Antonella Gioia, Employer branding e consultant Lamborghini per Giada's Project

Employer Branding, marketing e comunicazione con Antonella Gioia

Una nuova intervista per Giada’s Project ad Antonella Gioia, Randstad HR Solution Consultant in Automobili Lamborghini S.p.A. Parleremo di marketing, comunicazione e HR e tutti i possibili punti in comune. Buona lettura.

Ciao Antonella, grazie per la partecipazione. Ci racconti qualcosa in più su di te e sul tuo percorso?

Ciao Giada, grazie a te per avermi coinvolta. Quando ci siamo sentite la prima volta, stavo facendo un On The Road nella mia regione, la Basilicata. Ci tengo a precisarlo perché è proprio da qui che comincia la mia storia con un Erasmus anticipato, come lo chiamo io, ovvero il trasferimento dalla mia terra d’origine a Bologna, la mia città adottiva. Mia madre era restia, “così lontano, perché non vai a Salerno o Napoli”, ma io ero convintissima. Triennale in Scienze politiche, sociali e internazionali con curriculum comunicazione e poi magistrale in Comunicazione pubblica e d’impresa, il Compass, com’è conosciuto ancora oggi!

Sono una persona che vive di attimi e intuizioni, più di pancia che di testa, e alla fine quel carpe diem ha funzionato. Dopo la magistrale mi sono candidata per una posizione di stage in Automobili Lamborghini come Employer Branding & Internal Communication support e da allora ho conosciuto un mondo professionale che prima ignoravo…se mi avessero chiesto cosa avrei voluto fare da grande, il mio job title attuale non era sicuramente previsto, semplicemente perché non conoscevo il settore.

Antonella Gioia, Employer branding e consultant Lamborghini per Giada’s Project

Cosa ti ha spinta ad avvicinarti al mondo del marketing e della comunicazione?

Sono sempre stata appassionata di parole, soprattutto scritte. La comunicazione è il mio centro di gravità permanente, per citare un sommo poeta moderno. Le storie e le persone mi hanno sempre affascinato: quando ero più piccola volevo fare la scrittrice, poi la giornalista e oggi sono una comunicatrice. Credo che dietro ognuna di queste aspirazioni ci sia il mio grande bisogno di condivisione, che a volte mi fa dubitare del mio essere figlia unica, o forse è in realtà una conferma. “Marketing” è molte cose: quello che mi piaceva di più era la sottigliezza delle campagne di comunicazione e l’abilità con cui le parole venivano combinate, ma soprattutto la potenza con cui i messaggi trasformavano e indirizzavano i comportamenti. “Marketing” è ciò quel che faccio oggi, non sul prodotto, ma sull’azienda: l’employer branding è proprio il marketing delle risorse umane, definizione che uso per spiegare meglio quello che faccio.

Le famose “4 P” del Marketing mi sono tornate spesso utili, anche se basterebbe una piccola ricerca online per scoprire che oggi si è aggiunta una 5 P, che in realtà nell’employer branding è sempre stata la più importante: P di People, le persone al centro e misura di tutte le cose, in un nostalgico ritorno dell’antropocentrismo di età moderna.

Come sei approdata poi all’employer branding, una piacevole commistione tra marketing, comunicazione e HR?

Ricordo che quando lessi la posizione aperta su LinkedIn passai un pomeriggio intero ad approfondire il mondo dell’employer branding: a parte la traduzione letterale, non avevo idea di cosa fosse. Quello che mi rassicurava era la parte di “internal communication”, che era sicuramente più parlante e conosciuta in Italia. Esattamente come l’hai definito tu, sentivo di avere due cose dalla mia parte, marketing e comunicazione, mi mancava sicuramente la parte HR. All’Università la sociologia era tra le mie materie preferite, i comportamenti umani mi hanno sempre affascinato, per me le persone sono una grande miniera da scoprire.

Così ho provato ed eccomi qui!

Effettivamente il mondo delle Risorse Umane è stato una piacevole scoperta, che erroneamente associavo solo al recruiting e alla selezione. 

Employer branding e comunicazione interna. Quali sono gli elementi da tenere sempre a mente per lavorare in questo ambito?

