Onboarding casi di successo e best practices

9 idee per un processo di Onbaording di successo

Come anticipato in questo articolo, l’Onboarding è un processo sul quale puntare sempre di più e che può davvero fare la differenza in positivo, così come in negativo.

Ma oltre alle classiche imprescindibili attività, come, ad esempio, la creazione di un account aziendale personale o la consegna della strumentazione e abbigliamento specifici, esistono altre possibilità per rendere il processo di Onboarding davvero significativo e memorabile.

Idee per un Onboarding con una marcia in più

Alcune idee, adattabili a tutte le realtà, per creare un processo di Onboarding davvero di successo. L’obiettivo è quello di introdurre soluzioni creative e innovative, da affiancare alle attività di induction e Onboarding più tradizioni.

Questo per far vivere un’esperienza davvero memorabile e rendere ingaggiato fin da subito il nuovo dipendente, senza sommergerlo soltanto di procedure, regolamenti da seguire e nomi da imparare.

Ecco qui i miei spunti:

  1. Inserimento di un tutor o buddy aziendale per accompagnare il nuovo assunto in azienda durante le prime settimane / mesi;
  2. Creazione di un Agenda o On boarding plan da condividere con la nuova figura e le parti interessate. Il piano di onboarding potrebbe essere strutturato in vario modo, da un programma stile palinsesto cinematografico, a un breve video, a un processo di gamification con i diversi livelli da completare e premi da ottenere;
  3. Prevedere un ‘Caffè con il titolare’ o altre figure di riferimento in azienda;
  4. Prevedere un Tour aziendale. Chiaramente varia molto se l’azienda è una realtà di dimensioni contenute o con svariate sedi sul territorio. Per la prima opzione, quella ‘micro’, si può organizzare un giro all’interno dello stabilimento durante il quale un membro dell’ufficio HR e/o dal responsabile accompagnano il nuovo assunto e gli fanno conoscere l’azienda (dagli uffici, alla produzione, alla mensa, alla macchinetta del caffè…) oltre a presentarlo ai nuovi colleghi. In realtà di dimensioni elevate, si può prevedere un macro tour suddiviso su più giornate e periodi, magari cadenzato, così da raggruppare i nuovi assunti in gruppetti omogenei, dando loro la possibilità di conoscersi a vicenda. Un’altra alternativa potrebbe essere un virtual tour (nelle realtà più tecnologiche ed innovative magari sfruttando anche dei visori o altri ausili) così da conoscere l’azienda in cui si è appena entrati, ma soprattutto i branch più distanti.
Visore per virtual tour aziendale onboarding

5. Consegna di un Welcome kit. Il welcome kit può essere di vario tipo, da fisico, con oggetti e strumenti utili per la vita in azienda di tutti i giorni, a digitale, video e tutorial, regolamenti e informazioni sulla vita aziendale, ecc.

6. Attività per rompere il ghiaccio. Chi più ne ha più ne meta: da pranzi, caffè, aperitivi o breakfast di benvenuto, ad attività sportive e momenti di svago, da una partita a calcio balilla, un gruppo di camminate in pausa pranzo, a giochi da tavolo, sessioni di yoga, calcetto…

7. Organizzazione di incontri con tutti i nuovi assunti di un certo periodo, così da creare un senso di aggregazione e di scambio;  

8. Creazione di un Video di onboarding. In pochi minuti il nuovo assunto avrà la possibilità di farsi un’idea dell’azienda, della cultura aziendale, dei diversi ruoli e della struttura organizzativa esistenze, ecc. Lo stesso video può essere poi sfruttato anche per attività di talent acquisition e employer branding, andandolo a pubblicare sui propri canali comunicativi, può fornire una visione dell’azienda a possibili candidati interessati all’azienda.

9. Organizzazione di incontri cadenzati di feedback e follow up. Ultimo, ma non ultimo. Prevedere degli incontri anche dopo l’inserimento è quanto mai essenziale per verificare l’andamento dell’inserimento, il processo di apprendimento ed eventuali criticità.

Qualche altra idea di Onboarding di successo o che vorreste veder realizzata? Vi aspetto nei commenti.

    Onboarding - Welcome on Board

    Onboarding: perchè è essenziale non lasciarlo al caso

    Sempre più spesso, quando si parla di ricerca del lavoro e di processi di acquisizione delle nuove risorse, si parla anche di Onboarding.

