Buongiorno Giuseppe. Ci racconti qualcosa in più su di te e sul tuo percorso?
Sono calabrese e sono sempre stato amante della mia terra anche se, come tanti, sono stato costretto a lasciarla per trovare opportunità di lavoro. Infatti, dopo essermi laureato in Ingegneria all’Università di Cosenza, mi sono trasferito a Roma per iniziare a lavorare. Ho vissuto molti alti e bassi, come spesso accade. Un lavoro che non mi soddisfaceva abbastanza, la voglia di dimostrare quanto valevo. Così ho deciso di prendere e partire per la Spagna, dopo essere stato selezionato per una borsa di studio per seguire un progetto formativo per Giovani Imprenditori. Da lì è cambiato tutto, ho capito che la cosa che veramente mi appassionava era questa: creare qualcosa di mio.
Quando è nata l’idea di fondare Alteredu? Cosa ti ha spinto a fondare una startup?
La storia di Alteredu inizia in una regione, la Calabria, in cui c’è un forte necessità di riduzione del digital gap. Abbiamo notato esserci un’estrema necessità di educazione digitale per restare al passo con i tempi. La Calabria, infatti, oltre ad essere ultima in Europa come competenze digitali, si trova tristemente in cima alle classifiche europee anche per il numero elevato di giovani NEET (Not in education, employment or training) – persone, soprattutto di giovane età, che non hanno né cercano un impiego e non frequentano la scuola o corsi di formazione o di aggiornamento professionale. Da qui, abbiamo sentito il bisogno di fare qualcosa di concreto, cercando di dare una spinta ai giovani italiani. Siamo giovani calabresi con tanta voglia di fare, per questo abbiamo sentito la necessità di realizzare qualcosa di concreto per il nostro Paese, cercando di dare una spinta a tutti i giovani italiani. La Calabria spesso sale agli onori della cronaca per avvenimenti non sempre positivi, per questo vogliamo provare a invertire la tendenza, nel nostro piccolo, e provare a far conoscere la nostra regione anche per delle realtà positive ed innovative. Abbiamo pensato e realizzato Alteredu come una piattaforma online che propone corsi completamente online ed esclusivamente certificati. Abbiamo in catalogo più di 300 corsi ed ognuno può essere seguito comodamente da casa o da dove si preferisce, tramite pc, tablet o smartphone e ognuno rilascia un attestato valido ai sensi di legge. Nel 2020 stati scelti dal Ministero dell’innovazione tecnologica per inserire i nostri corsi nella piattaforma di Solidarietà Digitale, permettendo di offrire a chiunque i nostri corsi in maniera totalmente gratuita, pagando solo i costi dell’attestato per chi lo desiderasse. Qui si possono visualizzare i corsi gratuiti.
Oggi sei Founder e Direttore Ufficio Marketing di Alteredu. Quali sono le principali sfide che ti trovi ad affrontare? Quali sono gli obiettivi per i prossimi anni?
E’ un ruolo molto particolare che ho dovuto cucirmi sulle mie competenze, che erano abbastanza distanti da questo mondo. Ma quando c’è la passione – e in questo caso ce ne era veramente tanta – non è stato difficile entrare nei panni e nella testa di chi deve fare di tutto per far crescere il proprio progetto. Ho studiato e mi sono formato molto da autodidatta, sbagliando e riprovando, fino a capire cosa funzionava e cosa no. E una volta individuata la quadra, reiterare e continuare a crescere. Per quest’anno abbiamo grandi progetti, tutti con l’obiettivo di consacrarci come piattaforma di riferimento per la formazione certificata online. Vogliamo aumentare il nostro supporto ai giovani italiani, per attrezzarli ad essere pronti per il mercato del lavoro: a breve lanceremo nuovi ed innovativi corsi certificati dedicati proprio alle professioni che saranno più richieste nei prossimi mesi e forniremo a chi ci sceglie un aiuto per coniugare le loro competenze con le richieste provenienti dalle aziende, così da azzerare il gap che divide chi cerca lavoro con chi ha bisogno di personale qualificato nei diversi ruoli. In più vogliamo ampliarci sempre di più verso il mondo delle aziende e degli enti pubblici, fornendo loro formazione certificata per i propri dipendenti, attraverso sia i nostri corsi online certificati, ma anche tramite la nostra piattaforma e-learning proprietaria, che può essere personalizzata per le esigenze dell’azienda o ente pubblico.
Come si differenzia Alteredu dalle altre startup operanti nel mondo della formazione? Cosa può offrire ad un’azienda o a un singolo privato?
Alteredu si differenzia dalle altre startup nel mondo della formazione perché i nostri corsi rilasciano certificazioni riconosciute da enti come il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) e altri enti accreditati. Inoltre, i corsi di Alteredu possono essere utilizzati per ottenere crediti formativi, punteggi nei concorsi o per soddisfare i requisiti di formazione obbligatoria delle aziende. Ciò significa che gli studenti possono acquisire competenze professionali e accedere a opportunità di carriera utilizzando i corsi di Alteredu, oltre a migliorare la loro formazione accademica e professionale. Per le aziende, Alteredu può offrire programmi di formazione personalizzati per i dipendenti, aumentando così le loro competenze e migliorando la produttività aziendale. Per i privati, Alteredu offre la possibilità di accedere a percorsi formativi personalizzati, in modo da poter raggiungere i propri obiettivi di carriera o di apprendimento in modo efficiente. Inoltre, l’azienda può assolvere a tutti gli obblighi formativi previsti dalla legge, grazie al nostro ampio catalogo di corsi certificati.
Sei anche Presidente di FuturoDigitale Non-profit Association. Ce ne parli?
Futuro Digitale è un’associazione no profit fiore all’occhiello della Calabria che da ormai dieci anni partecipa in progetti europei in giro per il continente, e di cui nel 2020 ho avuto l’onore di essere eletto Presidente. Futuro Digitale offre una vasta gamma di servizi, tra cui eventi, workshop e programmi di mentoring, per aiutare le persone a sviluppare le competenze digitali necessarie per affrontare le sfide e cogliere le opportunità dell’era digitale. Inoltre l’associazione promuove progetti di ricerca e sviluppo per migliorare l’educazione digitale e la formazione professionale in Italia e in Europa. L’associazione è impegnata a promuovere l’inclusione sociale attraverso l’educazione digitale, raggiungendo persone di tutte le età, sesso, abilità e background socio-economico e lavorando in partnership con istituzioni pubbliche, organizzazioni private e comunità locali per promuovere una società digitale più equa e inclusiva.
Cosa consiglieresti a una persona che vorrebbe avvicinarsi al mondo delle startup?
Prima di entrare in questo mondo, bisogna innanzitutto capire di cosa tratta il mercato e la nicchia in cui vuoi entrare. Ad esempio noi di Alteredu abbiamo visto che in Calabria e in Italia c’era un forte bisogno di formazione professionalizzante per entrare nel mondo del lavoro.
Poi bisogna costruire una squadra forte e competente, avere un piano d’azione solido e sfruttare tutte le risorse disponibili per le startup come acceleratori o programmi di mentoring. E’ importante avere una mentalità flessibile ed essere sempre pronti a imparare, non avere paura di chiedere aiuto e fare networking.
E soprattutto, devi avere passione per quello che fai. Non bisogna mollare di fronte alle difficoltà, perché il mondo delle startup è pieno di ostacoli, ma quelli che alla fine ce la fanno sono quelli che non si arrendono.
Quanto è stato utile il tuo percorso di studi nello sviluppo della tua carriera? Quali sono i temi che ti hanno appassionato di più?
Sicuramente è stato utile, ma più a livello di soft skills che di hard skills. Le hard skill mi hanno fornito una mentalità programmatica che è stata utile a livello di problem solving e management, ma tutto il resto lo ha fatto lo studio da autodidatta, che è stato fondamentale. Ho dedicato tanto tempo libero per formarmi sulle tecniche di digital marketing, SEO e copywriting. Queste sono state sicuramente le tematiche che più mi hanno preso e interessato, e mi hanno fatto appassionare al mondo del marketing e delle startup.
Buongiorno Riccardo, ben ritrovato. Ci racconti qualcosa in più su di te e sul tuo percorso nelle risorse umane?
Ciao Giada. Grazie anzitutto per la tua disponibilità.
Il mio percorso professionale in ambito HR è iniziato appena dopo la laurea, nel 2007, quando sono stato inserito in stage presso una storica realtà del settore metalmeccanico nella mia città, Varese, e nella quale ho imparato le basi della selezione di profili del contesto logistico e produzione. Dopo di allora, ho sempre lavorato presso società di servizi, prima, e studi professionali, poi, occupandomi sempre di ricerca e selezione e di consulenza strategica.
Cosa ti ha spinto ad avvicinarti alle risorse umane?
Ho sempre avuto un forte interesse per la comunicazione e la possibilità di imparare interagendo con gli altri. Ciò che mi piace molto del mio lavoro, è appunto la comunicazione e l’apprendimento costante dalle persone con cui mi relaziono.
Sul tuo profilo scrivi una frase molto bella ‘HR: Human Resources? No! Human Relations’. Ci approfondisci il concetto?
A mio avviso, a rischio di dire una cosa banale, non si deve parlare di risorse umane ma di relazioni umane. È una cosa, questa, che ho imparato da un professionista del settore (una persona splendida e con grandissima competenza in ambito HR!): le relazioni umane sono alla base del mio lavoro, e le persone con cui mi relaziono (candidati o aziende che siano) sono lo scopo della mia professione.
