Antonella Gioia, Employer branding e consultant Lamborghini per Giada's Project

Employer Branding, marketing e comunicazione con Antonella Gioia

Una nuova intervista per Giada’s Project ad Antonella Gioia, Randstad HR Solution Consultant in Automobili Lamborghini S.p.A. Parleremo di marketing, comunicazione e HR e tutti i possibili punti in comune. Buona lettura.

Ciao Antonella, grazie per la partecipazione. Ci racconti qualcosa in più su di te e sul tuo percorso?

Ciao Giada, grazie a te per avermi coinvolta. Quando ci siamo sentite la prima volta, stavo facendo un On The Road nella mia regione, la Basilicata. Ci tengo a precisarlo perché è proprio da qui che comincia la mia storia con un Erasmus anticipato, come lo chiamo io, ovvero il trasferimento dalla mia terra d’origine a Bologna, la mia città adottiva. Mia madre era restia, “così lontano, perché non vai a Salerno o Napoli”, ma io ero convintissima. Triennale in Scienze politiche, sociali e internazionali con curriculum comunicazione e poi magistrale in Comunicazione pubblica e d’impresa, il Compass, com’è conosciuto ancora oggi!

Sono una persona che vive di attimi e intuizioni, più di pancia che di testa, e alla fine quel carpe diem ha funzionato. Dopo la magistrale mi sono candidata per una posizione di stage in Automobili Lamborghini come Employer Branding & Internal Communication support e da allora ho conosciuto un mondo professionale che prima ignoravo…se mi avessero chiesto cosa avrei voluto fare da grande, il mio job title attuale non era sicuramente previsto, semplicemente perché non conoscevo il settore.

Antonella Gioia, Employer branding e consultant Lamborghini per Giada’s Project

Cosa ti ha spinta ad avvicinarti al mondo del marketing e della comunicazione?

Sono sempre stata appassionata di parole, soprattutto scritte. La comunicazione è il mio centro di gravità permanente, per citare un sommo poeta moderno. Le storie e le persone mi hanno sempre affascinato: quando ero più piccola volevo fare la scrittrice, poi la giornalista e oggi sono una comunicatrice. Credo che dietro ognuna di queste aspirazioni ci sia il mio grande bisogno di condivisione, che a volte mi fa dubitare del mio essere figlia unica, o forse è in realtà una conferma. “Marketing” è molte cose: quello che mi piaceva di più era la sottigliezza delle campagne di comunicazione e l’abilità con cui le parole venivano combinate, ma soprattutto la potenza con cui i messaggi trasformavano e indirizzavano i comportamenti. “Marketing” è ciò quel che faccio oggi, non sul prodotto, ma sull’azienda: l’employer branding è proprio il marketing delle risorse umane, definizione che uso per spiegare meglio quello che faccio.

Le famose “4 P” del Marketing mi sono tornate spesso utili, anche se basterebbe una piccola ricerca online per scoprire che oggi si è aggiunta una 5 P, che in realtà nell’employer branding è sempre stata la più importante: P di People, le persone al centro e misura di tutte le cose, in un nostalgico ritorno dell’antropocentrismo di età moderna.

Come sei approdata poi all’employer branding, una piacevole commistione tra marketing, comunicazione e HR?

Ricordo che quando lessi la posizione aperta su LinkedIn passai un pomeriggio intero ad approfondire il mondo dell’employer branding: a parte la traduzione letterale, non avevo idea di cosa fosse. Quello che mi rassicurava era la parte di “internal communication”, che era sicuramente più parlante e conosciuta in Italia. Esattamente come l’hai definito tu, sentivo di avere due cose dalla mia parte, marketing e comunicazione, mi mancava sicuramente la parte HR. All’Università la sociologia era tra le mie materie preferite, i comportamenti umani mi hanno sempre affascinato, per me le persone sono una grande miniera da scoprire.

Così ho provato ed eccomi qui!

