Una nuova intervista per Giada’s Project ad Antonella Gioia, Randstad HR Solution Consultant in Automobili Lamborghini S.p.A. Parleremo di marketing, comunicazione e HR e tutti i possibili punti in comune. Buona lettura.
Ciao Antonella, grazie per la partecipazione. Ci racconti qualcosa in più su di te e sul tuo percorso?
Ciao Giada, grazie a te per avermi coinvolta. Quando ci siamo sentite la prima volta, stavo facendo un On The Road nella mia regione, la Basilicata. Ci tengo a precisarlo perché è proprio da qui che comincia la mia storia con un Erasmus anticipato, come lo chiamo io, ovvero il trasferimento dalla mia terra d’origine a Bologna, la mia città adottiva. Mia madre era restia, “così lontano, perché non vai a Salerno o Napoli”, ma io ero convintissima. Triennale in Scienze politiche, sociali e internazionali con curriculum comunicazione e poi magistrale in Comunicazione pubblica e d’impresa, il Compass, com’è conosciuto ancora oggi!
Sono una persona che vive di attimi e intuizioni, più di pancia che di testa, e alla fine quel carpe diem ha funzionato. Dopo la magistrale mi sono candidata per una posizione di stage in Automobili Lamborghini come Employer Branding & Internal Communication support e da allora ho conosciuto un mondo professionale che prima ignoravo…se mi avessero chiesto cosa avrei voluto fare da grande, il mio job title attuale non era sicuramente previsto, semplicemente perché non conoscevo il settore.
Cosa ti ha spinta ad avvicinarti al mondo del marketing e della comunicazione?
Sono sempre stata appassionata di parole, soprattutto scritte. La comunicazione è il mio centro di gravità permanente, per citare un sommo poeta moderno. Le storie e le persone mi hanno sempre affascinato: quando ero più piccola volevo fare la scrittrice, poi la giornalista e oggi sono una comunicatrice. Credo che dietro ognuna di queste aspirazioni ci sia il mio grande bisogno di condivisione, che a volte mi fa dubitare del mio essere figlia unica, o forse è in realtà una conferma. “Marketing” è molte cose: quello che mi piaceva di più era la sottigliezza delle campagne di comunicazione e l’abilità con cui le parole venivano combinate, ma soprattutto la potenza con cui i messaggi trasformavano e indirizzavano i comportamenti. “Marketing” è ciò quel che faccio oggi, non sul prodotto, ma sull’azienda: l’employer branding è proprio il marketing delle risorse umane, definizione che uso per spiegare meglio quello che faccio.
Le famose “4 P” del Marketing mi sono tornate spesso utili, anche se basterebbe una piccola ricerca online per scoprire che oggi si è aggiunta una 5 P, che in realtà nell’employer branding è sempre stata la più importante: P di People, le persone al centro e misura di tutte le cose, in un nostalgico ritorno dell’antropocentrismo di età moderna.
Come sei approdata poi all’employer branding, una piacevole commistione tra marketing, comunicazione e HR?
Ricordo che quando lessi la posizione aperta su LinkedIn passai un pomeriggio intero ad approfondire il mondo dell’employer branding: a parte la traduzione letterale, non avevo idea di cosa fosse. Quello che mi rassicurava era la parte di “internal communication”, che era sicuramente più parlante e conosciuta in Italia. Esattamente come l’hai definito tu, sentivo di avere due cose dalla mia parte, marketing e comunicazione, mi mancava sicuramente la parte HR. All’Università la sociologia era tra le mie materie preferite, i comportamenti umani mi hanno sempre affascinato, per me le persone sono una grande miniera da scoprire.
Così ho provato ed eccomi qui!
Effettivamente il mondo delle Risorse Umane è stato una piacevole scoperta, che erroneamente associavo solo al recruiting e alla selezione.
Employer branding e comunicazione interna. Quali sono gli elementi da tenere sempre a mente per lavorare in questo ambito?
Fare employer branding è un po’ come quando la nonna parla del nipote alla vicina di casa: quanto orgoglio c’è in quegli occhi e in quel tono di voce? Ecco, bisogna essere capaci di raccontare l’azienda sotto quella luce e, affinché il racconto sia autentico, è fondamentale che i propri valori siano allineati a quelli corporate. Al centro di tutto rimangono le persone, con le loro esigenze, richieste e proposte, proprio come per la comunicazione interna, in cui ci si fa canali e collanti di una comunità che condivide non solo obiettivi di business, ma anche stralci di vita quotidiana. Forse l’elemento principale e imprescindibile è l’ascolto, cartina tornasole senza cui sarebbe impossibile disegnare qualunque percorso.
È un settore in continuo mutamento, non ci si annoia mai perché c’è sempre qualcuno o qualcosa da cui trarre ispirazione. È un ambito che si nutre di immaginazione e lungimiranza nel pensare a qualcosa che ancora non esiste, vive di idee folli ed esagerate che aspettano solo qualcuno che abbia il coraggio di pronunciarle. Più o meno la maggior parte dei progetti che portiamo avanti cominciano così, con un condizionale che poi diventa realtà.
Parlando di social network, qual è quello che usi di più e perché?