Le persone non sono il mezzo del successo, ma sono lo scopo del successo: successo è solo se si crea una relazione virtuosa tra azienda e candidato, non se si chiude una selezione. Per questo HR significa, per me, Relazioni Umane.
Come hai visto cambiare l’area della ricerca e selezione nei tuoi oltre 10 anni di esperienza in questo ambito?
Nella mia esperienza ho visto cambiare molto il mercato e i parametri di riferimento. Mentre, anni fa, si valutavano molto le competenze tecniche, adesso si considerano molto (e giustamente) anche quelle trasversali (le soft skills), che sono elemento cruciale nell’analizzare una figura professionale. Non occorre, infatti, solo individuare una persona competente in un settore, ma anche una persona con cui si possa creare una sana relazione professionale, utile alla crescita aziendale e al benessere interno.
Quando un’azienda cerca una figura professionale, solitamente è perché manca una competenza (tecnica); però non è solo la competenza tecnica che occorre trovare – io non devo cercare ciò che il cliente mi chiede, ma aiutare il cliente a capire ciò che gli serve e lì indirizzare il mio lavoro -, ma anche quella trasversale (es. comunicazione, capacità di interazione, ecc.).
Fin dal primo contatto che abbia avuto, ho riconosciuto in te una persona disponibile, empatica ed estremamente gentile e disponibile, caratteristiche essenziali per chi vuole lavorare nelle HR. Cos’altro pensi serva sia a livello di soft skill che di hard skill?
A mio avviso, ciò che serve maggiormente è l’umiltà di voler imparare ogni giorno, ad ogni colloquio, qualcosa di nuovo (sulla posizione, sul profilo professionale, su me stesso). Ho svolto centinaia di colloqui (credimi, non sono tanti) e ogni volta mi ripeto che uno dei miei obiettivi è imparare qualcosa che ancora non so, per poi migliorare nel mio lavoro e poter essere di aiuto al mio cliente (che sono sia l’azienda che i candidati).
Un libro (o film, canzone, ecc.) da leggere almeno una volta nella vita.
Ciao Valentina, grazie per la disponibilità. Ci parli un po’ di te e del tuo percorso professionale?
Grazie mille per avermi invitata a condividere il mio percorso. Attualmente mi occupo di sviluppo di carriera e talent management presso un fondo delle Nazioni Unite. Se al momento posso confermare di sentirmi nel mio posto, questa sensazione non ha caratterizzato gli ultimi 7 anni della mia vita. Il file rouge del mio percorso è la passione per le lingue e un amore immenso per la commistione tra culture. A parte questo, ho cambiato il lavoro dei sogni diverse volte, passando da ambasciatrice in Germania, una nazione che amo tantissimo, fino all’interprete. Il mio è quel percorso che i recruiter definirebbero come “non lineare”. Ho iniziato con una triennale in mediazione linguistica e interculturale, per poi proseguire con un master in interpretariato in lingua tedesca. Neanche quella sembrava essere la mia strada. Lo percepivo un ambiente troppo competitivo e non si allineava con il mio modo di vivere la vita e intendere il mondo del lavoro. Così, dopo il master ho proseguito con una laurea magistrale in Economia e Management Internazionale, con metà degli esami in lingua inglese. Ho proseguito poi la mia specializzazione in HR attraverso vari corsi gratuiti, un master di cui sono stata anche tutor e tanta formazione.
Risorse umane. Cosa ti ha spinta ad abbracciare questo ambito?
Durante la magistrale sentivo che stavo procedendo verso la giusta direzione, ma mi mancava ancora una meta definita. Questa illuminazione è arrivata mentre studiavo per un esame – l’unico dato da non frequentante, che casualità! – in Intelligenza Emotiva e gestione delle risorse umane. Lì, tutto ebbe un senso. Potevo unire la mia empatia e il desiderio di aiutare gli altri con uno dei miei principali talenti: trovare opportunità cucite sulle aspirazioni delle persone che mi stavano accanto. Dopo la laurea in Intelligenza Emotiva e gestione delle risorse umane nell’industry 4.0, non ho più abbandonato il mondo HR. Ho iniziato a pubblicare articoli per un blog del settore e poi ho deciso di dedicarmi al mio progetto personale More Human Resources.
Cosa significa lavorare in UNFPA?
Lavorare con il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione significa contribuire al raggiungimento di 3 obiettivi fondamentali:
porre fine alla violenza di genere,
favorire la salute riproduttiva di donne e giovani,
impedire che altre donne muoiano come conseguenza del parto.
Anche se non sono nel field a gestire programmi, lavorare nelle risorse umane mi permette di prendermi cura dello sviluppo di carriera delle persone che lavorano nelle varie regioni del mondo. Quindi, analizzare i bisogni di sviluppo specifici per diversi ruoli e definire programmi ad hoc è comunque un’attività di grande valore, perché permette all’organizzazione di raggiungere in modo più efficace gli obiettivi citati.
Ci racconti qualcosa in più sul tuo progetto personale More Human Resources?
Il progetto More Human Resources è nato in un periodo molto difficile del mio percorso professionale. Mi sono laureata a marzo 2020 e il momento storico era molto particolare, di sicuro non il più favorevole per trovare uno stage. Così, ho cercato di fare di questa frustrazione qualcosa di utile. Avevo tantissime risorse a disposizione sul mondo della formazione e del lavoro, grazie al mio tirocinio curriculare svolto durante la magistrale come editrice di un sito che si occupava di aiutare i giovani a trovare opportunità di lavoro e corsi in Italia e all’estero.
Mentre cercavo di focalizzare il mio obiettivo di carriera, volevo dare un senso a quel periodo lavorando sulla mia mission, che è quella di migliorare il livello e la qualità dell’informazione dei giovani sul mondo del lavoro, far conoscere loro le diverse opportunità a disposizione e accompagnarli in questo viaggio alla scoperta di sé. Da questa missione, a novembre 2020 è nato More Human Resources, una pagina Instagram su cui condivido opportunità di formazione, borse di studio, offerte di stage e lavoro, percorsi di sviluppo delle soft skill, e non solo. Essendo oggi una professionista HR in organizzazioni internazionali, una parte dei contenuti è dedicata a rendere più comprensibile il lavoro in realtà che spesso intimoriscono.
Il progetto More Human Resources nasce poi da una promessa di tanti anni fa: contribuire, nelle mie possibilità, a far in modo che nessun giovane debba rinunciare al proprio obiettivo di carriera soltanto perché non ha le risorse per raggiungerlo da sé. Un’altra parte fondamentale della mia attività di informazione è legata a consigli pratici sulla stesura del CV e della lettera motivazionale. Tutto risponde all’obiettivo di aiutare i giovani che mi seguono a sviluppare un’idea più chiara sul mondo del lavoro e avviare la loro carriera con più consapevolezza di sé e delle opportunità a loro disposizione.
Perché scegliere di fare un’esperienza di volontariato in Italia e/o all’estero?
Che il nostro obiettivo sia quello di lavorare all’estero o restare in Italia, svolgere un’esperienza di volontariato online o in sede significa iniziare a uscire dal mondo della formazione per inserirsi in quello professionale. Perché intendo esperienze di volontariato come esperienze di lavoro? Perché attraverso queste attività siamo in grado di capire come si comunica all’interno di un team, come possiamo gestire il tempo per raggiungere un determinato output e in che modo definiamo il nostro ruolo all’interno di un’organizzazione. Queste sono le differenze principali con la formazione universitaria che, sebbene di grande valore, credo sia ancora più valida se completata da esperienze di questo tipo.
Le soft skill che apprendiamo attraverso un’attività di volontariato, che sia all’estero o dal nostro divano, ci faranno vivere la prima esperienza di stage o lavoro in maniera molto più consapevole. Il volontariato è uno degli argomenti che tratto più spesso sulla pagina, proprio perché ritengo che sia di grande valore. La mia esperienza con il volontariato risale al liceo, quando iniziai a fare la volontaria con la Protezione Civile del mio paese perché sapevo che mi avrebbe dato CFU utili. Quello che non sapevo, però, era quanto di me avrebbe cambiato e migliorato in qualità di individuo.
Un altro elemento che vorrei condividere su questo argomento è l’importanza del networking che esperienze simili possono aiutarci a costruire. Probabilmente molti giovani non lo sanno, ma almeno il 70% della ricerca di lavoro dovrebbe essere costituita da attività di networking. Questa è spesso una delle ragioni per cui inviare il CV non ci fa ottenere i risultati sperati. Se solo qualcuno me lo avesse detto 2 anni fa mentre mi chiedevo cosa non andasse in me, dato che nonostante un percorso accademico di eccellenza non trovavo un’opportunità di stage! Questa riflessione mi ha portata a sviluppare una guida sul networking per lo sviluppo di carriera, disponibile gratuitamente sulla pagina.
Quali sono i primi passi da muovere per una carriera internazionale?