    Cosa si indica con il termine Onboarding?

    Con Onboarding si intende il processo con cui i neoassunti vengono inseriti all’interno di una realtà lavorativa. Comprende tutta quella serie di attività che consentono alle nuove risorse di completare il processo di assunzione, di inserimento e di conoscenza della loro nuova azienda in termini di struttura, cultura, Vision, Mission e valori, oltre, in un’ottica più ampia, alla conoscenza dei nuovi colleghi e delle attività specifiche che i nuovi assunti andranno a ricoprire.

    Tutti i nuovi dipendenti vengono inseriti sul nuovo luogo di lavoro, ma la modalità d’inserimento fa la differenza. Troppo spesso, infatti, questa fase molto delicata viene sottovalutata e l’Onboarding si traduce nel consegnare al nuovo dipendente una pila di moduli da leggere e, al massimo, nell’assegnargli un supervisore o un professionista delle Risorse Umane che lo accompagni attraverso i vari comparti aziendali, introducendolo e presentandolo.

    I vantaggi di un Onboarding ben fatto

    Quando, al contrario, l’Onboarding è strutturato e gestito, getta le basi per una collaborazione di successo a lungo termine, sia per il dipendente che per il datore di lavoro.

    Un Onboarding ben fatto può infatti migliorare la produttività del lavoratore, l’employee retention, ma anche invogliare i dipendenti ad ottenere risultati sempre migliori, facendoli sentire parte dei successi aziendali fin dal momento dell’assunzione e non soltanto gli ultimi arrivati o una pedina tra le tante presenti in azienda.

    Sebbene ci siano diversi aspetti che cambiano da inserimento ad inserimento, dalla conformazione aziendale, al ruolo, alla seniority (l’Onboarding di un tirocinante sarà nettamente differente da quella di un responsabile di funzione o di una figura un vent’anni di esperienza), l’Onboarding dovrà avere come obiettivo la fidelizzazione e la retention del dipendente, ma anche il suo coinvolgimento nelle attività aziendali, oltre a fornirgli un quadro completo di quella che è l’azienda, della struttura e organizzazione, delle figure con le quali entrerà in contatto e delle procedure presenti.

    La persona coinvolta nel processo di Onboarding deve dunque acquisire tutte le conoscenze e le competenze necessarie per poter svolgere al meglio il suo nuovo lavoro.

    Le opportunità

    La fase di Onboarding è la prima opportunità, dopo il processo di selezione, di mostrare la cultura e i valori aziendali e creare un legame di fiducia.

    Da un buon legame di fiducia tra dipendente ed azienda, oltre ad una comunicazione quanto più chiara possibile, è possibile ottenere:

    • ✔️ maggiore soddisfazione
    • ✔️ aumento dell’employee retention
    • ✔️ aumento della produttività

    Un processo di Onboarding snello, chiaro, gestito correttamente nei tempi, modi e metodi, può trasformarsi in uno strumento vincente per far sentire fin da subito parte della squadra in nuovi assunti.

    Come strutturare un processo di inserimento efficace

    Quando si parla di Onboarding è necessario avere ben chiari alcuni punti essenziali, come l’obiettivo di questa attività, la sua durata, le informazioni ed i concetti che si vogliono trasmettere, le diverse figure aziendali coinvolte, solo per menzionarne alcuni.

    Non esiste, infatti, un pacchetto preconfezionato che sia in grado di rispondere a tutti i casi. Come già detto, molto dipende dalla tipologia di azienda e dalla sua organizzazione, ma anche dal tipo di candidato e dalla sua seniority, oltre a dove verrà inserito.

    Solo per fare alcuni esempi di attività di Onboarding, possiamo parlare di un tour dell’azienda, un incontro informativo, una formazione focalizzata su un programma o software specifico, la preparazione della postazione di lavoro, l’attivazione del badge… Per gestire al meglio questo processo vista la molte di attività da compiere e la pluralità di soggetti coinvolti può essere utile stilare una Check List di Onboarding con i principali passaggi da compiere. Qui potete trovare qualche esempio.

    Le fasi dell’Onboarding

    Un processo di Onboarding efficace non può essere improvvisato, lasciato al caso o fatto in modo raffazzonato.

