Piero Vigutto, facilitatore nella gestione delle Umane Risorse di HR&O Consulting per Giada's Project

HR a 360° – Intervista a Piero Vigutto, facilitatore nella gestione delle Umane Risorse di HR&O Consulting

Buongiorno Piero, è un piacere e onore poterti intervistare. Ci racconti qualcosa in più su di te e sul tuo percorso professionale? 

Buongiorno Giada, grazie per avermi coinvolto in Giada’s Project. Che dire su di me… dopo la laurea in psicologia del lavoro e delle organizzazioni, ho conseguito due master di specializzazione in selezione e formazione del personale che sono stati il trampolino di lancio verso questo meraviglioso lavoro. Ho collaborato con società di consulenza, sono stato in azienda come HR Manager e consulente, ho avuto esperienza sia all’interno di PMI che in multinazionali dove ho progettato e realizzato sistemi di gestione delle risorse umane dal reclutamento, alla formazione, alla valutazione e gestione del personale. Qualche anno fa ho scoperto il piacere della scrittura e della saggistica cosa che mi ha permesso di dare vita a Pillole HR, il blog dove scrivo settimanalmente che conta ormai qualche centinaio di articoli, e di pubblicare alcuni manuali di psicologia del lavoro e delle organizzazioni. Insomma, ho fatto molte esperienze, diverse tra loro ma complementari che mi hanno permesso di sviluppare una professionalità a tutto tondo.

Perché le HR e qual è l’area delle risorse umane che più ti appassiona? 

Il lavoro nelle risorse umane è arrivato dopo la passione nata durante l’Università quando diedi l’esame di psicologia del lavoro, da lì è stato un crescendo di approfondimenti, di esperienze sul campo e di tante, tantissime domande ai senior con cui lavoravo. All’inizio della mia carriera ho avuto la possibilità di conoscere Spaltro e di lavorare con Majer e di interagire molti di quelli che consideravo i giganti della psicologia del lavoro in Italia. Con loro ho fatto esperienza sul campo e da loro ho ricevuto moltissimi stimoli e tante risorse. Come puoi intuire, in un ambiente così stimolante dal punto di vista intellettuale, la passione che era nata all’università non poteva che crescere e riversarsi nel lavoro che ho scelto.

I maggiori stimoli però me li hanno dati sempre le persone che lavorano in azienda. Non intendo solo manager e imprenditori ma anche i dipendenti, i collaboratori che creano spesso involontariamente meccanismi comportamentali e meccanismi relazionali che se non vengono gestiti bene possono essere deflagranti per l’organizzazione ma che per uno psicologo sono davvero interessanti. Il desiderio di capire i meccanismi che soggiacciono a qualunque scelta, ai comportamenti, alle motivazioni va poi di pari passo con la passione per lo studio e la ricerca, due aspetti che riempiono la vita di chi si occupa di persone e organizzazioni e che, nel mio caso, ha portato alla pubblicazione di alcuni manuali di psicologia pratica. Non posso dire che c’è un solo aspetto che mi appassiona, posso però dirti che il bello di questo lavoro è che non smetti mai di imparare perché c’è sempre qualcosa che ti stupisce.

Piero Vigutto, facilitatore nella gestione delle Umane Risorse di HR&O Consulting per Giada's Project
Piero Vigutto, facilitatore nella gestione delle Umane Risorse di HR&O Consulting per Giada’s Project

Da bambino cosa sognavi di fare ‘da grande’? 

Sognavo di fare l’inventore, strada che ho abbandonato dopo che ho quasi dato fuoco alla casa. Per un periodo ho pensato di fare l’avvocato, era l’adolescenza, e meno male che ho desistito ancor prima di iniziare. Se c’è un mestiere che non ho mai pensato di fare da grande era quello dello psicologo del lavoro, anche perché non sapevo neppure che esistesse un lavoro come questo. Devo dire però che, a pensarci bene, occuparsi di HR in azienda comporta sia le competenze dell’inventore come il problem solving, la capacità di capire come andranno le cose prima ancora di iniziare, la capacità di programmazione e progettazione, e pure quelle tipiche dell’avvocato come la dialettica, la conoscenza del diritto, capacità di mediare e quella di capire le organizzazioni. E ovviamente, visto che hai a che fare con le persone, aver studiato psicologia mi ha aiutato tantissimo.