Una carriera internazionale può essere tante cose: lavorare in lingua inglese con un’azienda multinazionale in Italia, trasferirsi all’estero, lavorare da remoto presso un’organizzazione internazionale, ecc. Il primo consiglio che posso dare è quello di fare un’analisi del proprio obiettivo professionale di breve e medio termine e preparare su questo un piano di carriera. Il piano deve essere elaborato attorno a una SWOT analysis che ci aiuti a individuare le nostre aree di forza, quelle in cui possiamo migliorare, eventuali sfide dall’ambiente esterno e opportunità a nostra disposizione. In base a questo, possiamo poi decidere quale di questi diversi contesti fa per noi. Ricordandosi che il piano di carriera cambia in base a come si evolvono i nostri bisogni, ci sono delle competenze o requisiti comuni per lavorare nei vari scenari indicati prima. Ad esempio, avere una buona conoscenza delle lingue, almeno dell’inglese. Anche sulle questo, fare una ricerca di quelle più richieste dal contesto di interesse è molto rilevante. Se so che per lavorare con l’Unione Europea il francese è quasi sempre richiesto, incrementare le conoscenze di questa lingua mi aiuteranno ad avere un ventaglio maggiore di opportunità a cui candidarmi. In merito a questo, qualche tempo fa ho pubblicato un reel sulla differenza tra i requisiti per entrare nel mondo dell’ONU e nelle istituzioni europee. Qual è il messaggio? Se continuo a puntare su una direzione che non è (ancora) la mia, non posso pretendere un risultato diverso nel breve termine. E’ un po’ quello che cercavo io subito dopo la laurea. Mi candidavo soltanto per posizioni HR con agenzie per il lavoro, e avevo bisogno che fossero da remoto. Per un anno non sono riuscita a ottenere uno stage. Il problema non ero io, ma il contesto in cui mi candidavo, in cui le mie competenze di comunicazione interculturale, la conoscenza delle lingue e la formazione internazionale non erano utili all’agenzia. Nel momento in cui ho iniziato a candidarmi per le realtà che cercano questo tipo di background, allora le cose sono iniziate a cambiare.
Quindi, per concludere: prenditi il tempo di capire cosa cerchi, fare un bilancio di competenze e/o interessi, capire come questi possono tradursi in attività lavorative e candidati per i contesti in cui il tuo profilo aggiunge valore. Datti tempo. Per trovare il mio primo stage nell’ONU ci è voluto un anno e 163 candidature in cui ho ricevuto un “NO” come risposta. Prendi questi feedback e valorizzali per capire se hai bisogno di specializzare la tua formazione in una funzione precisa o per rendere più efficace il modo in cui ti presenti tramite CV, cover letter e interazioni sui social. Ricorda che il NO è rivolto al tuo profilo per quella posizione specifica e in quel momento definito. Non è un rifiuto nei confronti della tua persona. Questo è importantissimo da ricordare!
Una convinzione che molti neolaureati e neolaureate hanno sulle carriere internazionali è che avere una laurea in relazione internazionali sia l’unica cosa che conta. In realtà, questo ci allinea con il contesto, ma non necessariamente con la posizione. A meno che tu non lavori in ambiti di ricerca, le funzioni in cui ti inserirai sono molto specializzate, come legal, HR, marketing, strategic partnership e molto altro. Ecco perché è importante iniziare ad acquisire competenze pratiche attraverso tirocini, esperienze di volontariato, collaborazioni o progetti personali in quel particolare ambito.
Un consiglio che daresti a chi si è appena laureato e cerca di inserirsi nel mondo del lavoro.
Oltre a quello di seguire la mia pagina e gli altri progetti di content creator in ambito Risorse Umane o nel settore specifico per cui si cercano opportunità, il mio consiglio più grande è informarsi. Questa per me è la parola chiave. Innanzitutto, partire dal conoscere le posizioni a cui puoi candidarti grazie al tuo percorso di studi. Le università stanno iniziando a mettere in atto opportunità di mentoring, placement e altre occasioni di confronto con chi è già inserito nel mondo del lavoro. A questo si aggiunge il nostro approccio più mirato. Ad esempio, se ho una laurea in relazioni internazionali e non so a quali posizioni candidarmi oltre alle più note, posso visitare i portali del lavoro, cercare “relazioni internazionali” e scoprire che dal candidarmi soltanto presso ambasciate, di fatto posso ricoprire posizioni in ambito HR, legal, comunicazione, ricerca, analisi dati, relazioni istituzionali e molto altro ancora. Questo vale per tanti altri percorsi che ci offrono una base di conoscenze molto ampia, che poi possiamo imparare indirizzare verso un percorso specifico. Una volta individuate le principali posizioni che mi interessano, il secondo step può essere quello di cercare su LinkedIn persone che svolgono quella posizione per capire di cosa si occupano in concreto, connettersi con loro e trovare dei role model o mentor che ci possano fornire gli strumenti e le conoscenze utili su quel settore particolare, che avrà le proprie caratteristiche e peculiarità difficili da captare se non lo viviamo dall’interno.
Faccio un esempio pratico: per lavorare in HR presso le aziende oggi la combinazione triennale più master sembra essere quella più efficace. Questo però non è necessariamente il caso di una persona che vuole lavorare in organizzazioni internazionali, perché il nostro master non è equiparato a una magistrale per il sistema UN. Questi consigli e informazioni sono qualcosa che soltanto chi lavora nel settore conosce. Ecco perché da poco ho iniziato anche la rubrica “Ti spiego il lavoro con le Nazioni Unite” e ho reso disponibile sul profilo una guida gratuita su come lavorare nell’ONU. Per la stessa ragione, quando dei giovani mi chiedono come iniziare a lavorare in settori che non conosco, come ingegneria o finance, li rimando alle creator che si occupano proprio di questo. Da candidati, non possiamo imparare a conoscere un settore in un mese, ma quello che possiamo fare per iniziare a capire come funziona è proprio il networking.
A tuo avviso quali sono le soft skill più richieste nel mondo del lavoro di oggi?
L’elemento delle soft skill è fondamento per il mio progetto. Chiamarlo More Human Resources aveva l’obiettivo di far capire ai giovani quanto ciò che ci distingue, alla fine, è ciò che ci caratterizza come persone, il nostro lato umano. Non è un caso se attività di volontariato, collaborazioni e attività affini sono quello che consiglio ai giovani di sperimentare. Quando mi sono trovata a selezionare tirocinanti, quello che potevo utilizzare come fattore che mi permettesse di differenziare il profilo di un candidato dall’altro sono proprio queste attività a cui tendiamo a dare minore importanza. A volte è importante osservarci dall’esterno, come farebbero i recruiter e chiederci: Tolta la formazione tecnica simile per tanti candidati, su cosa possono basare la mia valutazione i recruiter? Cosa comunico di me? Il percorso di studi è sufficiente a definire chi sono come persona o il contributo che posso offrire come professionista? Ci sono altre attività, anche meno rilevanti, che mi hanno permesso di sviluppare skill rilevanti per il ruolo?
Soprattutto per figure junior, in cui i profili sono simili, puntare sulle soft skill quando abbiamo già un buon livello di competenze hard richieste dalla posizione può facilitare il lavoro dei recruiter e aiutarli a capire meglio chi siamo e che ruolo potremmo avere in quel contesto. Esperienze che hanno permesso ai candidati di sviluppare le capacità comunicative, stare in un team con persone di background differenti, allenare l’ascolto attivo o svolgere attività di in cui hanno dovuto imparare a gestire situazioni complesse e con problemi inaspettati sono alcuni di quei contesti che permettono alla persona di maturare consapevolezza di sé e del proprio stile lavorativo. È questo che si cerca: una persona che sia in grado di partire da ciò che è ed essere abbastanza aperta all’apprendimento continuo da crescere insieme al team di cui entra a far parte. Concludo ribadendo che oltre a queste competenze più trasversali e comuni al mondo del lavoro di oggi, è importante capire quali sono le soft skill core per la posizione lavorativa che desideriamo ricoprire.
Un libro da leggere almeno una volta nella vita.
Un libro che ha dato una nuova direzione alla mia prospettiva è “Lavorare con Intelligenza Emotiva” di Daniel Goleman, da cui è iniziato il mio amore per questo argomento e su cui si è basata la mia tesi di laurea. Per quanto questo libro sia stato illuminante, vorrei consigliarne uno che raccoglie tanti degli argomenti trattati nella nostra intervista e che si ritrovano spesso nel mio progetto: “Funzionare o esistere” di Miguel Benasayag. Il testo mi ha appassionata particolarmente, perché è davvero attuale. È una domanda per me esistenziale, in quanto spesso ci troviamo di fronte al dilemma di scegliere tra comportarci senza commettere errori e “funzionare” oppure vivere, accettando di poter sbagliare ed “esistere”, in tutta la nostra umanità.
Grazie davvero Valentina per aver condiviso con noi il tuo percorso, il tuo progetto More Human Resources e dei consigli molto utili e pratici da mettere in campo.
Ciao Taryn, grazie per la tua disponibilità a partecipare a Giada’s Project. Ci parli un po’ di te e del percorso che ti ha portata dove sei oggi?
Ciao Giada! Sono Taryn, romana di nascita, milanese di adozione e da qualche anno vivo a Fano, dove ho iniziato un nuovo capitolo della mia vita, quello da mamma e da freelance. Dopo una decina di anni di lavoro dipendente nelle multinazionali, ho deciso di aprire una mia attività, per poter bilanciare meglio il lavoro con la famiglia, ora quello che sto facendo è aiutare tante altre mamme a fare lo stesso.
Dov’è nato il progetto ‘Un lavoro per mamma’?
Il progetto Un lavoro per mamma è nato sul terrazzino di casa mentre addormentavo mia figlia un pomeriggio del gennaio 2020. Ad un certo punto mi è balenato in testa, anche se ancora non ne conoscevo il nome o i dettagli, ma è arrivato e ho detto: è lui. Questo è il mio progetto, quello che farò.