    Anzi, è composto da alcune fasi che possiamo riassumere come segue:

    • fase preparatoria: prima che il futuro nuovo dipendente cominci a lavorare, si prepara tutta la documentazione, la postazione, gli strumenti, credenziali, attivazioni, e tutto quello che è necessario per il corretto svolgimento del suo lavoro;
    • fase di accoglienza (welcoming): parte dal primo giorno del nuovo lavoro. Il neoassunto viene accolto ed introdotto secondo modalità personalizzate, disegnate sulla base del suo ruolo, delle sue esperienze passate, della cultura aziendale, ecc.;
    • fase di ‘mantenimento’: vengono create occasioni per agevolare la socializzazione, verificare l’andamento dell’inserimento e monitorare i risultati raggiunti, andando così a sanare eventuali criticità o carenze.

    I primi contatti con la nuova azienda e la prima impressione contano davvero molto, per questo tutte le aziende, da multinazionali a piccole realtà, devono prestare sempre più attenzione ai processi di inserimento, dall’induction all’Onboarding.

    Alle prossime puntate con i rischi di un cattivo Onboarding, l’Offboarding e casi di successo di Onboarding e best practices.

    Elena Costa, People Manager di SWAG OÜ

    HR e multiculturalità. Intervista a Elena Costa, People Manager di SWAG OÜ Estonia

    Buongiorno Elena, grazie per la disponibilità. Ci racconti qualcosa in più su di te e sulla tua carriera lavorativa

    Ciao Giada, grazie a te. Premetto che il mio percorso è abbastanza insolito. Nel senso che ho sempre avuto un’attitudine e amore per le Persone, ma non avevo mai pensato di sfruttarla nell’ambito delle Risorse Umane. Ho lavorato tanto nell’ospitalità e tantissimo a contatto con il pubblico; quindi, avendo esercitato per molto tempo un ruolo che portava a doversi “relazionare” mi ha fatto arrivare a chi sono oggi, con il mio bagaglio di soft skill come l’empatia e la comunicazione efficace. 

    Perché hai scelto le HR? Qual è l’ambito che ti appassiona di più?

    È grazie allo sviluppo delle Persone che si sviluppano poi i vari dipartimenti dell’Azienda. Per me è molto gratificante pensare di migliorare le Persone, anche e soprattutto attraverso la formazione. Questo non è facile, perché bisogna individuare il talento e coltivarlo. Come puoi notare dalle mie parole tutti i vari ambiti, dalla selezione allo sviluppo, hanno bisogno di comunicare tra loro; sarebbe difficile sceglierne uno. Ho scelto l’HR per le Persone, risulta quindi importantissimo monitorare tutto il loro percorso: dall’inizio alla fine.

    Oggi sei People Manager presso SWAG OÜ. Ce ne parli?

    Mi occupo del personale dell’azienda da quasi due anni, quando ho iniziato eravamo in 10 ora siamo 50, per cui il recruiting è stato il centro del mio lavoro per tutto questo tempo. Oltre al recruting ora stiamo lavorando molto sulla vita del dipendente stesso all’interno dell’azienda, perfezionandoci in tutti gli aspetti di esso.

    Non conoscevo quanto l’HR potesse piacermi, è emozionante occuparsene in un’azienda in crescita così, ma è proprio questo che lo rende stimolante e mi permette di essere creativa e libera di proporre novità e idee.

    Lavori in Estonia. Che grandi differenze hai riscontrato rispetto al mercato italiano, sia dal punto di vista lavorativo che culturale? Quali invece gli elementi in comune?

    Ecco alcuni aspetti:

    • clima estone più rilassato improntato al balance vita/lavoro;
    • ambiente giovane, attitudine culturale giovane post soviet;
    • hanno creato un’ambiente smart, paperless e con burocrazia semplicissima e automatizzata;
    • In Estonia sono presenti al 90% azienda di servizi IT e Fintech quindi i lavori ricercati sono IT Finance, AML, Accountants…

    A tuo parere cosa serve per lavorare in un ambiente multiculturale e multinazionale come quello in cui operi?

    Senza dubbio l’amore per l’inclusione, una mentalità aperta al cambiamento e agli altri e voglia di mettersi in gioco. Non avere paura di sbagliare e capacità di imparare dall’errore.

    Si parla spesso di remote working o hybrid working. Quale hai provato e quale preferisci?

    Ritengo che vada data la possibilità di lavorare da remoto a chi lo preferisce, ma prevedendo anche momenti in presenza. Sono una fan del Hybrid work. Ho provato entrambi, full remot e hybrid, e sicuramente il secondo è il mio preferito.