Effettivamente il mondo delle Risorse Umane è stato una piacevole scoperta, che erroneamente associavo solo al recruiting e alla selezione. 

Employer branding e comunicazione interna. Quali sono gli elementi da tenere sempre a mente per lavorare in questo ambito?

Fare employer branding è un po’ come quando la nonna parla del nipote alla vicina di casa: quanto orgoglio c’è in quegli occhi e in quel tono di voce? Ecco, bisogna essere capaci di raccontare l’azienda sotto quella luce e, affinché il racconto sia autentico, è fondamentale che i propri valori siano allineati a quelli corporate. Al centro di tutto rimangono le persone, con le loro esigenze, richieste e proposte, proprio come per la comunicazione interna, in cui ci si fa canali e collanti di una comunità che condivide non solo obiettivi di business, ma anche stralci di vita quotidiana. Forse l’elemento principale e imprescindibile è l’ascolto, cartina tornasole senza cui sarebbe impossibile disegnare qualunque percorso.

 È un settore in continuo mutamento, non ci si annoia mai perché c’è sempre qualcuno o qualcosa da cui trarre ispirazione. È un ambito che si nutre di immaginazione e lungimiranza nel pensare a qualcosa che ancora non esiste, vive di idee folli ed esagerate che aspettano solo qualcuno che abbia il coraggio di pronunciarle. Più o meno la maggior parte dei progetti che portiamo avanti cominciano così, con un condizionale che poi diventa realtà.

Parlando di social network, qual è quello che usi di più e perché?

Senza dubbio Instagram, ma quasi a pari merito con LinkedIn. Instagram è più una sorta di album dei ricordi da andare a risfogliare nei momenti di nostalgia, mentre le Storie sono per me un modo per condividere non solo momenti, ma anche informazioni utili, notizie di attualità, sostegno alle battaglie che quotidianamente vengono portate avanti, soprattutto dalle minoranze.

Dico sempre che Instagram non dovrebbe essere un canale fine a sé stesso per nutrire la propria vanità, ma appunto uno strumento impegnato e una fonte di ispirazione. Ben vengano quindi le condivisioni volte a sensibilizzare su determinati argomenti oppure a consigliare posti da visitare, esperienze da fare o locali da provare.

LinkedIn invece è un’aula di scuola sempre aperta, in cui viene riservato a tutti un banchetto. Nonostante i job title risonanti, non c’è gerarchia. Lì davvero conta la sostanza e quello che hai da dire, perché il bello sta proprio nel riuscire ad innescare conversazioni. Cerco di essere attiva e costante nell’uso di LinkedIn perché penso che sia davvero uno strumento di formazione alla portata di tutti e chi non lo capisce spreca un’occasione preziosissima!

Ti confesso che ho una passione per i motori, dalle due ruote alle quattro ruote. Lavorando come HRPO Consultant di Randstad HR Solutions in Automobili Lamborghini S.p.A., non posso non chiederti qual è il tuo modello di vettura preferito.

Difficile scegliere, ma direi Urus, perché poliedrico e mediatore dei desideri più disparati. Un inno alla libertà e un invito alla massima espressione del sé, capace di andare sempre oltre. Urus è un modello inclusivo, che si propone a diversi target di clienti ed è capace di coniugare più esigenze e prospettive. La sua nascita deriva da una visione, concretizzata grazie al coraggio dell’azienda che ha anticipato i tempi e dettato le regole del gioco.

Se dovessi raccontarlo ai giovani talenti come richiede il tuo lavoro, cosa significa lavorare in Lamborghini, un sogno che molti vorrebbero veder realizzato?

Questa è la domanda più gettonata ai Career Days! Lavorare in Lamborghini significa accettare di mettersi in gioco e lasciare un impatto tangibile. Significa farsi portavoce di quel senso di responsabilità nei confronti della società che l’azienda si assume attraverso tanti progetti e iniziative. Lavorare in Lamborghini è quasi una missione, definita da un senso di appartenenza molto forte al Brand e ai suoi valori.