Quali sono le difficoltà più grandi con le quali le mamme di oggi si trovano a fare i conti?
Non riuscire a bilanciare il tempo tra lavoro e famiglia, non riuscire a dividere equamente il carico mentale e organizzativo con il partner e la difficoltà di essere discriminate sul lavoro.
Quali sono le paure e gli scogli maggiori da superare?
Non riuscire a dedicare il giusto tempo a tutti gli aspetti della vita, essere costrette a dover scegliere tra carriera e lavoro, pentirsi per aver scelto una o l’altra. Aggiungo anche combattere con l’idea che una volta diventate mamme si diventa personaggi di serie B.
Cosa ti porti con te dalle tue esperienze in grosse multinazionali come L’Oréal e Chanel?
Le mie esperienze di lavoro sono state grandiose, ne porto ricordi davvero importanti. Ho avuto la possibilità di fare, giovanissima, esperienze davvero grandi. Ovviamente questo mi ha anche insegnato a capire i miei difetti e a modularmi in un mercato del lavoro in cui spesso ci si trova, senza libretto di istruzioni, soprattutto quando si è giovani. Al livello più tecnico inoltre la preparazione che queste aziende ti danno, è immensa. Mi sono sempre sentita parte di qualcosa di grandioso.
Quali sono gli aspetti che più ti spronano nel tuo lavoro? Quali quelli più sfidanti?
Dico sempre che è una risposta un po’ da Miss Italia, ma è la verità e continuerò a dirla: aiutare le persone. Quella per me è la priorità e quello che mi fa alzare carica la mattina di accendere il pc. Oltre al fatto che mi sono creata questo lavoro a mia immagine e somiglianza, quindi mi diverto anche molto.
Una sfida che affronto, anche se potrebbe sempre strano, è per me quella dei social. Non mi sento molto portata, ma so che sono necessari e faccio uno sforzo per esserci e per continuare a farlo con sempre maggiore impegno.
Cosa consiglieresti a chi vuole rientrare nel mondo del lavoro dopo un periodo di fermo, dato dalla maternità, ma anche altro?
Di non pensare, appunto, di essere stati fermi. Non si sta fermi mai, siamo sempre in movimento.
Certe volte si sta più fermi a continuare a lavorare in un posto che non ci dà nulla, che a stare a casa a fare la mamma. Ogni esperienza ci insegna e ci lascia qualcosa. Non sono solo le competenze tecniche, quelle che contano nel lavoro, ma anche quelle che si acquisiscono nella vita.
Al livello più pratico invece consiglio di informarsi su come sia cambiato il mondo del lavoro o il ruolo specifico in questo periodo in cui si è stati fuori, aggiornarsi e rimettersi in pista con i giusti mezzi.
Quali sono i tuoi hobby fuori dal lavoro? Cosa serve ad un hobby per tramutarsi in lavoro?
Sono appassionata di musica italiana, ho una fissazione per il Festival di Sanremo (non parlo d’altro da dicembre a marzo), mi piace il teatro, una volta leggevo molto, adesso faccio più fatica. Il mio hobby più grande però rimane l’aperitivo! 😉
Un hobby può tramutarsi in lavoro quando qualcuno è disposto a spendere per quello che fai/vendi.
Io però non sono una grande fan del trasformare il proprio hobby in lavoro, perché l’hobby è una cosa che ci piace, ma non necessariamente vuol dire che siamo anche bravi in quella cosa.
Consiglio sempre di partire da quello che sai fare, più che da quello che vuoi fare.
E poi un hobby secondo me, se diventa un lavoro, smette di essere un hobby. Pure se mi pagassero per fare gli aperitivi, dopo un po’ mi stuferei di farli! 🙂
Giovanni Tavaglione, coach internazionale con 23 anni di esperienza, fondatore e direttore di I.R.A. – Inner Rainbow Academy, autore, editore e partner del Team Petrosyan, dove in particolare supporta il campione del mondo Giorgio Petrosyan per la preparazione mentale ai match.
Ciao Giovanni, grazie per la disponibilità, è un piacere e un onore poterti intervistare. Per chi ancora non ti conosce, puoi raccontarci qualcosa in più su di te e sul tuo percorso?
Piacere mio Giada! Grazie mille a te per l’intervista!
Il mio percorso nasce dall’amore totale per ciò che ho la fortuna di poter fare e che ho sempre sognato: aiutare le persone ad ascoltarsi e a valorizzare il proprio talento in azienda, nello sport e nel sociale. Per riassumere potrei dirti che il mio percorso sembra un vaso kintsugi dove ho imparato ad incollare le crepe con il materiale più prezioso che conosco: l’ascolto! Ho una donna meravigliosa che è sempre al mio fianco insieme ai nostri 5 figli. Amo allenarmi marzialmente al mattino presto per prendermi cura del corpo con una delle più grandi passioni della mia vita: le arti marziali! Il tempo della giornata mi vola e mi rendo conto che, con il passare degli anni, la luce negli occhi aumenta: secondo me un termometro fondamentale per monitorare la nostra salute!
Ho letto che fin da bambino sei sempre stato interessato all’ascolto e all’aiuto del prossimo. Ti immaginavi già allora che saresti diventato il professionista che sei oggi?
Fin da piccolo sognavo esattamente la vita che sto vivendo. Tanti si guardano indietro, magari con dei rimpianti e con dei sensi di colpa. Per quanto mi riguarda so di aver costantemente dato tutto per quello in cui credo e ho visto nelle migliaia di sacrifici fatti, il piacere di seguire fino in fondo ciò che la mia anima mi ha chiesto, mi chiede e continua a chiedermi.
Sei il fondatore di I.R.A. – Inner Rainbow Academy. Apprezzo la scelta del nome e l’idea di un arcobaleno all’interno delle persone. Da dove nasce I.R.A. e che percorsi formativi offre?
I.R.A. (Inner Rainbow Academy) nasce da un mio sogno nel cassetto: creare un luogo dove le persone possano darsi il permesso di andare incontro al proprio talento e dargli l’opportunità di manifestarlo.
Ho sempre amato la città di Udine perché avendoci lavorato fin da molto piccolo ho ritrovato quei valori che sento miei: la coerenza fra dire e fare, la voglia di rimboccarsi le maniche, la concretezza e l’integrità!
La Inner Rainbow Academy è il luogo dove un atleta professionista può prepararsi per il match più delicato dell’anno, dove si organizzano eventi ad alto impatto aziendale, dove si può lavorare con il coaching personalizzato davanti ad uno specchio, dove un imprenditore può scaricare le proprie tossine con i guantoni e un sacco fino al farsi la doccia per rigenerarsi!
La Inner Rainbow Academy forma i Coach e i Mentor del futuro, genera training personalizzati per le aziende per lo sviluppo delle competenze, dà vita ad eventi mirati allo sviluppo di un patto di squadra, sostiene a livello individuale imprenditori, manager, atleti, medici, operai e tutti coloro che vogliono lavorare su di sé nei momenti dove il livello di stress è più alto e dove è necessario farsi trovare lucidi quando la pressione sale.
Ti interfacci con realtà aziendali e atleti di tutto rilievo, oltre all’ambito sociale. C’è un trait d’union che lega questi ambiti, a prima vista molto differenti tra loro?
Azienda – Sport – Sociale per me sono 3 connettori quotidiani. Ti faccio un esempio: i libri scritti magari con campioni dello sport e imprenditori sui temi nevralgici della consapevolezza comportamentale hanno poi dato supporto al CRO di Aviano nell’ambito della ricerca sul cancro o ad esempio alla Terapia Intensiva Neonatale del Burlo Garofolo.
Ogni giorno per me questi 3 ambiti si uniscono con azioni che mi permettono di andare incontro alla mia missione: dare tutto quello che ho per aiutare le persone a scoprire quanta luce possono generare attraverso la porta magica dell’ascolto!
Qual è lo scoglio più grande che trovi nel momento di passaggio, come dici tu, lungo il ponte Dire-Fare?
Dire-Fare per me diventa uno scoglio solo quando non si ha chiaro per cosa si lotta ogni giorno. Imparare ad ascoltare le mie emozioni, ha significato nel tempo aprire la porta dell’intuito per scoprire la mia visione, per farla poi diventare obiettivi e piani d’azione. Lo scoglio dire-fare si manifesta ogni volta in cui una persona lavora su obiettivi in cui in fondo in fondo non crede.
Quindi per me dire-fare significa:
parlare solo quando sono sicuro
evitare di generare false aspettative
far parlare i fatti
prendermi il mio tempo per ascoltarmi.
Nei tuoi 23 anni di esperienza come hai visto cambiare le insicurezze, le ansie e le fragilità delle persone?
Per imparare ad osservare i cambiamenti delle insicurezze, delle ansie e delle fragilità delle persone, ogni giorno per me è fondamentale riconoscere le mie. Negli ultimi anni tante apparenti certezze sono vacillate e noi tutti inevitabilmente abbiamo fatto i conti con fragilità che tante volte rischiamo di evitare o di negare. Ritengo quindi che questo periodo possa essere un’occasione enorme per imparare a dare dignità di esistere alle proprie emozioni e alle proprie fragilità in quanto possono diventare una porta d’ingresso straordinaria che ci fa entrare nella stanza dei nostri reali bisogni del ‘qui ed ora’.