Fare employer branding è un po’ come quando la nonna parla del nipote alla vicina di casa: quanto orgoglio c’è in quegli occhi e in quel tono di voce? Ecco, bisogna essere capaci di raccontare l’azienda sotto quella luce e, affinché il racconto sia autentico, è fondamentale che i propri valori siano allineati a quelli corporate. Al centro di tutto rimangono le persone, con le loro esigenze, richieste e proposte, proprio come per la comunicazione interna, in cui ci si fa canali e collanti di una comunità che condivide non solo obiettivi di business, ma anche stralci di vita quotidiana. Forse l’elemento principale e imprescindibile è l’ascolto, cartina tornasole senza cui sarebbe impossibile disegnare qualunque percorso.

 È un settore in continuo mutamento, non ci si annoia mai perché c’è sempre qualcuno o qualcosa da cui trarre ispirazione. È un ambito che si nutre di immaginazione e lungimiranza nel pensare a qualcosa che ancora non esiste, vive di idee folli ed esagerate che aspettano solo qualcuno che abbia il coraggio di pronunciarle. Più o meno la maggior parte dei progetti che portiamo avanti cominciano così, con un condizionale che poi diventa realtà.

Parlando di social network, qual è quello che usi di più e perché?

Senza dubbio Instagram, ma quasi a pari merito con LinkedIn. Instagram è più una sorta di album dei ricordi da andare a risfogliare nei momenti di nostalgia, mentre le Storie sono per me un modo per condividere non solo momenti, ma anche informazioni utili, notizie di attualità, sostegno alle battaglie che quotidianamente vengono portate avanti, soprattutto dalle minoranze.

Dico sempre che Instagram non dovrebbe essere un canale fine a sé stesso per nutrire la propria vanità, ma appunto uno strumento impegnato e una fonte di ispirazione. Ben vengano quindi le condivisioni volte a sensibilizzare su determinati argomenti oppure a consigliare posti da visitare, esperienze da fare o locali da provare.

LinkedIn invece è un’aula di scuola sempre aperta, in cui viene riservato a tutti un banchetto. Nonostante i job title risonanti, non c’è gerarchia. Lì davvero conta la sostanza e quello che hai da dire, perché il bello sta proprio nel riuscire ad innescare conversazioni. Cerco di essere attiva e costante nell’uso di LinkedIn perché penso che sia davvero uno strumento di formazione alla portata di tutti e chi non lo capisce spreca un’occasione preziosissima!

Ti confesso che ho una passione per i motori, dalle due ruote alle quattro ruote. Lavorando come HRPO Consultant di Randstad HR Solutions in Automobili Lamborghini S.p.A., non posso non chiederti qual è il tuo modello di vettura preferito.

Difficile scegliere, ma direi Urus, perché poliedrico e mediatore dei desideri più disparati. Un inno alla libertà e un invito alla massima espressione del sé, capace di andare sempre oltre. Urus è un modello inclusivo, che si propone a diversi target di clienti ed è capace di coniugare più esigenze e prospettive. La sua nascita deriva da una visione, concretizzata grazie al coraggio dell’azienda che ha anticipato i tempi e dettato le regole del gioco.

Se dovessi raccontarlo ai giovani talenti come richiede il tuo lavoro, cosa significa lavorare in Lamborghini, un sogno che molti vorrebbero veder realizzato?

Questa è la domanda più gettonata ai Career Days! Lavorare in Lamborghini significa accettare di mettersi in gioco e lasciare un impatto tangibile. Significa farsi portavoce di quel senso di responsabilità nei confronti della società che l’azienda si assume attraverso tanti progetti e iniziative. Lavorare in Lamborghini è quasi una missione, definita da un senso di appartenenza molto forte al Brand e ai suoi valori.

È un’azienda che chiede ma dà anche molto, in cui è la personalità di ognuno a fare la differenza. Entrare a far parte del team Lamborghini significa avere margine di spazio e azione per disegnare il proprio percorso in base alle proprie aspirazioni e ai propri desideri, oltre gli standard. Essendo una grande azienda, in ogni dipartimento si ha la possibilità di confrontarsi con tanti professionisti con background accademici e professionali diversi, un’ottima occasione per crescere e lasciarsi ispirare. È una sfida quotidiana con sé stessi per esplorare nuove direzioni, sognare più in grande ed evolvere insieme ad un team appassionato e visionario. Molti lo definiscono appunto “un sogno” …alla fine dei conti, provare per credere!

Da cosa ti lasci ispirare nel lavoro e nella vita?

