Inner Rainbow Academy, autore, editore e partner del Team Petrosyan, dove in particolare supporta il campione del mondo Giorgio Petrosyan per la preparazione mentale ai match.

Giovanni Tavaglione coach e founder I.R.A. per Giada's Project
Giovanni Tavaglione coach e founder I.R.A. per Giada’s Project

Ciao Giovanni, grazie per la disponibilità, è un piacere e un onore poterti intervistare. Per chi ancora non ti conosce, puoi raccontarci qualcosa in più su di te e sul tuo percorso?

Piacere mio Giada! Grazie mille a te per l’intervista!

Il mio percorso nasce dall’amore totale per ciò che ho la fortuna di poter fare e che ho sempre sognato: aiutare le persone ad ascoltarsi e a valorizzare il proprio talento in azienda, nello sport e nel sociale. Per riassumere potrei dirti che il mio percorso sembra un vaso kintsugi dove ho imparato ad incollare le crepe con il materiale più prezioso che conosco: l’ascolto! Ho una donna meravigliosa che è sempre al mio fianco insieme ai nostri 5 figli. Amo allenarmi marzialmente al mattino presto per prendermi cura del corpo con una delle più grandi passioni della mia vita: le arti marziali! Il tempo della giornata mi vola e mi rendo conto che, con il passare degli anni, la luce negli occhi aumenta: secondo me un termometro fondamentale per monitorare la nostra salute!

Ho letto che fin da bambino sei sempre stato interessato all’ascolto e all’aiuto del prossimo. Ti immaginavi già allora che saresti diventato il professionista che sei oggi?

Fin da piccolo sognavo esattamente la vita che sto vivendo. Tanti si guardano indietro, magari con dei rimpianti e con dei sensi di colpa. Per quanto mi riguarda so di aver costantemente dato tutto per quello in cui credo e ho visto nelle migliaia di sacrifici fatti, il piacere di seguire fino in fondo ciò che la mia anima mi ha chiesto, mi chiede e continua a chiedermi.

Sei il fondatore di I.R.A. – Inner Rainbow Academy. Apprezzo la scelta del nome e l’idea di un arcobaleno all’interno delle persone. Da dove nasce I.R.A. e che percorsi formativi offre?

I.R.A. (Inner Rainbow Academy) nasce da un mio sogno nel cassetto: creare un luogo dove le persone possano darsi il permesso di andare incontro al proprio talento e dargli l’opportunità di manifestarlo.

Ho sempre amato la città di Udine perché avendoci lavorato fin da molto piccolo ho ritrovato quei valori che sento miei: la coerenza fra dire e fare, la voglia di rimboccarsi le maniche, la concretezza e l’integrità!

La Inner Rainbow Academy è il luogo dove un atleta professionista può prepararsi per il match più delicato dell’anno, dove si organizzano eventi ad alto impatto aziendale, dove si può lavorare con il coaching personalizzato davanti ad uno specchio, dove un imprenditore può scaricare le proprie tossine con i guantoni e un sacco fino al farsi la doccia per rigenerarsi!

La Inner Rainbow Academy forma i Coach e i Mentor del futuro, genera training personalizzati per le aziende per lo sviluppo delle competenze, dà vita ad eventi mirati allo sviluppo di un patto di squadra, sostiene a livello individuale imprenditori, manager, atleti, medici, operai e tutti coloro che vogliono lavorare su di sé nei momenti dove il livello di stress è più alto e dove è necessario farsi trovare lucidi quando la pressione sale.

Ti interfacci con realtà aziendali e atleti di tutto rilievo, oltre all’ambito sociale. C’è un trait d’union che lega questi ambiti, a prima vista molto differenti tra loro?

Azienda – Sport – Sociale per me sono 3 connettori quotidiani. Ti faccio un esempio: i libri scritti magari con campioni dello sport e imprenditori sui temi nevralgici della consapevolezza comportamentale hanno poi dato supporto al CRO di Aviano nell’ambito della ricerca sul cancro o ad esempio alla Terapia Intensiva Neonatale del Burlo Garofolo.

Ogni giorno per me questi 3 ambiti si uniscono con azioni che mi permettono di andare incontro alla mia missione: dare tutto quello che ho per aiutare le persone a scoprire quanta luce possono generare attraverso la porta magica dell’ascolto!

Qual è lo scoglio più grande che trovi nel momento di passaggio, come dici tu, lungo il ponte Dire-Fare?