Si sta parlando molto di quiet quitting, un fenomeno per alcuni versi già noto, ma forse diverso per altri. Che cosa ne pensi? Cosa dovrebbero fare le aziende per aumentare l’engagement dei propri collaboratori? 

Su questo argomento ho scritto recentemente un articolo. Il quiet quitting non ha nulla di nuovo è solo l’ennesimo inglesismo con cui si cerca di fare sensazionalismo mediatico chiamando in maniera diversa un fenomeno ben noto. Pensiamoci bene, il quiet quitting descrive la tendenza a fare il minimo indispensabile. Chiunque abbia fatto esperienza d’azienda sa che questo non è una novità, ognuno di noi potrebbe fare mille esempi di vita vissuta, il collega che alle 17 fugge così velocemente che potrebbe vincere i 100 metri alle olimpiadi, quello che fa finta di non sapere che doveva fare anche altro ma siccome nessuno glielo ha detto non lo ha fatto oppure quello che semplicemente non si prende la responsabilità di andare oltre a quanto previsto, disposto, ordinato. Non ditemi che è una novità. L’unica cosa nuova è che oggi ci si chiede come mai e questo è corretto. In un momento che vede una scarsità di offerta causa una piena occupazione che non si vedeva dagli anni ’70 e una domanda importante c’è da chiedersi non solo come attrarre persone, ma anche come tenersi quelle valide, da qui nascono alcuni spunti di riflessione che si traducono con la parola engagement una di quelle parole di cui si è abusato e che erano contenitori vuoti, ma ora devono essere pronunciate con un significato nuovo e significante. Trascurare il coinvolgimento delle persone significa partire zoppi ed essere eliminati a metà della corsa. 

Collegandomi per alcuni aspetti alla domanda precedente che ruolo hanno oggi la valutazione delle risorse, l’employee retention e l’employer branding? Come possono essere gestiti anche da piccole realtà con budget limitati? 

Argomenti interessanti e correlati, cerchiamo di metterli in linea. La valutazione della performance è forse lo strumento cardine su cui basare le politiche di gestione del personale. La domanda però è: quante aziende hanno strumenti anche home made di valutazione? Pochissime, eppure i premi di risultato vengono erogati, spesso a pioggia con il risultato che chi è un quiet quitter continuerà ad esserlo, chi non lo era lo diventerà. Le aziende, anche piccole, non possono più esimersi dall’implementare questo strumento e, se sai quello che fai, ci vuole davvero poco per crearne uno ad hoc. 

Politiche di attraction: cosa do al mio personale che gli altri non danno? Quali sono i motivi per cui le persone dovrebbero venire a lavorare nella mia azienda? Quali sono i benefit che erogherò (welfare, premi di risultato, benefit, ecc.)? Anche qui ci si pensa poco, si dà per scontato che le persone sappiano quello che facciamo e invece non è così perché spesso le imprese comunicano male. Arriviamo quindi all’employer branding: come comunico quello che faccio? A chi lo comunico? Lo faccio bene? Raggiungo il mio pubblico in maniera efficace? Non basta un articolo sul giornale, oggi le imprese devono essere presenti sui social e comunicare in maniera efficace, non sono argomenti da cui si può prescindere. Come sempre c’è chi lo ha capito e si sta muovendo con ottimi risultati, chi non lo ha capito subirà il mercato invece di cavalcare l’onda. In un mondo del lavoro completamente rivoluzionato dove si fa tanta fatica a trovare persone, investire in comunicazione ha un ritorno che si misura in risparmi di costi sulla ricerca e selezione, sul talent retention e sul calo di turnover. Oggi sono questi i veri ritorni sull’investimento.

A tuo avviso cosa può insegnare il marketing alle HR? Che rapporto hai con il marketing e la comunicazione?

Ho un ottimo rapporto, nel senso che ne riconosco il valore e cerco sempre sinergie con il reparto marketing. Come dicevo la comunicazione è importante e purtroppo molto spesso gli HR comunicano male o non comunicano affatto, ma non dobbiamo fargliene una colpa, semplicemente non è il loro lavoro. In un mondo sempre più iper specializzato pensare che un HR si occupi direttamente della comunicazione esterna è follia un po’ come pensare che chi si occupa di marketing faccia anche l’HR, in entrambi i casi abbiamo il preludio del disastro. Però se parliamo di comunicazione, l’HR deve avere almeno un’infarinatura.

