Andrea Soro, Direttore del Personale di Insiel S.p.A. per Giada's Project

ICT, leadership e smart working – Intervista a Andrea Soro, Direttore del Personale Insiel S.p.A.

Buongiorno Dott. Soro. Ci può raccontare qualcosa in più sulla sua carriera professionale e formativa?

Intraprendo per vocazione la carriera militare, frequentando l’Accademia Aeronautica di Pozzuoli, dove conseguo la laurea in Scienze Politiche; da lì inizio un percorso nelle risorse umane all’interno dell’Aeronautica Militare, arricchendo il percorso formativo con ulteriori corsi sia nell’ambito HR della pubblica amministrazione che nell’ambito della comunicazione istituzionale. Un percorso durato 22 anni, che mi ha permesso di consolidare fondamentalmente i due ambiti, quello delle risorse umane e della comunicazione, che sono necessariamente complementari.

Oggi è Direttore del Personale di Insiel S.p.A., società ICT in house della Regione Friuli Venezia Giulia. Quali sono le difficoltà più grandi che si trova ad affrontare?

Insiel è appunto la società in house della Regione Autonoma FVG, il braccio operativo nel campo ICT, spaziando dal mondo delle infrastrutture fisiche (Data Center ad esempio), a quello della connettività (fibra ottica regionale e wi-fi pubblico), arrivando poi al mondo dei sistemi informativi veri e propri, dedicati al mondo delle autonomie locali, della Regione e della Sanità regionale. Un universo molto complesso, che in quasi 50 anni di storia della nostra Azienda, ha costellato di “digitale” la vita di tutti i cittadini di questa Regione.

Andrea Soro, Direttore del Personale di Insiel S.p.A. per Giada's Project
Andrea Soro, Direttore del Personale di Insiel S.p.A. per Giada’s Project

Dal punto di vista HR, la difficoltà più importante è senza dubbio la necessità di preservare il grande patrimonio di competenze che sono state consolidate in tutti questi anni; l’Azienda ha sempre avuto un basso indice di turn over, in analogia a quello che capita nelle pubbliche amministrazioni, a questo si aggiunga una politica delle assunzioni che ha subito gli effetti dei diversi interventi che si sono susseguiti negli anni sul tema della “spending review”. Ora, finalmente, la rotta è stata invertita e grazie anche ad una strategia, politica ed aziendale di lungo periodo, siamo riusciti ad avviare importanti piani di sviluppo delle assunzioni.

Quest’anno, ad esempio abbiamo avviato le procedure di selezione per circa 75 profili!

Quali sono invece gli aspetti più motivanti e sfidanti del suo lavoro?

Il mondo HR è sfidante per definizione; ho parlato prima di vocazione per la vita militare, io sono un fervido sostenitore che anche per il mondo delle risorse umane sia necessario avere una forte vocazione, la voglia di ascoltare le persone e il desiderio di poter cambiare attivamente la vita delle organizzazioni, per il bene delle persone che ci lavorano. Spesso sentiamo parlare di “capitale umano”, più che di “risorse umane”, noi stiamo cercando di far diventare virale e pervasiva questa attenzione verso la persona. Ci riusciamo sempre? Forse no, ma almeno cerchiamo di farlo, coinvolgendo in questo anche le linee manageriali che sono, di fatto, la vera demoltiplica dell’azione HR sul terreno.

Come viene gestita l’elevata domanda di profili tecnici e informatici, rispetto all’offerta limitata?

I due anni della pandemia e questa “coda” complicata post emergenziale, che ci spinge verso una probabile recessione in “venti di guerra”, ha reso il mercato delle competenze ICT decisamente competitivo, forse più che nel recente passato; la delocalizzazione e la remotizzazione delle attività informatiche, con un lavoro ibrido sempre più spinto e non più legato alla fisicità di uno spazio ufficio definito, rende tutto più fluido e competitivo. Questo comporta a volte un maggior numero di candidati, ma alza notevolmente le aspettative, aspettative che spesso in una società pubblica, ancorata ovviamente a norme e regolamenti pubblici, non le permette di essere competitiva a sufficienza con le società informatiche di mercato.