È un’azienda che chiede ma dà anche molto, in cui è la personalità di ognuno a fare la differenza. Entrare a far parte del team Lamborghini significa avere margine di spazio e azione per disegnare il proprio percorso in base alle proprie aspirazioni e ai propri desideri, oltre gli standard. Essendo una grande azienda, in ogni dipartimento si ha la possibilità di confrontarsi con tanti professionisti con background accademici e professionali diversi, un’ottima occasione per crescere e lasciarsi ispirare. È una sfida quotidiana con sé stessi per esplorare nuove direzioni, sognare più in grande ed evolvere insieme ad un team appassionato e visionario. Molti lo definiscono appunto “un sogno” …alla fine dei conti, provare per credere!

Da cosa ti lasci ispirare nel lavoro e nella vita?

Sono una gran chiacchierona e, come mi dissero una volta, sono molto generosa nel raccontarmi, ma la cosa da cui mi lascio ispirare maggiormente nel lavoro e nella vita è l’ascolto delle persone. Sono estremamente curiosa, penso che tutti abbiano qualcosa da dare, solo che bisogna essere capaci di accogliere. Dico sempre che ogni percorso è unico e irripetibile e ho imparato col tempo a non paragonarmi mai, piuttosto a registrare l’informazione, approfondirla e farla mia, capendo se e come portarla nella mia vita, partendo da una domanda: “Che valore mi dà questa cosa?” Di base sono una persona che cerca molto in maniera autonoma e condivide tanto, perché penso sia importante mettere in circolo le idee per farle sbocciare. E poi mi nutro di esperienze, che può essere visitare un posto nuovo, leggere un libro o partecipare ad un evento. Siamo costantemente bombardati da stimoli esterni, il segreto sta nel riuscire a selezionarli e filtrarli, per capire su cosa vale la pena concentrare attenzione ed energie.

Un libro che consiglieresti a chi si vuole avvicinare all’employer branding e comunicazione interna.

È un libro che ho incontrato grazie al corso di Psicologia della Comunicazione Sociale in triennale, “Le parole sono finestre (oppure muri)” di Marshall Rosenberg. Contiene tutti i principi della comunicazione empatica e non violenta, partendo innanzitutto da una comunicazione consapevole verso sé stessi, imparando ad ampliare il vocabolario delle emozioni. È lo γνῶθι σαυτόν dei greci, punto di partenza per poter accogliere gli altri. Un testo che dovrebbero leggere tutti, non solo chi vuole avvicinarsi all’employer branding o alla comunicazione interna. Non spoilero ulteriormente…buona lettura, con l’augurio di diventare tutti giraffe e non sciacalli!

Piero Vigutto, facilitatore nella gestione delle Umane Risorse di HR&O Consulting per Giada's Project

HR a 360° – Intervista a Piero Vigutto, facilitatore nella gestione delle Umane Risorse di HR&O Consulting

Buongiorno Piero, è un piacere e onore poterti intervistare. Ci racconti qualcosa in più su di te e sul tuo percorso professionale? 

Buongiorno Giada, grazie per avermi coinvolto in Giada’s Project. Che dire su di me… dopo la laurea in psicologia del lavoro e delle organizzazioni, ho conseguito due master di specializzazione in selezione e formazione del personale che sono stati il trampolino di lancio verso questo meraviglioso lavoro. Ho collaborato con società di consulenza, sono stato in azienda come HR Manager e consulente, ho avuto esperienza sia all’interno di PMI che in multinazionali dove ho progettato e realizzato sistemi di gestione delle risorse umane dal reclutamento, alla formazione, alla valutazione e gestione del personale. Qualche anno fa ho scoperto il piacere della scrittura e della saggistica cosa che mi ha permesso di dare vita a Pillole HR, il blog dove scrivo settimanalmente che conta ormai qualche centinaio di articoli, e di pubblicare alcuni manuali di psicologia del lavoro e delle organizzazioni. Insomma, ho fatto molte esperienze, diverse tra loro ma complementari che mi hanno permesso di sviluppare una professionalità a tutto tondo.