Indispensabile oggi è l’uso dei social network, l’HR che non li conosce o non li usa non è un vero HR. Stare sui social significa saper scrivere un post e saper attrarre le persone comunicando nella maniera giusta. Per la comunicazione esterna è indispensabile la sinergia con il reparto marketing dove i due asset collaborano con una comunicazione congiunta che ha sia il fine di promuovere il brand sia quella di attirare la curiosità dei decantati talenti, senza dimenticare che una comunicazione HR-MKT fatta bene tiene conto dei colleghi degli altri reparti e li coinvolge attivamente, in quest’ultimo caso serve un giusto bilanciamento tra le relazioni che l’HR è riuscito a creare in azienda unitamente alle doti comunicative del marketing e un grande gioco di squadra tra i due reparti. Sono certo che nel prossimo futuro sarà sempre più frequente vederli lavorare insieme.

Tra qualche settimana inizierà la quarta edizione di #HRO 2022, una interessantissima convention con speaker di altissimo livello e numeri sempre in aumento, alla quale mi sono già iscritta. Cosa ti aspetti da questo evento? 

Mi aspetto quello che mi aspettavo gli anni scorsi, di ascoltare persone che hanno molto da dire, di confrontarmi con professioniste e professionisti, donne e uomini d’azienda disponibili a raccontare la loro esperienza e a darci spunti importanti da portare in azienda. #HRO è nato come momento di stimolo, di contaminazione di saperi e di professionalità. Chi ha partecipato si è sempre portato a casa qualcosa e non intendo il solito gadget ma idee, spunti, riflessioni. #HRO2022 deve essere anche un momento in cui le persone si confrontano, gli anni scorsi non sono mancate le domande dal pubblico e anche quest’anno ci sarà l’occasione per un confronto diretto. Questo secondo me deve essere #HRO.

Un altro progetto che stai seguendo è il Master in Innovative HR Management & HRBP di H-Demy, un percorso formativo altamente professionalizzante, riconosciuto dal MIUR e, punto essenziale e unico, improntato sulla pratica, aspetto non scontato, visto che molti altri corsi si rivelano prettamente teorici. Ci sveli qualcosa in più? 

Lo definirei un Must Have. Come tutti ho fatto molti corsi di approfondimento e di specializzazione, ogni volta cercavo di iscrivermi a percorsi pratici perché ero alla ricerca di strumenti che avrei potuto utilizzare nel mio lavoro. Il più delle volte ci sono riuscito, altre no. Sono partito da una necessità che ho sempre avuto e che ho scoperto poi essere comune a molti colleghi. Sono partito da qui, cercando di capire quali competenze serviranno al HR di domani, ho individuato le materie, cercato docenti che avessero come il desiderio di trasmettere quegli strumenti che faticosamente tutti noi abbiamo racimolato in decine di corsi. Volevo creare un percorso che racchiudesse in sé quello che era necessario portare in azienda. Quando ho terminato il programma mi sono confrontato con HR manager e CEO delle imprese e tutti mi hanno detto “È proprio quello che serve ad un’azienda”. Questo mi ha fatto capire di essere sulla strada giusta, ma ho voluto dare di più cercando anche l’accreditamento universitario.

È l’unico percorso che ti insegna facendo, ad esempio quando ti capita di imparare a strutturare un piano di welfare da chi li fa ogni giorno, creare un vero percorso di D&I, imparare ad utilizzare LinkedIn come un vero social recruiter o ad utilizzare i dati da una vera data analyst, il problem solving utilizzando il gioco del poker, la gestione del team direttamente dal comandante dell’Amerigo Vespucci e tutto nello stesso corso? Ci sono moduli che non troverai in nessun altro corso, ad esempio hai mai visto un percorso di formazione in cui un sindacalista ti insegna la contrattazione sindacale simulandone una con un avvocato giuslavorista e coinvolgendoti direttamente? O come strutturare una sanzione disciplinare partendo dal caso pratico? È stato così apprezzato che abbiamo avuto da subito molte richieste di informazioni e i primi iscritti e, essendo a numero chiuso, contiamo di esaurire i posti entro dicembre per iniziare a gennaio 2023 a formare i primi Innovative HR Manager and HRBP. 

