Digital transformation e HR Analytics – Intervista a Andrea Bez, Account Delivery Executive di Microsoft

Giada’s Project è un progetto divulgativo con l’obiettivo di raccontare le HR e il mondo del lavoro a 360°, andando a toccare tutti i settori e professionisti collegati e correlati. Impossibile allora non parlare di digital transformation, analytics e innovazione. Impossibile non farlo proprio con chi opera in questo ambito, Andrea Bez, Account Delivery Executive di Microsoft.

Ciao Andrea, piacere di ritrovarti! Per chi non ha ancora avuto modo di conoscerti, ci racconti qualcosa in più su di te?

Ciao Giada, piacere mio. Ho iniziato il mio percorso umano e professionale a Udine – è qui, ai confini dell’impero, che mi sono interessato alle tematiche della trasformazione digitale. Durante gli anni della laurea in Economia, argomenti come cloud e Industry 4.0 stavano creando grandi auspici, e ho deciso di buttarmici a capofitto. Prima con ruoli di crescente responsabilità commerciale presso beanTech, un system integrator locale, e poi nell’ambito della delivery di grandi progetti trasformativi in Microsoft.

In un tweet, dopo diversi anni in questo settore mi definirei un sentimentale dell’innovazione (appassionato a un quadro tecnologico in continua evoluzione), ma profondamente ancorato al business (senza, quindi, perdere mai di vista i risultati).

Andrea Bez, Account Delivery Executive Microsoft per Giada's Project
Andrea Bez, Account Delivery Executive Microsoft per Giada’s Project

Ti definisci un sostenitore della trasformazione digitale. Dove pensi si arriverà in futuro? Quali sono gli aspetti che ti stimolano di più e quali, se ce ne sono, quelli che ti spaventano?

La trasformazione digitale è diventata una leva chiave della competitività aziendale. Oggi si parla di cloud con decisori apicali e C-Level. Non penso di esagerare, quando affermo che è sempre di più il “dato” ad essere il punto focale del business, dal supporto alle decisioni, al lancio e valutazione di un prodotto o di un servizio.

Il futuro in un certo senso è già qua: si guarda con entusiasmo ed aspettativa, per esempio, al metaverso – l’idea di un’interazione “seamless” tra mondo reale e virtuale mi affascina molto. Evoluzioni impressionanti sono avvenute nel campo dell’intelligenza artificiale, e l’aspetto entusiasmante è che questi strumenti sono sempre più alla portata di utenti con un’estrazione non necessariamente informatica, quelli che chiamiamo “citizen developer”.

Sono ottimista sull’impatto positivo che potrà avere la trasformazione digitale sull’ambiente – la mia personale scommessa è che le tematiche inerenti la sostenibilità diventeranno prioritarie nella crescente complessità del nostro ecosistema.

Guardo con una certa apprensione al fenomeno che viene talora definito come “digital dark age” – in un mondo in cui l’informazione è liquida e sovrabbondante, il rischio è che nel tempo parti di essa diventino “scarse” per ragioni che spaziano dall’obsolescenza dei supporti fisici al rumore di fondo.

Parlando sempre di digital transformation, quali sono i problemi più frequenti che ti trovi o ti sei trovato ad affrontare?

Parto dal presupposto che la definizione di problema è un po’ vaga – ti propongo piuttosto il concetto di rischio, positivo (opportunità pertanto da cogliere) o negativo (da mitigare).

Gli aspetti cruciali, e spesso ignorati, che espongono al rischio di insuccesso nella trasformazione digitale sono a mio avviso primariamente culturali e organizzativi. Spesso si soprassiede su tematiche come la gestione del cambiamento, che spazia dall’adozione degli strumenti ad una piena comprensione dello skill gap impattante le risorse umane. Banalmente, non tutte le strutture organizzative hanno la capacità di affrontare progettualità complesse, che hanno connotazioni primariamente di processo, oltre che tecnologiche.

D’altra parte, ho vissuto in prima persona occasioni nelle quali la trasformazione digitale è stata il volano per una radicale rivoluzione del modello di business: per esempio, nell’ottica della servitizzazione, nel comparto manifatturiero.

A tuo parere che legami ci sono e che sinergie possono nascere tra digitale, IT e HR?

Il mondo delle risorse umano è permeato dal digitale. Il nostro CV potrebbe essere stato esaminato in fase di pre-screening proprio da un’intelligenza artificiale! Al netto di esempi come questo, vedo due aspetti fondamentali di interazione e reciproco arricchimento tra questi ambiti.

Il primo, è l’impatto positivo che porterà, e sta già portando, il digitale nella semplificazione dei processi e nell’interoperabilità dei sistemi legacy in ambito HR.

Il secondo, è il dovere, da parte dei moderni HR manager, di guardare con crescente attenzione a un mondo del lavoro che sta cambiando radicalmente. Da un lato, bisognerà ovviare a uno skill gap obiettivamente preoccupante, dove parte della forza lavoro rischia di essere spiazzata dalla crescente domanda di competenze informatiche. Dall’altro, le aziende dovranno essere in grado di trattenere adeguatamente i talenti in un mercato del lavoro più dinamico, e orientato a paradigmi di lavoro flessibile.

Hai fatto anche il docente all’Università degli Studi di Udine dove hai parlato di HR Analytics. Com’è stato tornare nella propria università, seduto dall’altro lato della cattedra?

Va detto che dietro la cattedra sono rimasto seduto davvero poco, tendo a camminare molto quando parlo… sciocchezze a parte, è stata un’esperienza molto stimolante.

Mi ha fatto piacere interagire con studenti interessati a una tematica tutto sommato non banale per dei non addetti ai lavori. Il confronto con esperienze professionali diverse è a mio avviso una grande opportunità da cogliere durante un percorso formativo.

Qualora anche un paio dei partecipanti al corso si fossero incuriositi all’argomento analytics, lo riterrei un successo!

C’è una persona che è stata la tua fonte di ispirazione lungo tutta la tua carriera?

Non vorrei darti una risposta stucchevole, viviamo in un mondo che soffre l’ansia continua della ricerca del modello, dell’ispirazione… a mio avviso come esseri umani abbiamo semplicemente il dovere di sentirci studenti tutta la vita. Sta al singolo cercare con la giusta umiltà mentori in ogni fase del proprio percorso, e non è necessario scomodare i grandi capitani d’azienda o personaggi del passato: può essere un imprenditore, un manager-coach, o una collega intraprendente e in gamba.

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