Perché le HR e qual è l’area delle risorse umane che più ti appassiona? 

Il lavoro nelle risorse umane è arrivato dopo la passione nata durante l’Università quando diedi l’esame di psicologia del lavoro, da lì è stato un crescendo di approfondimenti, di esperienze sul campo e di tante, tantissime domande ai senior con cui lavoravo. All’inizio della mia carriera ho avuto la possibilità di conoscere Spaltro e di lavorare con Majer e di interagire molti di quelli che consideravo i giganti della psicologia del lavoro in Italia. Con loro ho fatto esperienza sul campo e da loro ho ricevuto moltissimi stimoli e tante risorse. Come puoi intuire, in un ambiente così stimolante dal punto di vista intellettuale, la passione che era nata all’università non poteva che crescere e riversarsi nel lavoro che ho scelto.

I maggiori stimoli però me li hanno dati sempre le persone che lavorano in azienda. Non intendo solo manager e imprenditori ma anche i dipendenti, i collaboratori che creano spesso involontariamente meccanismi comportamentali e meccanismi relazionali che se non vengono gestiti bene possono essere deflagranti per l’organizzazione ma che per uno psicologo sono davvero interessanti. Il desiderio di capire i meccanismi che soggiacciono a qualunque scelta, ai comportamenti, alle motivazioni va poi di pari passo con la passione per lo studio e la ricerca, due aspetti che riempiono la vita di chi si occupa di persone e organizzazioni e che, nel mio caso, ha portato alla pubblicazione di alcuni manuali di psicologia pratica. Non posso dire che c’è un solo aspetto che mi appassiona, posso però dirti che il bello di questo lavoro è che non smetti mai di imparare perché c’è sempre qualcosa che ti stupisce.

Piero Vigutto, facilitatore nella gestione delle Umane Risorse di HR&O Consulting per Giada's Project
Piero Vigutto, facilitatore nella gestione delle Umane Risorse di HR&O Consulting per Giada’s Project

Da bambino cosa sognavi di fare ‘da grande’? 

Sognavo di fare l’inventore, strada che ho abbandonato dopo che ho quasi dato fuoco alla casa. Per un periodo ho pensato di fare l’avvocato, era l’adolescenza, e meno male che ho desistito ancor prima di iniziare. Se c’è un mestiere che non ho mai pensato di fare da grande era quello dello psicologo del lavoro, anche perché non sapevo neppure che esistesse un lavoro come questo. Devo dire però che, a pensarci bene, occuparsi di HR in azienda comporta sia le competenze dell’inventore come il problem solving, la capacità di capire come andranno le cose prima ancora di iniziare, la capacità di programmazione e progettazione, e pure quelle tipiche dell’avvocato come la dialettica, la conoscenza del diritto, capacità di mediare e quella di capire le organizzazioni. E ovviamente, visto che hai a che fare con le persone, aver studiato psicologia mi ha aiutato tantissimo.

Si sta parlando molto di quiet quitting, un fenomeno per alcuni versi già noto, ma forse diverso per altri. Che cosa ne pensi? Cosa dovrebbero fare le aziende per aumentare l’engagement dei propri collaboratori? 