Allora perché scegliere di lavorare in una società pubblica? Ne discutevo proprio in questi giorni con un giovane candidato, cercando di fargli comprendere che avvicinarsi ad una società pubblica come Insiel, deve presupporre, anche in questo caso, una “vocazione” verso il governo della cosa pubblica: l’obiettivo non è la massimizzazione degli utili ma l’efficientamento di processi amministrativi decisionali che consentano di erogare in continuità servizi sempre fruibili da cittadini, utenti ed operatori della PA. Forse la chiave di lettura è proprio questa, io lo chiamo il “paradigma del servizio”: sentirsi davvero dei “civil servant” che possano favorire e agevolare il cambiamento, in meglio, della Pubblica Amministrazione!

Per oltre 17 anni si è occupato di risorse umane all’interno dell’aeronautica Militare. Che bagaglio le ha lasciato quest’esperienza e come si è rivelata utile per il lavoro che svolge oggi?

Indipendentemente dall’uniforme che indossi, dalla giacca o dalla cravatta che porti, occuparsi di personale assume lo stesso significato ovunque; certamente l’esperienza all’interno delle Forze Armate ha una forte identità valoriale, che ti rende protagonista nel tuo piccolo dell’azione di una intera organizzazione. Forse è proprio questo il valore più grande che ti porti dentro fin da “piccolo”, la consapevolezza che il tuo operato, seppur limitato al contesto in cui operi, può fare da cassa di risonanza (positiva o negativa) per l’intera organizzazione cui appartieni.

Parlando di smart working, quali pensa e spera saranno gli sviluppi futuri?

Come spesso commento anche sui social o in occasione di confronti interni all’Azienda, siamo ormai (fortunatamente) al punto di non ritorno. In Insiel abbiamo adottato, forse tra i primi in Regione, un accordo emergenziale sul lavoro agile, che di fatto non ha mai previsto alcun limite nel numero delle giornate da poter svolgere al di fuori dei locali aziendali. Da circa 12 mesi abbiamo però cercato di far “riassaporare” anche la condivisione in presenza, chiedendo ai nostri dipendenti di frequentare le nostre sedi per almeno 5 giornate al mese. Si tratta di una piccola parte percentuale del tempo lavorato, che ognuno può gestire liberamente, anche in maniera frazionata o viceversa cumulativa. Certamente siamo agevolati dalla tecnologia, anche dalle stesse dotazioni informatiche dei nostri collaboratori oltre che dalle loro competenze informatiche, questo ha senza dubbio aiutato nel superare il fosso quando, ancora, eravamo tutti molto titubanti e dubbiosi sull’efficacia del lavoro agile/lavoro da remoto.

Il futuro è già scritto, o quasi, stiamo per sottoscrivere con i sindacati, aziendali e territoriali, un nuovo accordo aziendale sul tema del lavoro agile, che possa andare agevolmente oltre l’emergenza pandemica ma che, di fatto, mantiene gran parte dei contenuti dell’accordo emergenziale. Anche in questo caso è un nuovo “paradigma” da affrontare e che dobbiamo far diventare pervasivo all’interno dell’Azienda e a tutti i livelli dell’organigramma, un cambio di prospettiva che ponga la fiducia quale fulcro di tutta la nostra azione e che sposti l’attenzione da un lavoro scandito dai tempi del “cartellino” ai tempi di obiettivi assegnati e raggiunti!

Negli ultimi tempi si parla spesso di leadership e si è sottolineato che molti manager, non sono anche leader. Come definirebbe un leader e quali pensa siano le caratteristiche essenziali per esserlo?