A tuo avviso che ruolo giocano i social network nella ricerca di sé stessi e nell’attivazione di un cambiamento, sia in positivo che in negativo?
Ritengo che i social network rappresentino un grande rischio e una grande opportunità a seconda di come vengono utilizzati. Diventano un potenziale narcotico compensativo quando la persona ha una consapevolezza comportamentale bassa, ma allo stesso tempo possono diventare un’occasione straordinaria di sublimazione e di ricarico energetico se la persona è in grado di comunicare con sé stessa e con gli altri.
Che consiglio daresti a una persona che si sente in un momento di ‘blocco’ nella vita personale o professionale? Qual è il primo passo da fare?
Il primo consiglio che darei ad una persona che vive un blocco è quello di dare un nome all’emozione che prova, localizzare nel corpo la parte dove la vive in modo più evidente e scriverla nel proprio diario di bordo perché è proprio da questa piccola azione che quel blocco nel tempo può diventare una risorsa impensabile.
Per te lo sport ha un ruolo fondamentale. Dove trovi la motivazione per continuare, anche quando risulta difficile o hai poco tempo a disposizione?
Lo sport quotidiano per me è un bisogno prima di tutto: è come bere, mangiare e dormire. Quindi anche quando le forze vengono meno, emerge il piacere di alzarmi per fare qualcosa che amo e che so mi darà energia per affrontare la giornata e nutrire il corpo.
Sei anche autore di due libri, “Un viaggio Straordinario”, sul coaching e mental training con il maestro delle arti marziali, Giorgio Petrosyan, e “LockMind” sulla gestione dello stress in tempi di pandemia. Hai qualche altro testo in cantiere?
I prossimi libri sono: La Voce del Silenzio (pronto per la stampa) che entra nel cuore della storia di un imprenditore siciliano che ha seguito di un imprinting molto duro ha perso la voce e trova nel perdono uno strumento magico per imparare ad amarsi!
Sto lavorando al libro Risorse Umane: Mission IM-POSSIBILE con Direttori del Personale di altissimo livello per scoprire l’importanza di ritrovare il coraggio di affrontare sfide complesse per amore di ciò in cui si crede, dimostrandolo attraverso i fatti.
In più in ognuna delle tante Academy attive a livello nazionale e internazionale realizzeremo i libri costruito con ogni azienda per dare valore ad un vero e proprio Viaggio Straordinario che nei testi riveleranno delle storie emozionanti da lasciare con gli occhi spalancati per molto tempo!
Da cosa ti lasci ispirare?
Mi lascio ispirare dal momento presente che ogni giorno mi sorprende e mi regala la gratitudine di poter vedere, respirare, sentire e ascoltare!
Grazie Giovanni.
Alla prossima intervista per Giada’s Project, intervisti agli esperti delle HR e non solo.
Ciao Iara, bentrovata e grazie per la tua disponibilità. Vista la tua lunga ed importante esperienza nel settore delle risorse umane, mi piacerebbe sapere cosa ti ha spinta ad avvicinarti a questo ambito fino a diventare HR Manager.
Ciao Giada, per me è un onore essere una delle tue testimonial del nuovo blog incentrato sulle risorse umane, grazie per il coinvolgimento! Complimenti per l’iniziativa, è importante dar voce a questo pezzo di mondo (quello HR) che spesso ancora non viene valorizzato come invece si dovrebbe. Inizio a rispondere alla tua intervista tuffandomi nel passato per riemergere nel presente!
Quando e perché è scattata la scintilla? Al terzo anno di università per caso (oggi aggiungo anche “per mia fortuna “!). Nella lunga lista degli esami facoltativi individuo quello di diritto del lavoro, mi dico “sarà noioso da paura ma proviamoci, può sempre tornare utile avere una base giuslavorista quando prima o poi entrerò nel mondo del lavoro”, lo frequento tutt’un fiato e mi si illumina la strada verso il futuro. Finalmente avevo capito quale volevo fosse la mia dimensione lavorativa: le Risorse Umane! Il mondo del lavoro stava attraversando un momento di passaggio e la figura dell’HR come la intendiamo oggi era ancora un miraggio.
Dopo tre anni di lavori precari e di fatto “tampone” perché, seppur formativi, non rispecchiavano esatta il mio sogno, sono finalmente approdata in Agenzia per il Lavoro. Non mi poteva capitare occasione migliore per costruirmi una panoramica HR più completa e complessa di questa. Ovviamente grazie Maw per avermi dato la fiducia (la mia esperienza era zero assoluto) e l’opportunità di lavorare imparando ed aggiungo pure divertendomi!
Dopo oltre 11 anni presso un’agenzia per il lavoro, MAW, sei diventata HR Manager di Ergon Group. Com’è stato il passaggio? Quali sono state le grandi differenze, ma anche le similitudini che hai riscontrato?
Ad inizio 2022 ho sentito dentro di me una forte necessità di costruirmi una specializzazione attraverso un percorso crescita professionale orientato al mondo Azienda. Non è stato semplice maturare questa consapevolezza perché significava tagliare il cordone ombelicale con Maw e soprattutto allontanarmi dalle persone facenti parte dei Team che gestivo, che negli anni avevo selezionato, fatto crescere e creato con loro una famiglia lavorativa. Elaborato questo stato d’animo, a febbraio mi sono candidata all’annuncio di Ergon Group, inizialmente senza farmi molte illusioni in quanto il mio profilo era molto carente delle competenze tecniche richieste. Subito invece vengo contattata e dopo due lunghissimi mesi di selezione, a cui mi sono aggrappata con tutta me stessa perché fin dal primo colloquio avevo sposato vision, mission e valori di Ergon, sono finalmente entrata a far parte di questa nuova famiglia. Nella ricerca di una nuova opportunità lavorativa per me era fondamentale condividere questi tre principi cardine poiché considero il lavoro parte integrante della mia vita, nella mia azienda devo potermi sentire me stessa, esprimere i miei principi, sentirmi parte integrante dell’organizzazione e sposarne il pensiero che sta alla base del vivere quotidiano.
Differenze tra le due esperienze? Ce ne sono eccome! E sono quelle che mi regalano tantissimi stimoli. Intendo: organizzazione chiara (esiste un organigramma dettagliato!! Scusa Giada l’entusiasmo ma ho imparato da pochi mesi a non dare nulla per scontato, nemmeno l’ABC!), job title coerenti con livelli e responsabilità, mansionari, procedure aziendali rilasciate dall’organo preposto della qualità, sono alcuni esempi. Se vogliamo parlare del mio ruolo, ricoprendo la funzione di HR la mia mission è mettermi a disposizione dei colleghi occupandomi (e preoccupandomi) della loro felicità lavorativa. Potrebbe sembrare banale?? Fidati che non lo è, per nulla, perché significa intraprendere ogni giorno azioni, non sempre facili, e prendere decisioni delicate ma necessarie per rispondere a tutte le loro necessità. Quindi fammi dire che fa la differenza che ci sia o non ci sia questa funzione in azienda! Soprattutto in una azienda di medie dimensioni.
Purtroppo, nella mia esperienza precedente l’assenza di questo ruolo e la mancanza di un piano strategico HR li ho sofferti parecchio. Traggo la conclusione che non è né la dimensione né il fatturato di una azienda che rende più appetibile una esperienza lavorativa rispetto ad un’altra, soprattutto nel contesto storico attuale. Le persone oggigiorno pesano maggiormente il coinvolgimento nelle scelte aziendali, l’ascolto da parte della Direzione, la chiarezza di ruolo, e non in ultimo un percorso di crescita trasparente e coerente con le proprie aspettative.
Similitudini riscontrate fra le due realtà francamente poche poiché riflettono logiche e culture molto diverse.
A tuo parere, quali sono le caratteristiche essenziali che un HR manager deve avere?
Ho intrapreso da poco questa nuova esperienza in questo ruolo quindi non posso considerarmi un guru! Ma avendo conosciuto tantissimi HR manager in questi ultimi 12 anni sicuramente posso affermare che alla base deve esserci una forte capacità di visione d’insieme. Mi spiego: l’HR manager deve avere piena cognizione e padronanza del business aziendale poiché è questo che successivamente guida le scelte anche in ambito HR.
Se parliamo di soft skills, sicuramente è importante un buon mix di ascolto e mediazione, oltre che una spiccata dote di sensibilità nel captare quotidianamente gli stati d’animo dei componenti dell’organizzazione al fine di trovare un buon compromesso tra obiettivi individuali e obiettivi aziendali. Gli imprenditori se vogliono aver realmente successo devono cedere di fronte all’evidenza che l’HR manager è una funzione di staff essenziale e strategica. Ed anche “chi” la ricopre fa la differenza, la passione per questo mestiere è l’ingrediente principale. Ricordiamoci inoltre che la partita si vince o si perde in funzione delle spiccate capacità dei singoli componenti della squadra ma anche della bravura dell’allenatore nel compiere le scelte giuste!
Hai un mantra o una frase che guida il tuo lavoro e le tue giornate?
Mi piace ricordare questa citazione di H. Ford:
Quali sono gli aspetti più positivi del ruolo di HR manager? Quali invece quelli più complessi?
L’aspetto estremamente positivo in primis è il contatto diretto con la Direzione, questo permette all’HR manager di essere parte attiva ed integrante di tutti i processi aziendali, di avere un confronto immediato con la Direzione che ha come diretta conseguenza l’eliminazione del rischio di incagliarsi nei passaggi di mezzo, di poter essere artefice del cambiamento e dell’evoluzione dell’azienda, di portare l’azienda a crescere in termini di fatturato attraverso le competenze delle proprie persone.