Dire-Fare per me diventa uno scoglio solo quando non si ha chiaro per cosa si lotta ogni giorno. Imparare ad ascoltare le mie emozioni, ha significato nel tempo aprire la porta dell’intuito per scoprire la mia visione, per farla poi diventare obiettivi e piani d’azione. Lo scoglio dire-fare si manifesta ogni volta in cui una persona lavora su obiettivi in cui in fondo in fondo non crede.

Quindi per me dire-fare significa:

  • parlare solo quando sono sicuro
  • evitare di generare false aspettative
  • far parlare i fatti
  • prendermi il mio tempo per ascoltarmi.

Nei tuoi 23 anni di esperienza come hai visto cambiare le insicurezze, le ansie e le fragilità delle persone?

Per imparare ad osservare i cambiamenti delle insicurezze, delle ansie e delle fragilità delle persone, ogni giorno per me è fondamentale riconoscere le mie. Negli ultimi anni tante apparenti certezze sono vacillate e noi tutti inevitabilmente abbiamo fatto i conti con fragilità che tante volte rischiamo di evitare o di negare. Ritengo quindi che questo periodo possa essere un’occasione enorme per imparare a dare dignità di esistere alle proprie emozioni e alle proprie fragilità in quanto possono diventare una porta d’ingresso straordinaria che ci fa entrare nella stanza dei nostri reali bisogni del ‘qui ed ora’.

A tuo avviso che ruolo giocano i social network nella ricerca di sé stessi e nell’attivazione di un cambiamento, sia in positivo che in negativo?

Ritengo che i social network rappresentino un grande rischio e una grande opportunità a seconda di come vengono utilizzati. Diventano un potenziale narcotico compensativo quando la persona ha una consapevolezza comportamentale bassa, ma allo stesso tempo possono diventare un’occasione straordinaria di sublimazione e di ricarico energetico se la persona è in grado di comunicare con sé stessa e con gli altri.

Che consiglio daresti a una persona che si sente in un momento di ‘blocco’ nella vita personale o professionale? Qual è il primo passo da fare?

Il primo consiglio che darei ad una persona che vive un blocco è quello di dare un nome all’emozione che prova, localizzare nel corpo la parte dove la vive in modo più evidente e scriverla nel proprio diario di bordo perché è proprio da questa piccola azione che quel blocco nel tempo può diventare una risorsa impensabile.

Per te lo sport ha un ruolo fondamentale. Dove trovi la motivazione per continuare, anche quando risulta difficile o hai poco tempo a disposizione?

Lo sport quotidiano per me è un bisogno prima di tutto: è come bere, mangiare e dormire. Quindi anche quando le forze vengono meno, emerge il piacere di alzarmi per fare qualcosa che amo e che so mi darà energia per affrontare la giornata e nutrire il corpo.

Sei anche autore di due libri, “Un viaggio Straordinario”, sul coaching e mental training con il maestro delle arti marziali, Giorgio Petrosyan, e “LockMind” sulla gestione dello stress in tempi di pandemia. Hai qualche altro testo in cantiere?

I prossimi libri sono: La Voce del Silenzio (pronto per la stampa) che entra nel cuore della storia di un imprenditore siciliano che ha seguito di un imprinting molto duro ha perso la voce e trova nel perdono uno strumento magico per imparare ad amarsi!

Sto lavorando al libro Risorse Umane: Mission IM-POSSIBILE con Direttori del Personale di altissimo livello per scoprire l’importanza di ritrovare il coraggio di affrontare sfide complesse per amore di ciò in cui si crede, dimostrandolo attraverso i fatti.

In più in ognuna delle tante Academy attive a livello nazionale e internazionale realizzeremo i libri costruito con ogni azienda per dare valore ad un vero e proprio Viaggio Straordinario che nei testi riveleranno delle storie emozionanti da lasciare con gli occhi spalancati per molto tempo!

Da cosa ti lasci ispirare?

Mi lascio ispirare dal momento presente che ogni giorno mi sorprende e mi regala la gratitudine di poter vedere, respirare, sentire e ascoltare!

Grazie Giovanni.

Alla prossima intervista per Giada’s Project, intervisti agli esperti delle HR e non solo.

soft skill

Soft skill: ecco perché sono così importanti

Spesso sentiamo di parlare di soft skill. Soft skill qua, soft skill là, percorsi per sviluppare le soft skill del momento e via discorrendo. Rispetto a una decina di anni fa, ma anche meno, queste caratteristiche hanno visto aumentare la loro importanza sia durante le fasi di colloquio, ma anche durante l’inserimento in azienda e lungo tutto il percorso professionale all’interno di una realtà.

Cosa sono le soft skill?