Su questo argomento ho scritto recentemente un articolo. Il quiet quitting non ha nulla di nuovo è solo l’ennesimo inglesismo con cui si cerca di fare sensazionalismo mediatico chiamando in maniera diversa un fenomeno ben noto. Pensiamoci bene, il quiet quitting descrive la tendenza a fare il minimo indispensabile. Chiunque abbia fatto esperienza d’azienda sa che questo non è una novità, ognuno di noi potrebbe fare mille esempi di vita vissuta, il collega che alle 17 fugge così velocemente che potrebbe vincere i 100 metri alle olimpiadi, quello che fa finta di non sapere che doveva fare anche altro ma siccome nessuno glielo ha detto non lo ha fatto oppure quello che semplicemente non si prende la responsabilità di andare oltre a quanto previsto, disposto, ordinato. Non ditemi che è una novità. L’unica cosa nuova è che oggi ci si chiede come mai e questo è corretto. In un momento che vede una scarsità di offerta causa una piena occupazione che non si vedeva dagli anni ’70 e una domanda importante c’è da chiedersi non solo come attrarre persone, ma anche come tenersi quelle valide, da qui nascono alcuni spunti di riflessione che si traducono con la parola engagement una di quelle parole di cui si è abusato e che erano contenitori vuoti, ma ora devono essere pronunciate con un significato nuovo e significante. Trascurare il coinvolgimento delle persone significa partire zoppi ed essere eliminati a metà della corsa. 

Collegandomi per alcuni aspetti alla domanda precedente che ruolo hanno oggi la valutazione delle risorse, l’employee retention e l’employer branding? Come possono essere gestiti anche da piccole realtà con budget limitati? 

Argomenti interessanti e correlati, cerchiamo di metterli in linea. La valutazione della performance è forse lo strumento cardine su cui basare le politiche di gestione del personale. La domanda però è: quante aziende hanno strumenti anche home made di valutazione? Pochissime, eppure i premi di risultato vengono erogati, spesso a pioggia con il risultato che chi è un quiet quitter continuerà ad esserlo, chi non lo era lo diventerà. Le aziende, anche piccole, non possono più esimersi dall’implementare questo strumento e, se sai quello che fai, ci vuole davvero poco per crearne uno ad hoc. 

Politiche di attraction: cosa do al mio personale che gli altri non danno? Quali sono i motivi per cui le persone dovrebbero venire a lavorare nella mia azienda? Quali sono i benefit che erogherò (welfare, premi di risultato, benefit, ecc.)? Anche qui ci si pensa poco, si dà per scontato che le persone sappiano quello che facciamo e invece non è così perché spesso le imprese comunicano male. Arriviamo quindi all’employer branding: come comunico quello che faccio? A chi lo comunico? Lo faccio bene? Raggiungo il mio pubblico in maniera efficace? Non basta un articolo sul giornale, oggi le imprese devono essere presenti sui social e comunicare in maniera efficace, non sono argomenti da cui si può prescindere. Come sempre c’è chi lo ha capito e si sta muovendo con ottimi risultati, chi non lo ha capito subirà il mercato invece di cavalcare l’onda. In un mondo del lavoro completamente rivoluzionato dove si fa tanta fatica a trovare persone, investire in comunicazione ha un ritorno che si misura in risparmi di costi sulla ricerca e selezione, sul talent retention e sul calo di turnover. Oggi sono questi i veri ritorni sull’investimento.

A tuo avviso cosa può insegnare il marketing alle HR? Che rapporto hai con il marketing e la comunicazione?

Ho un ottimo rapporto, nel senso che ne riconosco il valore e cerco sempre sinergie con il reparto marketing. Come dicevo la comunicazione è importante e purtroppo molto spesso gli HR comunicano male o non comunicano affatto, ma non dobbiamo fargliene una colpa, semplicemente non è il loro lavoro. In un mondo sempre più iper specializzato pensare che un HR si occupi direttamente della comunicazione esterna è follia un po’ come pensare che chi si occupa di marketing faccia anche l’HR, in entrambi i casi abbiamo il preludio del disastro. Però se parliamo di comunicazione, l’HR deve avere almeno un’infarinatura.