Sono una gran chiacchierona e, come mi dissero una volta, sono molto generosa nel raccontarmi, ma la cosa da cui mi lascio ispirare maggiormente nel lavoro e nella vita è l’ascolto delle persone. Sono estremamente curiosa, penso che tutti abbiano qualcosa da dare, solo che bisogna essere capaci di accogliere. Dico sempre che ogni percorso è unico e irripetibile e ho imparato col tempo a non paragonarmi mai, piuttosto a registrare l’informazione, approfondirla e farla mia, capendo se e come portarla nella mia vita, partendo da una domanda: “Che valore mi dà questa cosa?” Di base sono una persona che cerca molto in maniera autonoma e condivide tanto, perché penso sia importante mettere in circolo le idee per farle sbocciare. E poi mi nutro di esperienze, che può essere visitare un posto nuovo, leggere un libro o partecipare ad un evento. Siamo costantemente bombardati da stimoli esterni, il segreto sta nel riuscire a selezionarli e filtrarli, per capire su cosa vale la pena concentrare attenzione ed energie.

Un libro che consiglieresti a chi si vuole avvicinare all’employer branding e comunicazione interna.

È un libro che ho incontrato grazie al corso di Psicologia della Comunicazione Sociale in triennale, “Le parole sono finestre (oppure muri)” di Marshall Rosenberg. Contiene tutti i principi della comunicazione empatica e non violenta, partendo innanzitutto da una comunicazione consapevole verso sé stessi, imparando ad ampliare il vocabolario delle emozioni. È lo γνῶθι σαυτόν dei greci, punto di partenza per poter accogliere gli altri. Un testo che dovrebbero leggere tutti, non solo chi vuole avvicinarsi all’employer branding o alla comunicazione interna. Non spoilero ulteriormente…buona lettura, con l’augurio di diventare tutti giraffe e non sciacalli!

Piero Vigutto, facilitatore nella gestione delle Umane Risorse di HR&O Consulting per Giada's Project

HR a 360° – Intervista a Piero Vigutto, facilitatore nella gestione delle Umane Risorse di HR&O Consulting

Buongiorno Piero, è un piacere e onore poterti intervistare. Ci racconti qualcosa in più su di te e sul tuo percorso professionale? 

Buongiorno Giada, grazie per avermi coinvolto in Giada’s Project. Che dire su di me… dopo la laurea in psicologia del lavoro e delle organizzazioni, ho conseguito due master di specializzazione in selezione e formazione del personale che sono stati il trampolino di lancio verso questo meraviglioso lavoro. Ho collaborato con società di consulenza, sono stato in azienda come HR Manager e consulente, ho avuto esperienza sia all’interno di PMI che in multinazionali dove ho progettato e realizzato sistemi di gestione delle risorse umane dal reclutamento, alla formazione, alla valutazione e gestione del personale. Qualche anno fa ho scoperto il piacere della scrittura e della saggistica cosa che mi ha permesso di dare vita a Pillole HR, il blog dove scrivo settimanalmente che conta ormai qualche centinaio di articoli, e di pubblicare alcuni manuali di psicologia del lavoro e delle organizzazioni. Insomma, ho fatto molte esperienze, diverse tra loro ma complementari che mi hanno permesso di sviluppare una professionalità a tutto tondo.

Perché le HR e qual è l’area delle risorse umane che più ti appassiona? 

Il lavoro nelle risorse umane è arrivato dopo la passione nata durante l’Università quando diedi l’esame di psicologia del lavoro, da lì è stato un crescendo di approfondimenti, di esperienze sul campo e di tante, tantissime domande ai senior con cui lavoravo. All’inizio della mia carriera ho avuto la possibilità di conoscere Spaltro e di lavorare con Majer e di interagire molti di quelli che consideravo i giganti della psicologia del lavoro in Italia. Con loro ho fatto esperienza sul campo e da loro ho ricevuto moltissimi stimoli e tante risorse. Come puoi intuire, in un ambiente così stimolante dal punto di vista intellettuale, la passione che era nata all’università non poteva che crescere e riversarsi nel lavoro che ho scelto.

I maggiori stimoli però me li hanno dati sempre le persone che lavorano in azienda. Non intendo solo manager e imprenditori ma anche i dipendenti, i collaboratori che creano spesso involontariamente meccanismi comportamentali e meccanismi relazionali che se non vengono gestiti bene possono essere deflagranti per l’organizzazione ma che per uno psicologo sono davvero interessanti. Il desiderio di capire i meccanismi che soggiacciono a qualunque scelta, ai comportamenti, alle motivazioni va poi di pari passo con la passione per lo studio e la ricerca, due aspetti che riempiono la vita di chi si occupa di persone e organizzazioni e che, nel mio caso, ha portato alla pubblicazione di alcuni manuali di psicologia pratica. Non posso dire che c’è un solo aspetto che mi appassiona, posso però dirti che il bello di questo lavoro è che non smetti mai di imparare perché c’è sempre qualcosa che ti stupisce.