Domanda molto complicata…non posso però che rispondere richiamando uno dei miei riferimenti su questo tema, ovvero il modello della leadership emotiva di David Goleman; nella mia visione riassume in poche pagine l’essenza del vero leader, che volta per volta utilizza i molti strumenti presenti nella sua cassetta degli attrezzi, cercando di non perdere mai di vista l’unicum tra “lavoratore” e “persona”, con una modalità bidirezionale di confronto e scambio continuo.

A suo parere che ruolo gioca il welfare nel mondo del lavoro attuale?

Dipende. Generalmente rifuggo da una visione del welfare intesa solo come “leva economica”, ovvero la visione essenzialmente riportata in maniera schematica all’interno di diversi CCNL. Welfare è un insieme di azioni e, soprattutto, comportamenti che come governance aziendale dobbiamo mettere in campo per rendere l’esperienza lavorativa il più coerente possibile con le aspirazioni personali. Un complesso bilanciamento che in parte può essere “monetizzato” con interventi mirati ma che in realtà deve comprendere tutti gli aspetti della vita di una Azienda.

Che consiglio darebbe a una persona che si vuole affacciare o si è affacciata da poco al mondo delle HR?

Ascoltare, ascoltare, ascoltare! E rendersi consapevoli che non si potranno mai avere sempre le risposte “giuste” subito, ma si costruiscono con umiltà ed empatia giorno dopo giorno!

Andrea Bez, Account Delivery Executive Microsoft per Giada's Project

Digital transformation e HR Analytics – Intervista a Andrea Bez, Account Delivery Executive di Microsoft

Giada’s Project è un progetto divulgativo con l’obiettivo di raccontare le HR e il mondo del lavoro a 360°, andando a toccare tutti i settori e professionisti collegati e correlati. Impossibile allora non parlare di digital transformation, analytics e innovazione. Impossibile non farlo proprio con chi opera in questo ambito, Andrea Bez, Account Delivery Executive di Microsoft.

Ciao Andrea, piacere di ritrovarti! Per chi non ha ancora avuto modo di conoscerti, ci racconti qualcosa in più su di te?

Ciao Giada, piacere mio. Ho iniziato il mio percorso umano e professionale a Udine – è qui, ai confini dell’impero, che mi sono interessato alle tematiche della trasformazione digitale. Durante gli anni della laurea in Economia, argomenti come cloud e Industry 4.0 stavano creando grandi auspici, e ho deciso di buttarmici a capofitto. Prima con ruoli di crescente responsabilità commerciale presso beanTech, un system integrator locale, e poi nell’ambito della delivery di grandi progetti trasformativi in Microsoft.

In un tweet, dopo diversi anni in questo settore mi definirei un sentimentale dell’innovazione (appassionato a un quadro tecnologico in continua evoluzione), ma profondamente ancorato al business (senza, quindi, perdere mai di vista i risultati).

Andrea Bez, Account Delivery Executive Microsoft per Giada's Project
Andrea Bez, Account Delivery Executive Microsoft per Giada’s Project

Ti definisci un sostenitore della trasformazione digitale. Dove pensi si arriverà in futuro? Quali sono gli aspetti che ti stimolano di più e quali, se ce ne sono, quelli che ti spaventano?

La trasformazione digitale è diventata una leva chiave della competitività aziendale. Oggi si parla di cloud con decisori apicali e C-Level. Non penso di esagerare, quando affermo che è sempre di più il “dato” ad essere il punto focale del business, dal supporto alle decisioni, al lancio e valutazione di un prodotto o di un servizio.

Il futuro in un certo senso è già qua: si guarda con entusiasmo ed aspettativa, per esempio, al metaverso – l’idea di un’interazione “seamless” tra mondo reale e virtuale mi affascina molto. Evoluzioni impressionanti sono avvenute nel campo dell’intelligenza artificiale, e l’aspetto entusiasmante è che questi strumenti sono sempre più alla portata di utenti con un’estrazione non necessariamente informatica, quelli che chiamiamo “citizen developer”.