Le complessità del ruolo di HR manager derivano spesso dal fatto che nasce come funzione collante fra i diversi stakeholder dell’organizzazione, e come tale deve garantire un bilanciamento perfetto fra le scelte della Direzione e le necessità dei singoli componenti attraverso un ascolto molto attento di tutte le voci a garanzia di un beneficio ad ognuno di essi.
Cosa consiglieresti ad una persona che vorrebbe approcciarsi al mondo delle risorse umane?
Quando in Maw sostenevo i colloqui di selezione dei miei futuri collaboratori trasferivo loro sempre un messaggio ben preciso: questo lavoro non è adatto a tutti, come si è soliti pensare. Sembra così semplice dall’esterno! L’HR riceve CV, li legge, convoca i candidati e li valuta a colloquio, li assume. Passaggi che può fare chiunque, si è portati a pensare! Non è assolutamente così.
Ad oggi ancora non c’è una vera e propria Laurea in HR, ci sono lauree umanistiche affini che possono fungere da base. Quindi le competenze specifiche del ruolo si possono acquisire sul campo (come è successo a me) oppure attraverso successivi Master in ambito HR. Ma ciò che realmente fa la differenza tra un bravo HR ed uno che lo prende come un lavoro qualunque è la grande passione per questo magico mondo! Quindi consiglio sicuramente, se c’è anche mezza propensione, di provarci, con la consapevolezza che in itinere ci si può rendere conto che sarà il lavoro della vita oppure (senza colpevolizzarsi) che sarà meglio intraprendere un’altra strada e di certo non casca il mondo.
Lavorare nel mondo HR è una vocazione e come tale prevede una dedizione 100% in termini di energie profuse verso il prossimo, anche oltre il canonico orario lavorativo.
Si parla spesso di social recruiting. Qual è la tua esperienza con i social e quali secondo te sono i migliori in questo momento?
Non mi sento molto confidente con il mondo social, mi definisco infatti una boomer per utilizzare un termine contemporaneo! Però mi sento di sponsorizzare LinkedIn come veicolo per reclutare candidature interessanti (tra l’altro l’esperienza personale ne conferma l’efficacia in quanto mi ha aiutata a trovare questa opportunità in Ergon Group). Spero che il buon senso di ognuno di noi ci aiuti a non traghettare questo social verso la decadenza… abusandone e riducendolo a vetrina per tematiche non inerenti al mondo del lavoro.
Grazie di cuore Giada per avermi dato l’opportunità di condividere la mia esperienza e spero di aver regalato emozioni positive ed ispirazione a chiunque sia in questo momento in procinto di intraprendere un percorso nelle Risorse Umane!
Ciao Angelo (il Candidato Ideale). Grazie per la tua disponibilità. Ti confesso che godi di tutta la mia stima e che ti seguo da tempo, ancor prima di diventare HR (e comunque ti seguo lo stesso 😊 cercando di fare tesoro dei tuoi insegnamenti e, nel mio piccolo, di essere un HR migliore di alcuni con cui ho avuto a che fare in passato). Ci racconti qualcosa in più su di te?
Ciao Giada prima di tutto ti ringrazio per avermi contattato. È sempre un piacere confrontarmi con una professionista delle risorse umane!
Devo raccontarti qualcosa in più di me?
Guarda in realtà sono un ragazzo normalissimo 😀 nonostante sia riuscito a creare un piccolo alone di mistero intorno al personaggio “Il Candidato Ideale”, la verità è che sono il tipico ragazzo del sud Italia. Ho lasciato casa a 19 anni per fare l’università al nord, mi sono laureato in e poi ho dovuto affrontare il mondo del lavoro come tutti.
Non è stato affatto facile, ma in fondo lo è per qualcuno?
Al momento, curo la comunicazione per una società di consulenza e nei ritagli di tempo porto avanti il mio piccolo progetto “Il Candidato Ideale”.
Da dove è nato l’interesse per il copywriting e per la creazione di contenuti?
Bella domanda.
Ma devo farti una premessa: ho iniziato a scrivere come soluzione “terapeutica”. Ho avuto un momento che potremmo definire di “depressione” / “smarrimento” qualche anno fa, ed una terapista mi consigliò di scrivere un diario e di fare degli esercizi di scrittura tutti i giorni. Funzionò. Stavo meglio.
Sapevo che la scrittura era un’arma potente, ma non sapevo come usarla.
Poi durante un master online in digital marketing ho incontrato ufficialmente il “copywriting”. Fu amore a prima vista, volevo saperne sempre di più e mi piaceva tantissimo.
Per quanto riguarda la creazione di contenuti è una cosa che ho sempre fatto. Alle scuole superiori ero il nerd che creava schemi, mappe mentali, riassunti, e tutti volevamo farsi le fotocopie dei miei appunti – ma io ero stronzo e mi facevo sempre offrire la pizza, la bibita e il caffè.
Quindi per farla breve, quando ho scoperto il “copywriting” è stato naturale mettere tutto insieme. Avevo finalmente trovato il “filo rosso”.
Condividi qualcosa che in pochi realmente vogliono dare: la verità. Quanto costa farlo?
Parlare di verità in realtà NON è difficile.
Molti NON lo fanno perché hanno paura delle conseguenze dell’esporsi. E li capisco.
Infatti “Il Candidato Ideale” è nato proprio per questo, per raccontare le verità scomode sul mondo del lavoro che nessuno ha il coraggio di dire.
Nella mia visione iniziare “Il Candidato Ideale” doveva essere semplicemente un MEZZO.
Volevo creare una community dove tutti potessero raccontare il marcio dietro colloqui di lavoro, aziende, etc. per rendere le PERSONE (e soprattutto i neolaureati) più CONSAPEVOLI.
Per fortuna ultimamente c’è molta più consapevolezza rispetto a questi temi, e ci sono tanti divulgatori (HR professionisti) molto più bravi di me che lo fanno quotidianamente.
Ecco, l’importante è che se ne parli. Sono contento che di dare il mio piccolo contributo alla causa.
Qual è stata la più grande scottatura che ti ha ‘regalato’ il mondo del lavoro?
La differenza abissale tra “aspettative” e “realtà”.
E in particolare le retribuzioni economiche che il mercato italiano offre.
In Italia gli stipendi sono TROPPO BASSI. Io ero uno di quelli che pensava che “studiando e laureandosi con un bel volto” avrebbe guadagnato “tanto”. Mi sbagliavo 😀
Sto ancora cercando di risolvere questo REBUS! E proprio perché l’argomento SOLDI in Italia è ancora un tabù andrebbe esasperato. Ecco mi hai dato un’idea per i miei prossimi articoli! Parlerò di soldi. Grazie.
Ma il Candidato Ideale (oltre a te) esiste davvero?
Una volta ho letto un post su LinkedIn che mi colpì molto (purtroppo non ricordo l’autore), era una cosa del tipo: “Se il candidato che cercate avesse realmente tutti i requisiti dell’annuncio di lavoro, l’azienda NON se lo potrebbe permettere”.
Il Candidato Ideale NON esiste, e soprattutto NON serve.
Servono persone in gamba, curiose, e che vogliano dare un impatto positivo nel mondo. Questo serve oggi.
Di questi tempi il lavoro si trova, si crea o si attrae? Secondo te LinkedIn e affini che ruolo hanno in tutto questo?
Al giorno d’oggi trovare lavoro è diventato più complicato rispetto a prima. Sono cambiate le regole del gioco. La competizione è aumentata. Quando un mercato “evolve” diventa sempre più difficile “emergere” e per farlo è necessario “differenziarsi”. Quindi per rispondere alla tua domanda, si portano avanti tutte e 3 le strategie che hai citato.
Il lavoro si trova? Sì, presentandosi alle aziende giuste e con le competenze adatte. Facendo una selezione maniacale delle aziende che ci interessano, ed evitando la pesca a strascico.
Il lavoro si crea? Sì, nel modo in cui stai facendo tu ad esempio (hai aperto il tuo blog, la tua pagina IG – guarda che ti ho stalkerata eh – che potrebbero diventare in futuro una fonte di reddito importante). Vedi l’esempio della grande Fabiana Andreani.
Il lavoro si attrae? Sì, comunicando la propria professionalità tutti i giorni, conoscendo persone nuove e facendo networking. Nel mondo del lavoro contano le “conoscenze” ed oggi abbiamo gli strumenti per crearcele.
Vanno portate avanti tutte e 3 le strade (anche perché una non esclude l’altra).
Concludo con una nota su LinkedIn.
LinkedIn per ALCUNI SETTORI (comunicazione, marketing, risorse umane, etc.) è la svolta. Credo tantissimo nel valore di questa piattaforma.
Io dal mio studio, GRATUITAMENTE sono riuscito a costruire una rete di contatti importante, a confrontarmi con tanti professionisti, e ad aumentare le mie competenze.
Senza LinkedIn come avrei fatto? Personalmente dubito che esista una soluzione migliore al momento per emergere come professionista.
Da cosa ti lasci ispirare nella creazione dei tuoi contenuti? (non che il mondo e il mercato del lavoro là fuori non siano sufficientemente interessanti).
Ti condivido il consiglio più prezioso di scrittura che ho ricevuto dal mio mentore.