    Cosa consigli a una persona che vorrebbe intraprendere una carriera all’estero?

    Di informarsi sulla cultura e il clima del paese dove si vuole andare, di capire se l’azienda ci può dare le opportunità di crescita che cerchiamo, di imparare le lingue utili per il futuro e, in ultimo, di conoscere e capire se l’ambiente della città dove si vivrà è un ambiente stimolante

    Che possibilità ci sono all’interno della tua azienda in Estonia e da remoto? Che profili ricerchi?

    Cerco profili per i dipartimenti IT, AML, Compliance, Legal, Customer service.. profili aperti ad imparare e a creare cose nuove, che siano appassionati di Fintech, cripto e defi e che vogliano vivere in un ambiente come quello di Tallinn, pieno di opportunità.

    Emanuela Spernazzati, Consulente di Carriera & Responsabile HR ed Executive Career Coach

    Emanuela Spernazzati, Professional Coach, Agile HR Professional, Counselor e Formatore

    Buongiorno Emanuela, grazie per il vivo interesse nel mio progetto e benvenuta! Ci racconti qualcosa in più su di te e sul tuo percorso?

    Ciao Giada, il mio è un percorso che, almeno all’apparenza, sembra un’autostrada: cresciuta in una famiglia in cui il lavoro era considerato un valore, mentre cercavo la mia prima occupazione mi sono accorta di quanto fosse importante avere ben chiaro chi si è e cosa si desidera per poi attrarre e incontrare la realtà giusta per noi- Così ho subito deciso di dedicarmi alle Risorse Umane.

    Sono stata Orientatrice, Recruiter Formatrice e infine ho realizzato il sogno di entrare in un’azienda come Responsabile Risorse Umane.

    Quell’esperienza è stata importantissima per me, perché ho strutturato da zero i processi e il Reparto Risorse Umane

    È proprio grazie a quegli anni di lavoro e autoformazione che ho potuto, in seguito, aprire la mia attività come Formatrice e Consulente Risorse Umane, per poi aggiungere l’ultima passione: la Consulenza di Carriera e il Career Coaching, o meglio il mio #careercoachingin5step.

    Emanuela Spernazzati, Consulente di Carriera & Responsabile HR ed Executive Career Coach
    Emanuela Spernazzati, Consulente di Carriera & Responsabile HR ed Executive Career Coach

    Cosa ti ha spinta ad intraprendere il la tua carriera nel mondo delle Risorse Umane?

    Come ti dicevo, nella mia famiglia il lavoro ha sempre svolto un ruolo importante nella realizzazione personale, ma ho conosciuto anche Persone distrutte dal lavoro. Questa cosa mi ha sempre fatto pensare e quando è toccato a me scegliere ho realizzato che l’incontro fra domanda e offerta professionale si muove su livelli che a volte vengono sottovalutati: i valori, le attitudini, i bisogni, etc. Considerarli può, invece, rendere una Persona felice e un’azienda florida. O no.

    Che ruolo ha il Personal Branding al giorno d’oggi? Si può vivere senza?

    Se consideriamo il Personal Branding come l’immagine che arriva agli altri di noi, l’idea che si fanno di chi siamo anche in nostra assenza, ne deriva che no, non si è mai vissuto senza, e non si può vivere senza neppure ora. A maggior ragione ora, che prima di arrivare a noi probabilmente chi ci incontra per i più svariati motivi potrà farsi un’idea di chi siamo attraverso informazioni trovate online e offline.

    Che si tratti dello specialista consigliato da un amico o del cv arrivato via mail è molto probabile che inseriremo in Google il nome della Persona e ci vorremo fare un’idea di chi ci troveremo di fronte prima di contattarlo.

    E sono avvisati anche i Recruiter, perché sono sempre i più i candidati che visitano i Profili Linkedin dei Selezionatori che dovranno incontrare.

    Insomma, un buon Personal Branding online e offline ci aiuta a iniziare bene, poi il lavoro è tutto in mano nostra.

    Parlando di lavoro, che cambiamenti hai percepito in questi ultimi due anni?

    Gli ultimi anni sono stati anni veloci e strani, per non dire altro. Ho percepito soprattutto un radicale cambio di punto di vista. Abbiamo vissuto un momento di stop (o almeno lo ha vissuto la maggior parte di noi) che ha permesso o costretto a riflettere e molti sono arrivati alla conclusione che non erano soddisfatti di come stavano impiegando il loro tempo. E che volevano essere più felici anche sul lavoro.