Indispensabile oggi è l’uso dei social network, l’HR che non li conosce o non li usa non è un vero HR. Stare sui social significa saper scrivere un post e saper attrarre le persone comunicando nella maniera giusta. Per la comunicazione esterna è indispensabile la sinergia con il reparto marketing dove i due asset collaborano con una comunicazione congiunta che ha sia il fine di promuovere il brand sia quella di attirare la curiosità dei decantati talenti, senza dimenticare che una comunicazione HR-MKT fatta bene tiene conto dei colleghi degli altri reparti e li coinvolge attivamente, in quest’ultimo caso serve un giusto bilanciamento tra le relazioni che l’HR è riuscito a creare in azienda unitamente alle doti comunicative del marketing e un grande gioco di squadra tra i due reparti. Sono certo che nel prossimo futuro sarà sempre più frequente vederli lavorare insieme.

Tra qualche settimana inizierà la quarta edizione di #HRO 2022, una interessantissima convention con speaker di altissimo livello e numeri sempre in aumento, alla quale mi sono già iscritta. Cosa ti aspetti da questo evento? 

Mi aspetto quello che mi aspettavo gli anni scorsi, di ascoltare persone che hanno molto da dire, di confrontarmi con professioniste e professionisti, donne e uomini d’azienda disponibili a raccontare la loro esperienza e a darci spunti importanti da portare in azienda. #HRO è nato come momento di stimolo, di contaminazione di saperi e di professionalità. Chi ha partecipato si è sempre portato a casa qualcosa e non intendo il solito gadget ma idee, spunti, riflessioni. #HRO2022 deve essere anche un momento in cui le persone si confrontano, gli anni scorsi non sono mancate le domande dal pubblico e anche quest’anno ci sarà l’occasione per un confronto diretto. Questo secondo me deve essere #HRO.

Un altro progetto che stai seguendo è il Master in Innovative HR Management & HRBP di H-Demy, un percorso formativo altamente professionalizzante, riconosciuto dal MIUR e, punto essenziale e unico, improntato sulla pratica, aspetto non scontato, visto che molti altri corsi si rivelano prettamente teorici. Ci sveli qualcosa in più? 

Lo definirei un Must Have. Come tutti ho fatto molti corsi di approfondimento e di specializzazione, ogni volta cercavo di iscrivermi a percorsi pratici perché ero alla ricerca di strumenti che avrei potuto utilizzare nel mio lavoro. Il più delle volte ci sono riuscito, altre no. Sono partito da una necessità che ho sempre avuto e che ho scoperto poi essere comune a molti colleghi. Sono partito da qui, cercando di capire quali competenze serviranno al HR di domani, ho individuato le materie, cercato docenti che avessero come il desiderio di trasmettere quegli strumenti che faticosamente tutti noi abbiamo racimolato in decine di corsi. Volevo creare un percorso che racchiudesse in sé quello che era necessario portare in azienda. Quando ho terminato il programma mi sono confrontato con HR manager e CEO delle imprese e tutti mi hanno detto “È proprio quello che serve ad un’azienda”. Questo mi ha fatto capire di essere sulla strada giusta, ma ho voluto dare di più cercando anche l’accreditamento universitario.

È l’unico percorso che ti insegna facendo, ad esempio quando ti capita di imparare a strutturare un piano di welfare da chi li fa ogni giorno, creare un vero percorso di D&I, imparare ad utilizzare LinkedIn come un vero social recruiter o ad utilizzare i dati da una vera data analyst, il problem solving utilizzando il gioco del poker, la gestione del team direttamente dal comandante dell’Amerigo Vespucci e tutto nello stesso corso? Ci sono moduli che non troverai in nessun altro corso, ad esempio hai mai visto un percorso di formazione in cui un sindacalista ti insegna la contrattazione sindacale simulandone una con un avvocato giuslavorista e coinvolgendoti direttamente? O come strutturare una sanzione disciplinare partendo dal caso pratico? È stato così apprezzato che abbiamo avuto da subito molte richieste di informazioni e i primi iscritti e, essendo a numero chiuso, contiamo di esaurire i posti entro dicembre per iniziare a gennaio 2023 a formare i primi Innovative HR Manager and HRBP. 