“Ritagliati circa 30 minuti al giorno per leggere LIBRI che non riguardano il copywriting. Considera questa attività parte della tua giornata lavorativa”.
Ti contestualizzo questa frase:
Per imparare a scrivere e creare contenuti NON devi leggere e studiare SOLO libri tecnici. Molte persone sono ossessionate dal voler legger tutti i libri sul copywriting prima di iniziare a scrivere, invece NON funziona così.
Tutte le mie idee di contenuti arrivano al di fuori dei libri di copywriting.
In genere, prendo spunto da conversazioni con persone in carne ed ossa (dicasi MONDO REALE) ma non ho un vero metodo strutturato.
Devo dirti la verità, personalmente mi sento molto portato per la creazione di contenuti, sono più le cose che ho in testa che quelle che riesco a scrivere.
Un consiglio BONUS però voglio lasciartelo:
Un esercizio che faccio sempre è quello di analizzare i post di creator in gamba cercando di capire il “perché” dietro i loro contenuti. Perché hanno scritto quel titolo? Perché hanno usato quell’immagine? Che emozione hanno provato a suscitare nel lettore? Quali argomentazioni hanno usato? Etc.
Insomma fare “reverse engineering” dei contenuti di valore degli altri è un buon esercizio.
Oltre al mondo del lavoro italiano, hai avuto modo di sperimentare anche quello di qualche altro paese estero? Se sì, come ti è sembrato?
Ni, e adesso mi spiego.
Ho fatto 2 esperienze lavorative all’estero:
A 25 anni, ho fatto un anno sabbatico (tra triennale e specialistica) come lavapiatti in UK. Questa esperienza non è correlabile con quello che faccio attualmente. Sono settori troppo diversi, ed eravamo pre-Brexit e pre-Covid. Posso dirti però che in UK c’era la paga minima sindacale che garantisce dignità a tutti i lavoratori. E questa cosa mi piaceva un sacco, il cosiddetto SALARIO MINIMO.
A 28 anni invece, ho lavorato in Francia per la mia tesi sperimentale in un centro di ricerca. Anche lì, la cosa che mi colpì molto fu che dal venerdì pomeriggio NON c’era più nessuno nel centro di ricerca (tranne me ovviamente) e che il lavoro era molto focalizzato sul raggiungimento degli obiettivi. Mentre qui in Italia ti contano le ore che lavori, ho detto tutto.
Però ti ripeto, sono state 2 esperienze singole e molto lontane dal mio contesto di lavoro e settore attuale, e non me la sento di darti un’opinione definitiva!
Tuttavia, se si lavorasse PER OBIETTIVI nelle aziende e ci fosse un SALARIO MINIMO GARANTITO credo che avremmo risolto molti dei problemi attuali.
Resta evidente che il mondo del lavoro in Italia sta affrontando un momento di criticità mai vista. È sotto gli occhi di tutti. Spero che le cose cambieranno in futuro.
Nel tempo libero, che cosa fa il Candidato Ideale?
Mi piace molto passeggiare e/o correre nella natura ascoltando podcast, o musica.
Lavorando sempre al PC, mi impongo di fare almeno 1 ora, 2 ore al giorno all’aria aperta.
Ultimamente con la possibilità di lavorare da remoto sto riscoprendo la tranquillità del paesino e della campagna.
Come tutti, sto cercando di lavorare sul mio nuovo equilibrio vita-lavoro perché questi anni sono stati duri per tutti 😀
P.S. E ovviamente nel tempo libero lavoro sul mio progetto “Il Candidato Ideale”.
Grazie dell’intervista Giada, alla prossima! Ci vediamo su LinkedIn 😀
Grazie mille a te Angelo (il Candidato Ideale) per gli spunti interessanti. Se vuoi provare un po’ di aria di campagna e paesini in FVG ce ne sono molti, posso consigliartene qualcuno. Ci vediamo certamente su LinkedIn.
Ciao Ilaria, grazie per la tua disponibilità. Raccontaci chi sei, cosa fai attualmente e cosa ti ha spinta ad avvicinarti al mondo delle HR.
Ciao Giada, grazie a te, è un piacere. Sono Ilaria, friulana, ho 30 anni e vivo con i miei cani con cui condivido l’amore per la natura e le lunghe passeggiate. Adesso sono una libera professionista e mi occupo principalmente di recruiting, sto portando avanti il progetto aziendale di una cooperativa agricola e collaboro attivamente in un’associazione di volontariato dove aiuto imprenditori in forte difficoltà economica.
L’approccio al mondo HR è nato in quarta superiore. Una recruiter ha fatto un intervento di orientamento al lavoro in classe e sono stata ispirata dal suo approccio easy e con il focus alla persona. Due anni dopo mi trovavo a dover scegliere cosa fare da grande e così ho iniziato un corso di amministrazione del personale che mi ha aperto le porte del mondo del lavoro.
Quando ti ho conosciuta, ho apprezzato da subito la tua empatia, solarità e tenacia, aspetti che credo essere fondamentali per chi lavora nelle Risorse Umane. Che altri elementi ritieni essere essenziali per chi opera in questo campo?
Ti ringrazio Giada. Credo che ogni persona porti la sua unicità che emerge quando si sente veramente di poter essere sé stessa in modo autentico nell’ambiente che trova.
Non credo ci sia un mix perfetto di caratteristiche piuttosto una responsabilità e una forte volontà di crescere genuinamente l’altro. Ancora oggi vedo alcuni HR distaccati, formali o ascolto candidati che sulle prime sono diffidenti e iniziano a recitare la parte per essere presi.
Siamo sicuramente in un momento di evoluzione culturale e credo che ora più che mai la nostra responsabilità di HR sia quella di facilitare umanamente la crescita personale per vivere meglio nel team.
Da HR Manager di Friulbräu a HR Business Partner e HR consultant autonoma. Cosa ti ha spinta a questa scelta?
La libertà. Sono da sempre una persona molto dinamica, amo vivere giornate intense e diverse tra loro, amo l’indipendenza e questi due ruoli di oggi sono una fase di transizione per una visione futura di creazione della mia organizzazione.
Credo fortemente nella contaminazione, mi spiego: ogni individuo se resta nel suo territorio conoscerà molto bene il suo posto, ma non riuscirà ad evolvere aggiungendo un pezzo in più che non conosce così come non darà a qualcun altro quel suo pezzo in più.
In questo mondo servono persone che restano, tanto quelle che si muovono è così che può funzionare veramente una crescita. Io faccio parte delle seconde 😊
Detto questo, Friulbrau rimane la mia azienda del cuore, la mia rinascita e un progetto che sta continuando ad andare avanti grazie ad un’altra grande HR perfetta per questa seconda fase.
A tuo avviso che ruolo hanno oggi gentilezza e felicità all’interno di un’azienda/realtà lavorativa?
Fondamentali. Chi vuole essere trattato male e vivere emozioni negative? Potremmo aprire un capitolo di discussione sul come riportiamo in azienda il vissuto dei momenti di apprendimento a scuola. Alla prossima chiacchierata Giada, magari live! 😊
Sei anche volontaria presso Imprenditore Non Sei Solo. Ce ne parli?
Imprenditore Non Sei Solo è una Onlus in cui imprenditori e professionisti aiutano gratuitamente i colleghi. Potrei dirti di quanti concetti manageriali vengono trasferiti nelle classi di formazione, ma il primo obiettivo è proprio quello di aiutare l’imprenditore-persona a risollevarsi come essere umano. I problemi di soldi sono sempre una conseguenza.
Vedo persone trasformarsi, cambiare radicalmente la loro vita o altre che studiando management d’impresa e riescono a rimettere in piedi se stessi, la loro famiglia e l’azienda.
E’ un’organizzazione del bene, un pezzo di mondo sano dove ogni volontario è allineato e abbiamo chiara la nostra missione. E’ divertimento, condivisione, fiducia e amicizia che porta alla crescita di ogni persona che ne fa parte.
Il modello di Imprenditore Non Sei Solo sarà presentato al Parlamento Europeo a settembre e adottato da altri stati europei.
Hai formato ed aiutato a crescere molte persone. Chi è stato il/la tuo/a mentore, se ne hai avuto uno/a?
Ne ho avuti e ne ho tanti. Proprio per il principio della contaminazione e di trasformazione in ogni momento di vita c’è quella persona che ti parla, quell’autore che leggi, quel formatore che ascolti giusto per il tempo in cui ti trovi. Ho una libreria varia, leggo libri di management (S. Sinek e P. Ruggeri i principali), di crescita personale (L. Bourbeau e Krishnananda Amana), alcune biografie e romanzi di viaggi. La formazione e la crescita personale le vedo come una responsabilità individuale prima di aiutare qualcun altro.
Cosa ti motiva maggiormente nello svolgere la tua professione?
Conoscere le persone, le loro storie di vita, aiutarle a vedere la loro parte bella e connetterle ad altre che sono allineate.
Grazie Ilaria per questa carica di gentilezza, felicità e libertà che ci hai dato.
La prima intervista di Giada’s project – Intervisti a professionisti ed esperti delle HR e non solo – ha come protagonista Giuseppe Malandrino, Senior Recruiter – RPO EMEA Diversey.
Senza dilungarmi troppo, direi di partire e lasciare direttamente la parola a Giuseppe.