Maria Micoli per Giada's Project

Recruiting 4.0, Orientamento e Instagram – Intervista a Maria Micoli

Ciao Maria, grazie per il tuo tempo che mi hai dedicato in mezzo alle tue tante attività. Raccontaci un po’ chi è Maria Micoli, dai suoi inizi ad oggi.

Se penso agli inizi mi viene in mente il mio 3° anno di Liceo Classico. Avevo scelto il liceo un po’ come accade a tanti: su suggerimento dei professori che ritenevano io fossi portata per le materie umanistiche e che una formazione di questo tipo sarebbe stata più completa. Vero, ma non del tutto perché non amavo materie come il latino e il greco. I primi anni non sono stati per nulla facili ma è proprio durante il terzo anno che queste difficoltà sono diventate una vera e propria crisi esistenziale.

Non mi sentivo nel posto giusto, non avevo voglia di andare a scuola, uscivo di casa al mattino e piuttosto passavo la giornata a casa dei miei nonni, il rapporto con i compagni di classe e gli insegnanti era teso, il mio impegno era pari a 0. E non poteva essere altrimenti visto che ero costretta a studiare qualcosa che non mi piaceva. Molti miei compagni avevano lo stesso problema e preferivano resistere, proseguire, arrivare alla fine per paura soprattutto di parlarne con la propria famiglia.

Le aspettative sono sempre molto alte nei confronti di noi giovani e un dietro-front pensiamo sempre possa deludere gli altri e ci dimentichiamo di quello che vogliamo noi. Per fortuna, invece, io ho deciso di parlarne.

La mia famiglia ha compreso questo mio disagio ed è stata molto accogliente nei confronti di una sofferenza che era diventata, nel frattempo, così evidente da influenzare la mia vita di tutti i giorni.

Di comune accordo, quindi, ho deciso di abbandonare la scuola e prendermi quello che oggi chiamiamo GAP YEAR, un periodo di pausa che però può essere riempito di esperienze e soprattutto di tempo per capire cosa fare davvero della propria vita lavorativa (e non solo). Era quello che mi serviva: tempo. Quello che nessuno ti concede perché viviamo in una società che ci impone di prendere in fretta una decisione che dovrà dar forma alla nostra carriera lavorativa e quindi alla nostra vita.

Ma quanti di noi a quell’età hanno il giusto grado di maturità per poter fare una scelta consapevole? Con il senno di poi, posso dirti che davvero in pochi sanno che direzione prendere e la stessa cosa accade anche dopo il diploma e dopo l’università. Il motivo? In Italia l’orientamento è qualcosa di ancora sconosciuto.

Ma torniamo a noi. Quella pausa era davvero quello di cui avevo bisogno. Sono ripartita da me e dai miei interessi e grazie a questi ho trovato me stessa. Fino a quel momento avevo divorato libri e libri di psicologia. Mi sono quindi iscritta al liceo socio-psico pedagogico e da lì non ho mai più avuto dubbi.

Maria Micoli per Giada's Project

Come ti sei avvicinata al mondo delle risorse umane?

Con la scelta del nuovo liceo avevo ben chiara la mia strada. Terminato, infatti, mi sono iscritta a Scienze e Tecniche Psicologiche dove ho scoperto Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni attraverso alcuni esami. Ho iniziato un approfondimento personale e questo mi ha portato ad individuare le Risorse Umane come la parte più strategica all’interno delle organizzazioni. Da quel momento in poi il mio destino era praticamente già segnato. Avevo deciso che mi sarei specializzata in questo e ne avrei fatto il mio futuro professionale.

Comunichi molto sia su LinkedIn che su Instagram. Quali sono le grandi differenze che riscontri tra le due piattaforme in termini di linguaggio, pubblico, contenuti e quali invece le somiglianze?

Rispetto ad altri social le conversazioni su Linkedin sono più limitate ma è un’ottima piattaforma per creare delle discussioni interessanti per il pubblico in target che scegliamo e, strategicamente, lavorare per ampliare il proprio network.

IG, invece, è diretto e informale. C’è Maria nella sua veste di Recruiter ma anche nella vita di tutti i giorni. Mi racconto ormai apertamente alla mia community attraverso le stories o IGTV portando anche il mio percorso di vita.