Piero Vigutto, facilitatore nella gestione delle Umane Risorse di HR&O Consulting per Giada's Project
Piero Vigutto, facilitatore nella gestione delle Umane Risorse di HR&O Consulting per Giada’s Project

Da bambino cosa sognavi di fare ‘da grande’? 

Sognavo di fare l’inventore, strada che ho abbandonato dopo che ho quasi dato fuoco alla casa. Per un periodo ho pensato di fare l’avvocato, era l’adolescenza, e meno male che ho desistito ancor prima di iniziare. Se c’è un mestiere che non ho mai pensato di fare da grande era quello dello psicologo del lavoro, anche perché non sapevo neppure che esistesse un lavoro come questo. Devo dire però che, a pensarci bene, occuparsi di HR in azienda comporta sia le competenze dell’inventore come il problem solving, la capacità di capire come andranno le cose prima ancora di iniziare, la capacità di programmazione e progettazione, e pure quelle tipiche dell’avvocato come la dialettica, la conoscenza del diritto, capacità di mediare e quella di capire le organizzazioni. E ovviamente, visto che hai a che fare con le persone, aver studiato psicologia mi ha aiutato tantissimo.

Si sta parlando molto di quiet quitting, un fenomeno per alcuni versi già noto, ma forse diverso per altri. Che cosa ne pensi? Cosa dovrebbero fare le aziende per aumentare l’engagement dei propri collaboratori? 

Su questo argomento ho scritto recentemente un articolo. Il quiet quitting non ha nulla di nuovo è solo l’ennesimo inglesismo con cui si cerca di fare sensazionalismo mediatico chiamando in maniera diversa un fenomeno ben noto. Pensiamoci bene, il quiet quitting descrive la tendenza a fare il minimo indispensabile. Chiunque abbia fatto esperienza d’azienda sa che questo non è una novità, ognuno di noi potrebbe fare mille esempi di vita vissuta, il collega che alle 17 fugge così velocemente che potrebbe vincere i 100 metri alle olimpiadi, quello che fa finta di non sapere che doveva fare anche altro ma siccome nessuno glielo ha detto non lo ha fatto oppure quello che semplicemente non si prende la responsabilità di andare oltre a quanto previsto, disposto, ordinato. Non ditemi che è una novità. L’unica cosa nuova è che oggi ci si chiede come mai e questo è corretto. In un momento che vede una scarsità di offerta causa una piena occupazione che non si vedeva dagli anni ’70 e una domanda importante c’è da chiedersi non solo come attrarre persone, ma anche come tenersi quelle valide, da qui nascono alcuni spunti di riflessione che si traducono con la parola engagement una di quelle parole di cui si è abusato e che erano contenitori vuoti, ma ora devono essere pronunciate con un significato nuovo e significante. Trascurare il coinvolgimento delle persone significa partire zoppi ed essere eliminati a metà della corsa. 

Collegandomi per alcuni aspetti alla domanda precedente che ruolo hanno oggi la valutazione delle risorse, l’employee retention e l’employer branding? Come possono essere gestiti anche da piccole realtà con budget limitati? 

Argomenti interessanti e correlati, cerchiamo di metterli in linea. La valutazione della performance è forse lo strumento cardine su cui basare le politiche di gestione del personale. La domanda però è: quante aziende hanno strumenti anche home made di valutazione? Pochissime, eppure i premi di risultato vengono erogati, spesso a pioggia con il risultato che chi è un quiet quitter continuerà ad esserlo, chi non lo era lo diventerà. Le aziende, anche piccole, non possono più esimersi dall’implementare questo strumento e, se sai quello che fai, ci vuole davvero poco per crearne uno ad hoc. 