1. Ciao Giuseppe, innanzitutto grazie per la disponibilità e complimenti per la tua carriera. Virgin Active, Amazon, Gi Group, fino ad arrivare a Korn Ferry sono solo alcune delle esperienze professionali che hai avuto. Come si suol dire: tanta roba! Ci racconti qualcosa in più sulla tua storia, da dove sei partito, come sei cresciuto e dove sei oggi.
GM: Lette così sembro uno importante – da fuori le cose fanno sempre un altro effetto immagino… Però grazie! Vediamo, sono nato, cresciuto e partito da Bolzano, città che grazie al suo bilinguismo mi ha insegnato la fortuna della diversità ed il rispetto delle regole.
Ho poi girato parecchio: Firenze, Prato, Grosseto, Milano e Torino sono le principali città dove ho vissuto. In qualcuna per studio, altre per sport (ho giocato a calcio a 5 per anni ad un buon livello) altre per lavoro.
Torino per scelta. Ho svolto qui la specialistica in psicologia e me ne sono innamorato. Ricordo ancora quella domenica in cui, ormai stabili a Bolzano con la mia compagna palermitana, abbiamo visto credo un reel su Torino: magone.
Dopo tre anni di sacrifici tra cui due master e un lavoro a Milano siamo riusciti a tornare, mollando tutto per niente di certo – pensa che ho lasciato un lavoro fatto e finito come psicologo (a Bolzano sanità e terzo settore funzionano) per uno stage a Milano a 31 anni! Sono sempre stato uno che se nelle cose ci crede si entusiasma facilmente…3 anni in un monacale a Corsico con la mia compagna a Torino. Non facilissimo.
Ma era il nostro sogno tornare. E adesso siamo qui in tre.
2. Una domanda che faccio sempre: Cosa ti ha spinto ad avvicinarti al mondo delle Risorse Umane?
GM: Un’intuizione della mia compagna: al tempo lavoravo tanto con i ragazzi – comunità, progetti individualizzati, supplenze, sportello psicologico… Ero sempre in tuta.
Un giorno, tornando a casa mi fa: “Giù, non ti vedo felice. A te piace la sartoria napoletana e sei sempre in tuta. Perché non ti fai un master e te ne vai in azienda.” Un’epifania. E detto da lei mi è sembrato possibile…
Diciamo che mi aiuta a scoprirmi ogni giorno.
3. Ti seguo da tempo e penso di non essere l’unica a adorare quel mix di competenza, ironia ed empatia che lasci trasparire. Sei sempre stato così?
GM: Ci credi che mi stupisco sempre quanto ricevo apprezzamenti di questo tipo?
Intanto ti ringrazio; competente sicuramente no; frasi fatte a parte ci sono parti del mio lavoro che letteralmente adoro, come alzare il telefono e parlare con uno sconosciuto, dare un feedback, supportare. Se un’attività ti piace, ti prende, credo sia naturale sviluppare con l’esperienza una certa dose di competenza, ma credimi, ne devo mangiare ancora di pastasciutta!
Ironia ed empatia invece mi sento di dirti che mi hanno accompagnato da sempre, alternati a momenti anche abbastanza bui; Alida (N.d.A. la compagna) dice che faccio come i cavalli: mi dimentico del buono e vivo a pieno il momento no come se fosse sempre (stato) così. Come i cavalli perché mi viene lo sguardo vacuo. Credo che empatia e ironia siamo in qualche modo legate a questo aspetto.
4. Quali sono i must-have di un recruiter a tuo avviso?
GM: Ma sai, per come la vedo io, ogni lavoro va interpretato e soprattutto non puoi esimerti dall’essere la persona che sei, prima del professionista.
Io sono così sempre e la mia personalità si rispecchia nel lavoro. Probabilmente in un contesto altamente competitivo, focalizzato sul fatturato a scapito delle persone risulterei quanto meno inadatto.
Per risponderti: per quanto mi riguarda empatia, trasparenza e affidabilità sono la base; il punto vero però è trovare un contesto dove le tue personali competenze/valori siano non solo apprezzate, ma utili.
Ci sono recruiter con personalità, approcci e valori molto lontani da me che risultano benissimo in altri contesti.
5. Quali sono le più grandi difficoltà che trovi o hai trovato facendo selezioni multilingue? Quali sono invece i pregi di non comunicare solo in italiano?
GM: Banalmente, ci sono volte che qualche concetto ti sfugge, vuoi per la pronuncia, vuoi per la cultura di riferimento. Io chiedo sempre chiarimenti, senza timore di sembrare ignorante: si imparano un sacco di cose! Credo di aver risposto ad entrambe le domande…😅
Ah, sono convinto anche che “switchare” tra più lingue tenga allenato il cervello, anche se ogni tanto sembra di averlo messo dentro il frullatore…
6. Quanto conta avere una presenza online e curare il proprio personal branding sia lato recruiter che candidato?
GM: È la base del marketing: puoi anche essere il candidato migliore del mondo, ma se nessuno sa che esisti…
Ne parlavamo poco fa: io e te non ci siamo mai incontrati, eppure tu sei fatta un’idea abbastanza chiara di me grazie alla mia presenza qui. Oggi il contesto è questo; meglio o peggio non saprei. Io sono dell’idea che in generale è bene essere consapevoli, poi ognuno fa le sue scelte.
7. Che consiglio daresti al te sbarbatello pronto ad iniziare il suo primo lavoro?
GM: Mettici entusiasmo. Troppe volte ho avuto la conferma che fa la differenza…
8. Da cosa e da chi ti lasci ispirare?
GM: Dalla mia compagna- incontrarla è stata la fortuna più grande che abbia mai avuto, dalle passeggiate con la musica nelle cuffiette, dalle persone che osservo per ore seduto su una panchina, dal Valentino e da via Roma, dalla corsa, dalle culture nuove, dal mare, dalle storie.
Grazie Giuseppe per la condivisione. Ci vediamo in rete.
Scrivere il proprio CV non è sempre una passeggiata. A volte non sappiamo cosa dire, altre volte abbiamo fin troppo da scrivere e, se lo spazio finisce, è un problema. Tutte le esperienze sono importanti o solo alcune? Su quali competenze focalizzarsi? Le domande in merito al tema CV sono infinite.
Oggi vorrei focalizzare l’attenzione su 5 punti critici da tenere in considerazione quando ci si accinge a scrivere il proprio CV o anche solo ad aggiornarlo o aggiustarlo.
Pronto/a? Andiamo!
1. Il tuo CV è chiaro e facilmente leggibile?
Usa un carattere semplice e professionale, evita cose troppo azzardate (magari se sei grafico o in altri lavori viene apprezzata la creatività e conta molto di più il portfolio del CV, in altri casi invece è meglio optare per un font neutro e pulito). Occhio anche alla grafica, soprattutto ora che si tende spesso a personalizzare il proprio CV con Canva e strumenti simili, fai attenzione ai colori utilizzati, ai contrasti (es. scrivere in rosso su uno sfondo verde non è proprio la migliore delle idee), alla struttura nel suo complesso, se troppo complicata o ricca di dettagli appesantisce il tutto e rende più difficile la comprensione. Ricordati che il troppo stroppia e affatica.
2. Occhio ai refusi
Errare è umano, ci mancherebbe. Però è sempre meglio rileggere il proprio CV prima di inviarlo o caricarlo su qualche piattaforma. Affermare di essere attento/a ai dettagli e lasciare vari refusi lungo il testo non gioca a tuo vantaggio. Purtroppo spesso l’occhio cade proprio sullo sbaglio o sulla mancanza.
Ti consiglio quindi di rileggerlo, magari dopo esserti staccato dallo schermo per un po’ oppure stampandone una copia. Se puoi, fallo leggere a una persona esterna che non l’ha mai visto, certamente ai suoi occhi appariranno cose non più visibili ai tuoi, ormai assuefatti.
3. Rinomina il tuo CV in modo semplice e chiaro
MioCV, ultima modifica, file 0001, copia di copia cv mio, ecc. possono essere parlanti per noi, per chi riceve un file del genere un po’ meno. Mantieni le cose semplici ed evita di creare confusione: rinomina il file in un modo chiaro, per evitare fraintendimenti. Qualche esempio? CV Nome Cognome, Curriculum Vitae Nome Cognome, CV N. Cognome.
4. Inserisci una foto professionale
La foto nel CV non è obbligatoria anche se è data per scontata e spesso viene richiesta. Una immagine del candidato/a aiuta la memoria visiva, è molto più facile infatti ricordarsi di un volto o associare un profilo a una foto. Attenzione però a che foto usi. Pensa sempre che deve rappresentare il/la professionista che sei. Quindi duck face, foto alla sagra della birra, con occhiali da sole, sfondi ambigui, teste mozzate è meglio usarli altrove e non sul CV.
5. Sii breve. Il CV non è la tua autobiografia.
Evita i muri di testo, non stai scrivendo il libro della tua vita o la Divina Commedia 4.0. Sii sintetico/a, focalizzati sui dettagli principali, senza diventare prolisso/a. A nessuno piacciono i CV di 12 pagine e si corre il rischio di perdere dati invece essenziali. Aiutati con elenchi puntati e magari evidenzia i termini chiave.
Di consigli ce ne potrebbero essere ancora tanti, ma non è mia intenzione annoiarti troppo. Avendo fatto alcuni di questi e altri errori e trovandomi a fare uno screening dei CV, vorrei solo condividere la mia esperienza con te, sperando ti torni utile.
Hai altri suggerimenti per un CV efficace?
Fammi sapere la tua esperienza ed eventualmente contattami per un CV check.
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