Senza dubbio Instagram, ma quasi a pari merito con LinkedIn. Instagram è più una sorta di album dei ricordi da andare a risfogliare nei momenti di nostalgia, mentre le Storie sono per me un modo per condividere non solo momenti, ma anche informazioni utili, notizie di attualità, sostegno alle battaglie che quotidianamente vengono portate avanti, soprattutto dalle minoranze.
Dico sempre che Instagram non dovrebbe essere un canale fine a sé stesso per nutrire la propria vanità, ma appunto uno strumento impegnato e una fonte di ispirazione. Ben vengano quindi le condivisioni volte a sensibilizzare su determinati argomenti oppure a consigliare posti da visitare, esperienze da fare o locali da provare.
LinkedIn invece è un’aula di scuola sempre aperta, in cui viene riservato a tutti un banchetto. Nonostante i job title risonanti, non c’è gerarchia. Lì davvero conta la sostanza e quello che hai da dire, perché il bello sta proprio nel riuscire ad innescare conversazioni. Cerco di essere attiva e costante nell’uso di LinkedIn perché penso che sia davvero uno strumento di formazione alla portata di tutti e chi non lo capisce spreca un’occasione preziosissima!
Ti confesso che ho una passione per i motori, dalle due ruote alle quattro ruote. Lavorando come HRPO Consultant di Randstad HR Solutions in Automobili Lamborghini S.p.A., non posso non chiederti qual è il tuo modello di vettura preferito.
Difficile scegliere, ma direi Urus, perché poliedrico e mediatore dei desideri più disparati. Un inno alla libertà e un invito alla massima espressione del sé, capace di andare sempre oltre. Urus è un modello inclusivo, che si propone a diversi target di clienti ed è capace di coniugare più esigenze e prospettive. La sua nascita deriva da una visione, concretizzata grazie al coraggio dell’azienda che ha anticipato i tempi e dettato le regole del gioco.
Se dovessi raccontarlo ai giovani talenti come richiede il tuo lavoro, cosa significa lavorare in Lamborghini, un sogno che molti vorrebbero veder realizzato?
Questa è la domanda più gettonata ai Career Days! Lavorare in Lamborghini significa accettare di mettersi in gioco e lasciare un impatto tangibile. Significa farsi portavoce di quel senso di responsabilità nei confronti della società che l’azienda si assume attraverso tanti progetti e iniziative. Lavorare in Lamborghini è quasi una missione, definita da un senso di appartenenza molto forte al Brand e ai suoi valori.
È un’azienda che chiede ma dà anche molto, in cui è la personalità di ognuno a fare la differenza. Entrare a far parte del team Lamborghini significa avere margine di spazio e azione per disegnare il proprio percorso in base alle proprie aspirazioni e ai propri desideri, oltre gli standard. Essendo una grande azienda, in ogni dipartimento si ha la possibilità di confrontarsi con tanti professionisti con background accademici e professionali diversi, un’ottima occasione per crescere e lasciarsi ispirare. È una sfida quotidiana con sé stessi per esplorare nuove direzioni, sognare più in grande ed evolvere insieme ad un team appassionato e visionario. Molti lo definiscono appunto “un sogno” …alla fine dei conti, provare per credere!
Da cosa ti lasci ispirare nel lavoro e nella vita?
Sono una gran chiacchierona e, come mi dissero una volta, sono molto generosa nel raccontarmi, ma la cosa da cui mi lascio ispirare maggiormente nel lavoro e nella vita è l’ascolto delle persone. Sono estremamente curiosa, penso che tutti abbiano qualcosa da dare, solo che bisogna essere capaci di accogliere. Dico sempre che ogni percorso è unico e irripetibile e ho imparato col tempo a non paragonarmi mai, piuttosto a registrare l’informazione, approfondirla e farla mia, capendo se e come portarla nella mia vita, partendo da una domanda: “Che valore mi dà questa cosa?” Di base sono una persona che cerca molto in maniera autonoma e condivide tanto, perché penso sia importante mettere in circolo le idee per farle sbocciare. E poi mi nutro di esperienze, che può essere visitare un posto nuovo, leggere un libro o partecipare ad un evento. Siamo costantemente bombardati da stimoli esterni, il segreto sta nel riuscire a selezionarli e filtrarli, per capire su cosa vale la pena concentrare attenzione ed energie.
Un libro che consiglieresti a chi si vuole avvicinare all’employer branding e comunicazione interna.
È un libro che ho incontrato grazie al corso di Psicologia della Comunicazione Sociale in triennale, “Le parole sono finestre (oppure muri)” di Marshall Rosenberg. Contiene tutti i principi della comunicazione empatica e non violenta, partendo innanzitutto da una comunicazione consapevole verso sé stessi, imparando ad ampliare il vocabolario delle emozioni. È lo γνῶθι σαυτόν dei greci, punto di partenza per poter accogliere gli altri. Un testo che dovrebbero leggere tutti, non solo chi vuole avvicinarsi all’employer branding o alla comunicazione interna. Non spoilero ulteriormente…buona lettura, con l’augurio di diventare tutti giraffe e non sciacalli!