logo università telematica Niccolò Cusano

Pro e contro di frequentare un’Università telematica

Università telematiche. Sul loro conto se ne sono dette – e se ne diranno ancora – tante: fasulle, valide, riconosciute dal Miur, comode per chi lavora, non allo stesso livello delle altre università, sopravvalutate, sottovalutate…

Se stai valutando l’idea di studiare o ricominciare a studiare e, tra le varie opzioni, stai prendendo in considerazione anche le università telematiche, ti posso raccontare la mia storia, sperando ti possa essere di aiuto o quantomeno di spunto.

Perché ho scelto un’università telematica

Da tempo volevo fare un master in ambito marketing, comunicazione e management, ma lavorando a tempo pieno e nemmeno tanto vicina a casa, conciliare gli orari e gli impegni con lo studio diventava difficoltoso. Ho fatto diverse ricerche, trovato master molto interessanti, ma, sebbene vi fosse in alcuni la famosa formula weekend, anche il giovedì e/o venerdì venivano considerati come giorni di lezione ed era necessario essere presenti. Trovandomi però in quelle giornate in ufficio e senza dono dell’ubiquità, ho desistito. Altri erano molto, molto interessanti, ma o troppo costosi oppure full time e abbandonare il lavoro – sebbene voglia cambiarlo e crescere, ma mi aiuta a fare esperienza oltre ad avere delle entrate – per studiare a tempo pieno, non se ne parlava.

Così, continuando con i miei approfondimenti, sono arrivata a scegliere un’università telematica. Nello specifico l’università degli studi Niccolò Cusano, sia per l’offerta formativa, che per il suo ranking e per l’essere riconosciuta dal Miur (qui trovi la lista), le sue modalità di accesso e per il prezzo (che non fa mai male).

Master in Luxury Brand Management Università Niccolò

Ho scelto questo master perché era il connubio migliore e più attuabile. Una bella proposta formativa con un buon mix di comunicazione, brand marketing, brand project, comunicazione di impresa, e sfera economica.

Ho potuto approfondire tematiche come il made in Italy, event management, creatività a più livelli, gestione di un brand, comunicazione integrata…

logo università telematica Niccolò Cusano

Attualmente sono alle fasi finali, in attesa della pubblicazione dell’appello dove poter discutere la mia tesi.

Leggermente OT, la mia tesi tratta gli eventi come strumenti di marketing e comunicazione, capaci di emozionare e far vivere esperienze uniche. In aggiunta? Un caso studio sulla famosa azienda di distillatori friulana, la Nonino. (Se ti va di leggerla fammelo sapere nei commenti e te la giro non appena termino il master)

Pro di una università telematica

Scegliere di studiare appoggiandosi ad un’università telematica può essere molto positivo per i seguenti punti:

  • orari flessibili
  • lezioni frequentabili ovunque e a qualunque ora
  • massima autonomia
  • ottimo compromesso tra la vita lavorativa, personale e formativa

Comoda, accessibile, personalizzabile e gestibile. Se hai problemi di tempo e spazio l’università telematica è la scelta ideale.

Contro di una università telematica

Optare per un’università telematica a scapito di una più ‘tradizionale’ ha però anche dei lati negativi. Flessibilità ed elasticità vedono dall’altro lato della medaglia un’elevata dove di autonomia e un percorso più solitario.

Qualche esempio?

  • ridotto contatto con i professori e compagni d’aula
  • minori possibilità di scambio e condivisione
  • ridotto rapporto diretto
  • vita di ateneo molto limitata

Il tutto diventa quasi solo virtuale. Se sei una persona che ama lo scambio diretto, i rapporti interpersonali, conoscere nuove persone e il senso di comunità, ti troverai un pò soletto.

Hai frequentato anche tu un’università telematica? Parliamone nei commenti.