Politiche di attraction: cosa do al mio personale che gli altri non danno? Quali sono i motivi per cui le persone dovrebbero venire a lavorare nella mia azienda? Quali sono i benefit che erogherò (welfare, premi di risultato, benefit, ecc.)? Anche qui ci si pensa poco, si dà per scontato che le persone sappiano quello che facciamo e invece non è così perché spesso le imprese comunicano male. Arriviamo quindi all’employer branding: come comunico quello che faccio? A chi lo comunico? Lo faccio bene? Raggiungo il mio pubblico in maniera efficace? Non basta un articolo sul giornale, oggi le imprese devono essere presenti sui social e comunicare in maniera efficace, non sono argomenti da cui si può prescindere. Come sempre c’è chi lo ha capito e si sta muovendo con ottimi risultati, chi non lo ha capito subirà il mercato invece di cavalcare l’onda. In un mondo del lavoro completamente rivoluzionato dove si fa tanta fatica a trovare persone, investire in comunicazione ha un ritorno che si misura in risparmi di costi sulla ricerca e selezione, sul talent retention e sul calo di turnover. Oggi sono questi i veri ritorni sull’investimento.

A tuo avviso cosa può insegnare il marketing alle HR? Che rapporto hai con il marketing e la comunicazione?

Ho un ottimo rapporto, nel senso che ne riconosco il valore e cerco sempre sinergie con il reparto marketing. Come dicevo la comunicazione è importante e purtroppo molto spesso gli HR comunicano male o non comunicano affatto, ma non dobbiamo fargliene una colpa, semplicemente non è il loro lavoro. In un mondo sempre più iper specializzato pensare che un HR si occupi direttamente della comunicazione esterna è follia un po’ come pensare che chi si occupa di marketing faccia anche l’HR, in entrambi i casi abbiamo il preludio del disastro. Però se parliamo di comunicazione, l’HR deve avere almeno un’infarinatura.

Indispensabile oggi è l’uso dei social network, l’HR che non li conosce o non li usa non è un vero HR. Stare sui social significa saper scrivere un post e saper attrarre le persone comunicando nella maniera giusta. Per la comunicazione esterna è indispensabile la sinergia con il reparto marketing dove i due asset collaborano con una comunicazione congiunta che ha sia il fine di promuovere il brand sia quella di attirare la curiosità dei decantati talenti, senza dimenticare che una comunicazione HR-MKT fatta bene tiene conto dei colleghi degli altri reparti e li coinvolge attivamente, in quest’ultimo caso serve un giusto bilanciamento tra le relazioni che l’HR è riuscito a creare in azienda unitamente alle doti comunicative del marketing e un grande gioco di squadra tra i due reparti. Sono certo che nel prossimo futuro sarà sempre più frequente vederli lavorare insieme.

Tra qualche settimana inizierà la quarta edizione di #HRO 2022, una interessantissima convention con speaker di altissimo livello e numeri sempre in aumento, alla quale mi sono già iscritta. Cosa ti aspetti da questo evento? 

Mi aspetto quello che mi aspettavo gli anni scorsi, di ascoltare persone che hanno molto da dire, di confrontarmi con professioniste e professionisti, donne e uomini d’azienda disponibili a raccontare la loro esperienza e a darci spunti importanti da portare in azienda. #HRO è nato come momento di stimolo, di contaminazione di saperi e di professionalità. Chi ha partecipato si è sempre portato a casa qualcosa e non intendo il solito gadget ma idee, spunti, riflessioni. #HRO2022 deve essere anche un momento in cui le persone si confrontano, gli anni scorsi non sono mancate le domande dal pubblico e anche quest’anno ci sarà l’occasione per un confronto diretto. Questo secondo me deve essere #HRO.

Un altro progetto che stai seguendo è il Master in Innovative HR Management & HRBP di H-Demy, un percorso formativo altamente professionalizzante, riconosciuto dal MIUR e, punto essenziale e unico, improntato sulla pratica, aspetto non scontato, visto che molti altri corsi si rivelano prettamente teorici. Ci sveli qualcosa in più? 

Lo definirei un Must Have. Come tutti ho fatto molti corsi di approfondimento e di specializzazione, ogni volta cercavo di iscrivermi a percorsi pratici perché ero alla ricerca di strumenti che avrei potuto utilizzare nel mio lavoro. Il più delle volte ci sono riuscito, altre no. Sono partito da una necessità che ho sempre avuto e che ho scoperto poi essere comune a molti colleghi. Sono partito da qui, cercando di capire quali competenze serviranno al HR di domani, ho individuato le materie, cercato docenti che avessero come il desiderio di trasmettere quegli strumenti che faticosamente tutti noi abbiamo racimolato in decine di corsi. Volevo creare un percorso che racchiudesse in sé quello che era necessario portare in azienda. Quando ho terminato il programma mi sono confrontato con HR manager e CEO delle imprese e tutti mi hanno detto “È proprio quello che serve ad un’azienda”. Questo mi ha fatto capire di essere sulla strada giusta, ma ho voluto dare di più cercando anche l’accreditamento universitario.