Infondo, ho solo una decina di anni in più rispetto al mio pubblico, ho vissuto e superato le stesse difficoltà e incertezze, ancora tutt’ora, e mi piace raccontarlo.

Da dove nasce recruiter.life?

Recruiter Life nasce nell’aprile del 2018. Ero alla mia seconda esperienza lavorativa e con la mia collega senior (diventata poi un’amica) ci divertivamo a riprendere i momenti più belli della nostra recruiter life. Creai una cartella in evidenza sul mio profilo IG personale, chiamandola propri così, e con il tempo ho iniziato a sentire il bisogno di condividere la mia vita da Recruiter con più persone con lo scopo di fare informazione e trovare un punto di contatto tra selezionatori e candidati che non sempre si comprendono. Nel gennaio 2021 tutto questo diventa il mio attuale profilo IG seguito da + 10k followers.

Da quest’anno hai aggiunto un ulteriore tassello alla tua carriera, diventando docente del Master Job Farm. Complimenti! Come sta andando questa esperienza? Quali sono le materie che insegni?

Ti ringrazio tantissimo! Devo dire che quest’anno è stato pieno di soddisfazioni. Attualmente ho un lavoro a tempo pieno da dipendente, sono una libera professionista e ora anche una docente. Allo stato attuale, siamo nella fase di progettazione e definizione del modulo che ho scelto: Social & Digital Recruiting. Non potevo occuparmi di qualcosa di diverso considerando che negli ultimi anni, a livello formativo e professionale, mi sono specializzata in quello che chiamiamo Recruiting 4.0.

Il Marketing e la Comunicazione hanno infatti cambiato il mondo delle risorse umane ed è importante capirne le logiche e gli strumenti che abbiamo a nostra disposizione. Il Master comunque partirà ad ottobre, al rientro dalle vacanze condividerò tutti i dettagli sui miei social.

Cosa ti ha spinta a diventare freelance?

La necessità di dedicarmi ai ragazzi. Come libero professionista, infatti, mi occupo di orientamento e fornisco consulenze personalizzate. Come raccontavo prima, attraverso la mia storia, l’orientamento scolastico e lavorativo è fondamentale ma è qualcosa di ancora poco applicato al nostro sistema scolastico. Di conseguenza, figure come la mia possono essere un punto di riferimento per i giovani che si approcciano al mondo del lavoro o che semplicemente non hanno ancora le idee chiare e, per questo motivo, hanno bisogno di essere guidati. In consulenza io faccio proprio questo: prendo per mano la persona, il suo obiettivo diventa il mio, e lavoriamo insieme per i risultati che abbiamo convenuto insieme.

Inoltre, mi permette di instaurare e seguire altre attività collegate alla formazione su temi legati all’ambito HR oppure su curriculum, ricerca di lavoro, orientamento e carriera.

In tutto quello che fai traspare la passione per il tuo lavoro. Tra i tanti aspetti positivi che può avere, qual è quello che ti affascina e motiva di più?

Lasciare il segno nella vita delle persone. Che sia il ricordo di una selezione o di un percorso di orientamento nel mio lavoro si creano rapporti che durano nel tempo. Sento ancora tutt’ora, ragazzi e ragazze che ho inserito nel mondo del lavoro quando io ho iniziato la mia carriera nelle risorse umane ed è bellissimo vederli crescere, diventare dei professionisti e rimanere, per loro, un punto di riferimento. Questo è il bello del mio lavoro.

Ci racconti qualcosa in più su due dei tuoi progetti: ORIENTIAMOCI e #dallapartedelcandidato?

Orientiamoci è il nome che ho scelto per la mia community di IG. La nostra community è aperta a chi vuole saperne di più sul mondo del lavoro, per chi è confuso e/o disorientato, per chi cerca il suo primo impiego, uno stage curriculare o una tesi in azienda, per chi vuole orientarsi nella variegata offerta formativa di scuole, università e corsi.  Il confronto con me e gli altri della community permette di accedere ad una maggiore conoscenza, consapevolezza e comprensione del mondo del lavoro con un focus sul mondo STEM, DIGITAL, SAP e HR.

#dallapartedelcandidato l’ho ideato, invece, per veicolare in modo chiaro i miei contenuti sui social. In un mondo in cui tutto sembra ruotare contro le nuove generazioni a causa della pandemia, della disoccupazione, delle aspettative e pressioni che il sistema ci impone volevo far capire che c’è qualcuno dalla loro parte. Ed eccomi qui, dalla parte del candidato.