Sono ottimista sull’impatto positivo che potrà avere la trasformazione digitale sull’ambiente – la mia personale scommessa è che le tematiche inerenti la sostenibilità diventeranno prioritarie nella crescente complessità del nostro ecosistema.

Guardo con una certa apprensione al fenomeno che viene talora definito come “digital dark age” – in un mondo in cui l’informazione è liquida e sovrabbondante, il rischio è che nel tempo parti di essa diventino “scarse” per ragioni che spaziano dall’obsolescenza dei supporti fisici al rumore di fondo.

Parlando sempre di digital transformation, quali sono i problemi più frequenti che ti trovi o ti sei trovato ad affrontare?

Parto dal presupposto che la definizione di problema è un po’ vaga – ti propongo piuttosto il concetto di rischio, positivo (opportunità pertanto da cogliere) o negativo (da mitigare).

Gli aspetti cruciali, e spesso ignorati, che espongono al rischio di insuccesso nella trasformazione digitale sono a mio avviso primariamente culturali e organizzativi. Spesso si soprassiede su tematiche come la gestione del cambiamento, che spazia dall’adozione degli strumenti ad una piena comprensione dello skill gap impattante le risorse umane. Banalmente, non tutte le strutture organizzative hanno la capacità di affrontare progettualità complesse, che hanno connotazioni primariamente di processo, oltre che tecnologiche.

D’altra parte, ho vissuto in prima persona occasioni nelle quali la trasformazione digitale è stata il volano per una radicale rivoluzione del modello di business: per esempio, nell’ottica della servitizzazione, nel comparto manifatturiero.

A tuo parere che legami ci sono e che sinergie possono nascere tra digitale, IT e HR?

Il mondo delle risorse umano è permeato dal digitale. Il nostro CV potrebbe essere stato esaminato in fase di pre-screening proprio da un’intelligenza artificiale! Al netto di esempi come questo, vedo due aspetti fondamentali di interazione e reciproco arricchimento tra questi ambiti.

Il primo, è l’impatto positivo che porterà, e sta già portando, il digitale nella semplificazione dei processi e nell’interoperabilità dei sistemi legacy in ambito HR.

Il secondo, è il dovere, da parte dei moderni HR manager, di guardare con crescente attenzione a un mondo del lavoro che sta cambiando radicalmente. Da un lato, bisognerà ovviare a uno skill gap obiettivamente preoccupante, dove parte della forza lavoro rischia di essere spiazzata dalla crescente domanda di competenze informatiche. Dall’altro, le aziende dovranno essere in grado di trattenere adeguatamente i talenti in un mercato del lavoro più dinamico, e orientato a paradigmi di lavoro flessibile.

Hai fatto anche il docente all’Università degli Studi di Udine dove hai parlato di HR Analytics. Com’è stato tornare nella propria università, seduto dall’altro lato della cattedra?

Va detto che dietro la cattedra sono rimasto seduto davvero poco, tendo a camminare molto quando parlo… sciocchezze a parte, è stata un’esperienza molto stimolante.

Mi ha fatto piacere interagire con studenti interessati a una tematica tutto sommato non banale per dei non addetti ai lavori. Il confronto con esperienze professionali diverse è a mio avviso una grande opportunità da cogliere durante un percorso formativo.

Qualora anche un paio dei partecipanti al corso si fossero incuriositi all’argomento analytics, lo riterrei un successo!

C’è una persona che è stata la tua fonte di ispirazione lungo tutta la tua carriera?

Non vorrei darti una risposta stucchevole, viviamo in un mondo che soffre l’ansia continua della ricerca del modello, dell’ispirazione… a mio avviso come esseri umani abbiamo semplicemente il dovere di sentirci studenti tutta la vita. Sta al singolo cercare con la giusta umiltà mentori in ogni fase del proprio percorso, e non è necessario scomodare i grandi capitani d’azienda o personaggi del passato: può essere un imprenditore, un manager-coach, o una collega intraprendente e in gamba.