È l’unico percorso che ti insegna facendo, ad esempio quando ti capita di imparare a strutturare un piano di welfare da chi li fa ogni giorno, creare un vero percorso di D&I, imparare ad utilizzare LinkedIn come un vero social recruiter o ad utilizzare i dati da una vera data analyst, il problem solving utilizzando il gioco del poker, la gestione del team direttamente dal comandante dell’Amerigo Vespucci e tutto nello stesso corso? Ci sono moduli che non troverai in nessun altro corso, ad esempio hai mai visto un percorso di formazione in cui un sindacalista ti insegna la contrattazione sindacale simulandone una con un avvocato giuslavorista e coinvolgendoti direttamente? O come strutturare una sanzione disciplinare partendo dal caso pratico? È stato così apprezzato che abbiamo avuto da subito molte richieste di informazioni e i primi iscritti e, essendo a numero chiuso, contiamo di esaurire i posti entro dicembre per iniziare a gennaio 2023 a formare i primi Innovative HR Manager and HRBP. 

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L’evento come strumento di marketing esperienziale: il caso Nonino

Quanto è importante un evento nelle strategie di marketing e comunicazione?

Gli eventi sono diventati parte integrante delle strategie comunicative e di marketing di aziende sia grandi che piccole. Essendo una amante degli eventi, amando organizzarli, gestirli e ovviamente anche parteciparvi, ho scelto di sviluppare la tesi finale del Master che stavo frequentando su di essi.

Il master, offerto dall’Università Niccolò Cusano, nello specifico si intitolava ‘Luxury Brand Management’ e è andato a toccare varie tematiche nelle aree del marketing, management, comunicazione, gestione ed economia.

Nel mio elaborato ho voluto approfondire il ruolo degli eventi e la loro grande capacità di far nascere emozioni e far vivere esperienze uniche.

L’evento, emozioni + esperienze

L’evento è un qualcosa di trasversale e adattabile, può avere varie forme dall’evento fisico, a quello completamente online a un mix dei due (basta pensare a che modifiche e novità sono state introdotte in quest’ultimo anno e mezzo segnato dalla pandemia covid e dal distanziamento).

Un evento è un qualcosa di unico, memorabile, limitato nel tempo e capace di essere ricordato. Ogni evento ha scopi ben precisi, i destinatari e gli obiettivi possono variare, ma dovrà essere in grado di far nascere emozioni ricordabili a lungo nel tempo.

Chi consuma è sempre più attento e ricerca una partecipazione in prima persona, reali emozioni, qualcosa di nuovo, non solo il prezzo più basso.

Il caso Nonino distillatori

Per dare un tocco più pratico e inserire un esempio positivo dell’utilizzo degli eventi come strumenti di marketing esperienziale, ho pensato di inserire un caso studio su un’azienda che amo molto: la Nonino Distillatori. Ho scelto questa azienda per il suo marketing del cuore, la sua umanità, le incredibili strategie di marketing messe in piedi negli anni e i grandi eventi di successo creati, come il Premio Nonino, tanto per menzionarne uno. In aggiunta a questo, altri elementi distintivi di questa azienda sono la qualità dei prodotti, il rispetto delle tradizioni e un occhio attento al territorio friulano.

Questo è il capitolo che più mi emoziona anche grazie all’intervista a una dei membri della famiglia Nonino, Francesca Bardelli Nonino. Con le sue parole mi ha fatto capire ancora di più tutto l’amore, passione, lavoro e innovazione che ci sono dietro i loro prodotti.

La mia tesi finale sugli eventi

Nella mia tesi, oltre agli elementi già menzionati sopra, ho inserito anche un sondaggio realizzato grazie all’aiuto e alle risposte di molti miei contatti su LinkedIn (grazie per aver partecipato). Il sondaggio era incentrato sul ruolo degli eventi e sulla possibile esistenza di un filo conduttore capace di unire tutte le varie tipologie.

A chi aveva partecipato avevo dato la mia disponibilità, in caso di interesse, a condividere il mio elaborato finale. Ora, master finito, andato bene, vorrei estendere questa possibilità a chiunque voglia.

Ecco allora che qui potete trovare la mia tesi completa.

E, se vi va, perché no, fatemi sapere che ne pensate.

E ora? Vado a brindare con un buon aperitivo Nonino, l’aperitivo dell’anno 2021.