Grazie Maria per aver condiviso con me i tuoi brillanti progetti e per aver approfondito tematiche non scontate come il Recruiting 4.0, l’orientamento e le potenzialità date da Instagram. Tienici aggiornati sugli sviluppi!

Alla prossima.

Giada’s projet

Se invece vi siete persi l’intervista precedente la trovate qui.

logo università telematica Niccolò Cusano

Pro e contro di frequentare un’Università telematica

Università telematiche. Sul loro conto se ne sono dette – e se ne diranno ancora – tante: fasulle, valide, riconosciute dal Miur, comode per chi lavora, non allo stesso livello delle altre università, sopravvalutate, sottovalutate…

Se stai valutando l’idea di studiare o ricominciare a studiare e, tra le varie opzioni, stai prendendo in considerazione anche le università telematiche, ti posso raccontare la mia storia, sperando ti possa essere di aiuto o quantomeno di spunto.

Perché ho scelto un’università telematica

Da tempo volevo fare un master in ambito marketing, comunicazione e management, ma lavorando a tempo pieno e nemmeno tanto vicina a casa, conciliare gli orari e gli impegni con lo studio diventava difficoltoso. Ho fatto diverse ricerche, trovato master molto interessanti, ma, sebbene vi fosse in alcuni la famosa formula weekend, anche il giovedì e/o venerdì venivano considerati come giorni di lezione ed era necessario essere presenti. Trovandomi però in quelle giornate in ufficio e senza dono dell’ubiquità, ho desistito. Altri erano molto, molto interessanti, ma o troppo costosi oppure full time e abbandonare il lavoro – sebbene voglia cambiarlo e crescere, ma mi aiuta a fare esperienza oltre ad avere delle entrate – per studiare a tempo pieno, non se ne parlava.

Così, continuando con i miei approfondimenti, sono arrivata a scegliere un’università telematica. Nello specifico l’università degli studi Niccolò Cusano, sia per l’offerta formativa, che per il suo ranking e per l’essere riconosciuta dal Miur (qui trovi la lista), le sue modalità di accesso e per il prezzo (che non fa mai male).

Master in Luxury Brand Management Università Niccolò

Ho scelto questo master perché era il connubio migliore e più attuabile. Una bella proposta formativa con un buon mix di comunicazione, brand marketing, brand project, comunicazione di impresa, e sfera economica.

Ho potuto approfondire tematiche come il made in Italy, event management, creatività a più livelli, gestione di un brand, comunicazione integrata…

logo università telematica Niccolò Cusano

Attualmente sono alle fasi finali, in attesa della pubblicazione dell’appello dove poter discutere la mia tesi.

Leggermente OT, la mia tesi tratta gli eventi come strumenti di marketing e comunicazione, capaci di emozionare e far vivere esperienze uniche. In aggiunta? Un caso studio sulla famosa azienda di distillatori friulana, la Nonino. (Se ti va di leggerla fammelo sapere nei commenti e te la giro non appena termino il master)

Pro di una università telematica

Scegliere di studiare appoggiandosi ad un’università telematica può essere molto positivo per i seguenti punti:

  • orari flessibili
  • lezioni frequentabili ovunque e a qualunque ora
  • massima autonomia
  • ottimo compromesso tra la vita lavorativa, personale e formativa

Comoda, accessibile, personalizzabile e gestibile. Se hai problemi di tempo e spazio l’università telematica è la scelta ideale.

Contro di una università telematica

Optare per un’università telematica a scapito di una più ‘tradizionale’ ha però anche dei lati negativi. Flessibilità ed elasticità vedono dall’altro lato della medaglia un’elevata dove di autonomia e un percorso più solitario.

Qualche esempio?

  • ridotto contatto con i professori e compagni d’aula
  • minori possibilità di scambio e condivisione
  • ridotto rapporto diretto
  • vita di ateneo molto limitata

Il tutto diventa quasi solo virtuale. Se sei una persona che ama lo scambio diretto, i rapporti interpersonali, conoscere nuove persone e il senso di comunità, ti troverai un pò soletto.

Hai frequentato anche tu un’università telematica? Parliamone nei commenti.