Come recita Adecco, le soft skill potrebbero essere tradotte in italiano come le “abilità personali” e, aggiungerei, trasversali. In particolare, il concetto dietro al termine anglofono Soft Skill fa riferimento a tutte quelle competenze legate all’intelligenza emotiva, alle abilità naturali che ogni individuo ha. Più in generale, sono contrapposte alle competenze tecniche di un dato lavoro e/o settore. Se da un lato troviamo le hard skill, specifiche per ogni settore e ruolo, come il disegno tecnico, la gestione delle reti, la capacità di sviluppare le paghe, dall’altro troviamo le soft skill, competenze più trasversali, importanti a tutti i livelli e settori, ad esempio la gestione del tempo, lo spirito critico, la capacità di lavorare in team, le capacità manageriali…

Perché sono così importanti?

Le soft skill hanno una valenza di rilievo in una persona, in un candidato e in un dipendente, perché il lavoro sta diventando sempre più complesso. La sempre più spinta digitalizzazione, l’apparizione di nuovi ruoli e mansioni e la scomparsa di altri, le acquisizioni, le dimensioni aziendali, il lavoro da remoto, la globalizzazione. Solo qualche esempio per spiegare che probabilmente lo stesso lavoro svolto oggi è molto differente rispetto a quello di venti, trenta, ma forse anche solo di cinque anni fa. Basti pensare alle innovazioni e automazioni, alle procedure gestibili online, alle app…

Il lavoro è diventato ‘liquido’ e ‘fluido’ sia in termini di attività che di tipologie e tempi. Quando si cerca uno specialista con esperienza le competenze sono quasi date per scontate. Chiaramente vengono testate ed approfondite, ma anche l’aspetto più caratteriale e psicoattitudinale ha un peso molto elevato. Nei confronti di una figura junior o senza esperienza, si predilige spesso l’attitudine.

Per parafrasare le parole che ho spesso sentito dire un responsabile con la quale ho il piacere di collaborare, è meglio avere un lavoratore che sa fare il suo lavoro, magari con qualche punto da approfondire, ma che si integra bene in un gruppo ed è disponibile, rispetto a un genio del mestiere, ma ingestibile. Ovviamente questo non vale nel 100% dei casi, ma in una buona maggioranza sì.

Qualche esempio

Gestire le persone all’interno di un’azienda (ma lo stesso potrebbe dirsi per una realtà sportiva, un’associazione, una cooperativa…), non solo come reparto HR, ma anche come responsabili e come collaboratori, è un’attività delicata che ha necessità di giusti equilibri. Ogni azienda poi ha le sue caratteristiche e i suoi valori ed è essenziale trovare delle persone allineate al mood aziendale.

Per fare qualche esempio, una realtà dove il lavoro è gestito da squadre sarà importantissimo saper collaborare, lavorare in gruppo e comunicare. In realtà, invece, molto spinte verso l’innovazione e verso tutto ciò che è nuovo e futuristico si cercheranno persone con una visione innovativa, come capacità di growth thinking, con propensione al cambiamento. In ultimo, in una realtà che opera con soggetti fragili, saranno essenziali skill come empatia, capacità di ascolto, pazienza e attenzione.

Le soft skill del futuro

A mio modestissimo parere le soft skill che andranno per la maggiore nei prossimi anni, oltre a quelle più diffuse, saranno:

  • empatia
  • gentilezza
  • curiosità
  • creatività
  • resilienza

Perché penso a queste? Perché il mondo del lavoro sta cambiando ed è cambiato, perché le aziende si sono accorte che, oltre alla paga, ci vuole altro, perché le persone hanno iniziato a valutare cosa vogliono davvero, a dare un peso sempre più elevato al benessere sul luogo di lavoro e nella vita, oltre al famoso work-life-balance. Basti pensare a quanto è capitato e sta capitando in questi due anni, accresciuto dalla pandemia. Le priorità sono variate e le persone cercano aziende sempre più umane, così come le aziende – o perlomeno una buona parte – cercano anche buone persone, non soltanto buoni tecnici, contabili, ecc.

Concludendo, in un mondo dove siamo spinti al cambiamento (perché la vita è una sola, perché c’è la costante volontà di crescere e migliorarsi, ma anche perché spesso i contratti offerti sono a scadenza, un po’ come il mio amato yogurt Vipiteno) il mio unico augurio è quello di essere curiosi, flessibili, aperti a quello che verrà, mantenendo vivo il lato umano che ci caratterizza.

Qualche piccolo spunto pratico per restare aperto e pronto al cambiamento lo puoi trovare qui.