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News Marketing di Fabio Antichi, una rubrica da seguire

Come restare al passo con le novità del settore marketing e affini nel tempo di un caffè o poco più? Io ti consiglio la rubrica News marketing di Fabio Antichi.
In un mondo sempre più veloce, è necessario restare aggiornati sulle novità. La scelta è vastissima. Corsi, newsletter, blog, rubriche, gruppi… Vista la varietà è facile perdersi e porsi domande come ‘Qual è il modo migliore per restare aggiornati? Che rubrica, blog, newsletter posso scegliere per conoscere gli ultimi trend in ambito marketing, social, digital?

Oggi mi piacerebbe soffermarmi su una rubrica che trovo molto utile, News Marketing. L’ho scoperta qualche tempo fa e, sarò sincera, non l’ho più lasciata. Vorrei fare qualche domanda al suo simpaticissimo ideatore per scoprire qualcosa di più.

Che ne dici, partiamo?

Perché seguire la rubrica New Marketing?


Ti indico quattro valide motivazioni per seguire questa rubrica:

  • il tone of voice usato. Fabio racconta tutte le novità più succulente con un tono ironico e scherzoso,
  • rapidità. Nella rubrica News Marketing Fabio presenta tutte le novità che trova con link e collegamenti. Se non hai la possibilità di ascoltare il suo video, puoi reperire rapidamente le informazioni che più ti interessano,
  • cadenza. Circa ogni due giorni trovo News Marketing nel mio feed di LinkedIn (ma se non la conoscevi o ti sei perso qualche puntata, puoi trovarle tutte sul suo sito). Ho cercato e ce n’è una postata addirittura il giorno di Natale.
  • molteplicità. News marketing non tratta solo notizie dal mondo del marketing. Parla anche di comunicazione, business, digital, social, e-commerce e innovazione. Diciamo che è altamente improbabile non trovare almeno una notizia di proprio interesse se lavori in questi campi o ne sei appassionato/a.

Ma chi è Fabio Antichi?


Cercando sul suo sito, Fabio si presenta così:

Divenuto Capofficina in un’azienda metalmeccanica scopre che è un lavoro troppo faticoso, così nel 2010 si ricicla nel Marketing

Fabio Antichi New Marketing chi è testo di presentazione
La presentazione di Fabio Antichi sul suo sito

Una presentazione curiosa, non trovi? Scopriamo ora qualcosa in più parlando direttamente con l’ideatore della video rubrica News Marketing.

Ciao Fabio, da dove è nata l’idea della rubrica video News Marketing?


Non è nata, è stata un caso. Avevo creato un servizio di shopping comparativo ma per poterlo usare avevo bisogno di almeno 50 account e da solo non li avevo, il servizio era gratis e quindi il modo più veloce che avevo per spiegare cosa era e coinvolgere altre persone era fare un video, a scriverlo mi sarebbe servito un sacco di tempo, e così feci un video senza pensarci. Ebbe successo e mi fece molto divertire, così, proseguii 😛 in sintesi era una richiesta di aiuto.

Da capofficina al marketing, un bel cambiamento. Ci racconti qualche cosa in più sul tuo percorso?


Mi iscrissi a ingegneria meccanica perché ho sempre amato i motori, alle superiori andavo molto bene e quindi l’affrontai con troppa leggerezza, i nuovi amici e gli stimoli della grande città fecero si che il mio
rendimento fosse pessimo eheheh. Sicché una sera al bar mi misi a parlare con un signore del più e del meno e alla fine lui mi disse, per me era un colloquio vieni a lavorare da me? E così fu.

Iniziai come apprendista saldatore ma feci carriera velocemente, il lavoro era bello e mi piaceva, ma anche molto faticoso e mi domandavo se avrei potuto supportare quei ritmi tutta la vita. In quegli anni si iniziava a parlare di SEO e mio padre che aveva già un’agenzia di programmazione mi invito a andare con lui. Iniziai così, poi da li fui chiamato da altra agenzia (Fortop) dove dopo un periodo iniziale a ora mi trasferii definitivamente e ho imparato molto. Infine da fine 2018 ho deciso di cambiare strada e sono approdato in Dibix.

Per lanciare la tua video- rubrica New Marketing al mattino, come svolgi la ricerca delle informazioni? Fai anche tu parte del fantomatico 5 AM club?


Non 5 ma 6 si eheheh. Non sono mai stato uno che dorme molto anche perché non vado a letto presto, credo sia perché sono ansioso. Nel giorno precedente se mi imbatto in qualcosa di curioso me lo segno, e al mattino in una mezzora ne cerco di nuovi, principalmente su LinkedIn e Google News, qualcosa mi viene suggerito da colleghi, metto insieme il tutto e sono pronto

So che hai in essere anche altre iniziative, come Aperì Web con Fabio. Ce ne parli?


Anche quello è un caso, avevo conosciuto Alice Albertelli perché ha un camperino vintage che mi piace un sacco e sicché volevo farle qualche domanda su cosa sia fare smart working da dentro un camper.
Dopo mesi di rimandi decidemmo di provare insieme a fare una diretta e ci divertimmo. Nei giorni seguenti mi arrivarono alcune richieste di intervista allo stesso modo, quindi riciclai il format e proseguii 😛

Aperì Web con Fabio Locandina
Un esempio di ‘L’Aperì Web con Fabio’

Qual è la domanda più ricorrente e quella più strana che ti hanno fatto i tuoi clienti?

Più ricorrente, quanto costa, quanto rende, in quanto tempo a pari merito eheheheeh. La più strana… non so, forse anni fa una persona voleva fare un altro Facebook pagandolo con al pensione della nonna.

Come ti tieni aggiornato?


Mi aggiorno contestualmente alla ricerca delle news, un tempo io cercavo le news e le condividevo al mattino con i colleghi in ufficio e ora l’ho trasposto online, ma era una cosa che facevo già prima. Invece cerco sempre del tempo per studiare qualcosa al di fuori dell’ambito professionale, biologia, ingegneria o boh, perché mi rendo contro che mi fa bene alla testa correlare e contenere punti di vista e conoscenze molto diverse fra loro. Purtroppo è sempre più difficile trovare il tempo necessario per leggere l’inutile, ma ti accorgi solo dopo un po’ quanto l’inutile fosse utile.

Concludendo direi che di motivi per seguire News Marketing ce ne siano molti. Posso solo che essere d’accordo con Fabio, tutto quello che si impara prima o poi torna utile.

C’era un detto che diceva ‘Una mela al giorno toglie il medico di giorno’. Io penso valga anche per le notizie e tu?

Parliamone sotto 🙂

Marketing myopia persona con capelli lunghi che coprono il viso e occhiali

Che cos’è la Marketing Myopia?

Ogni tanto anche le aziende hanno bisogno di inforcare un paio di occhiali o di indossare delle lenti a contatto per correggere il loro tiro.

Questa visione errata si chiama Marketing Myopia. Ne hai mai sentito parlare?

Di che cosa si tratta?


Viene chiamato marketing myopia l’errore che ogni tanto compiono certe aziende. Nello specifico quando le decisioni sono basate su ciò che si vuole e che ci si aspetta, piuttosto che su quello che il cliente target realmente desidera. Quando quindi vengono attribuiti ai clienti dei bisogni e dei desideri che in realtà non hanno.

Un po’ come quando a Natale da bambino ti regalavano un pigiamone, mentre tu volevi non volevi altro che un dinosauro giocattolo.

Marketing myopia, uno sguardo miope sul mercato.

Si usa il termine ‘miopia’ proprio perché l’azienda confonde i propri gusti e necessità con quelli dei clienti e prospect.

É un approccio per l’appunto ‘miope’ al marketing aziendale. Una visione a breve termine, focalizzata soprattutto sulla vendita e sullo sbaragliare i concorrenti, piuttosto che fornire un reale valore alla persona che si avvicina all’azienda e ai suoi prodotti.

Da dove nasce


Il padre di questa espressione è il professor Theodore C. Levitt. Utilizza per la prima volta questa frase in un suo articolo del 1960, intitolato per l’appunto ‘Marketing miopia’, pubblicato sull’Harvard Business Review.

Possibili soluzioni

Per evitare di restare incastrati nelle sue miopi sabbie mobili è essenziale ascoltare.

Chi? Il cliente, il mercato, le tendenze, ma non solo.

Di seguito trovi qualche possibile, seppur non esaustivo, accorgimento da seguire:

  • svolgere delle verifiche costanti su come viene percepito il tuo prodotto;
  • studiare il tuo target e capire che bisogni ha,
  • tenere monitorati i tuoi competitor, i loro nuovi prodotti e quelli in phase-out,
  • mettere al centro il cliente e la sua esperienza.

In conclusione, è quanto mai necessario avere un’attitudine vigile e pronta al cambiamento. Del resto, ben poche cose sono fatte per restare invariate e statiche nel tempo.