    Ecco, ho notato soprattutto questo, lato Persone.

    Lato aziende il discorso è stato differente: ci si è dovuti adattare velocemente a un panorama complesso e imprevedibile. Sono stati e sono ancora momenti molto impegnativi.

    A tuo parere su cosa devono puntare le aziende per attrare nuovi candidati?

    Le aziende devono sicuramente mettere da parte la vecchia idea del “io ti offro un lavoro e tu devi essermi grato”.

    Oggi le Persone e i ragazzi in primis vogliono valutare l’offerta, vogliono capire cosa otterranno in cambio del loro impegno e del loro tempo e non guardano più solamente al denaro, valutano molto anche l’ambiente, le prospettive e la flessibilità che verrà loro concessa.

    Le aziende dovranno conoscere i bisogni dei loro candidati ideali, creare un’immagine attrattiva e rispettare le promesse fatte in colloquio. E dovranno cominciare a scegliere i candidati non solamente per l’esperienza pregressa ma anche e soprattutto per le caratteristiche personali. È un grande salto quello che devono compiere.

    Mi incuriosiscono molto i percorsi di Team Building ed Empowerment che svolgi attraverso il Coaching e la Recitazione. Ce ne parli?

    Creare team è importantissimo in azienda, perché solamente se le Persone condividono lo scopo e le regole del gioco si arriva all’obiettivo senza disperdere le energie in microconflitti inutili.

    L’idea di lavorare con i team è cresciuta in me durante le mie esperienze come dipendente, perché mi accorgevo che la mancanza di comunicazione e di coesione tra le Persone fosse, purtroppo, un tema comune a tantissime realtà, e fosse anche una delle cause principali di errori e dimissioni.

    Il teatro è metafora dell’azienda perché ha un obiettivo comune per la realizzazione del quale occorre il contributo di tutti, nessuno escluso. Ed ha anche un valore enorme nella scoperta e nella crescita personale, così, quando frequentando un percorso di Public Speaking ho conosciuto un regista e attore di cinema e teatro, è nata l’idea di fondere coaching e recitazione. E le aziende sono contente, a quanto pare!

    Sei anche Agile HR Professional certificata ICAgile. Quali sono gli elementi essenziali per avviare dei percorsi di ricerca e selezione agili ed efficaci?

    La metodologia Agile mette al centro il cliente e snellisce i processi per renderli più adatti a performare in mercati volatili, incerti, complessi e ambigui come quelli contemporanei.

    Collaborazione, comunicazione, attenzione alle Persone, responsabilizzazione e anche accettazione dell’errore come momento di apprendimento sono sicuramente alcuni dei capisaldi che caratterizzano questo modo di vedere il lavoro e che possono essere introdotti anche nella Ricerca e Selezione.

    Una raccomandazione su tutte è sicuramente quella di collaborare tra reparti durante il processo di Ricerca e Selezione, ma altrettanto importante è fare un’analisi retrospettiva del lavoro svolto per garantire il miglioramento continuo dei processi e, l’ho già detto, valutare i candidati a 360 grandi, non solamente per le esperienze pregresse ma anche per le attitudini.

    Mi piace moltissimo il tuo motto – Mi prendo cura delle Organizzazioni e delle loro Persone affinché non si parli più di Work-Life Balance ma che anche il Lavoro sia degno di essere chiamato Vita. Quanto pensi il mondo del lavoro attuale si avvicini alla tua definizione?

    Poco, ma sempre di più. Perché le Persone vogliono questo e le aziende sono fatte di Persone, quindi, anche se lentamente, ci arriveremo.

    Ci parli dei tuoi prossimi progetti? Hai appena lanciato il ‘Career Coaching in 5 Step più 1’. Ci sveli qualcosa in più?

    L’idea di fondere la Consulenza di Carriera Tradizionale con il Coaching e con la mia esperienza di Recruiter ed HR Manager è maturata in me con il tempo, ed ora era il momento di presentarla a tutti per dissolvere alcuni luoghi comuni, ad esempio che per trovare lavoro bastasse avere un CV fatto bene.

    Non è così: il CV è uno strumento, solo uno strumento.

    Un Percorso che, si spera, porterà a raggiungere il lavoro desiderato (perché dobbiamo ricordarci che nessun consulente può garantirci un’assunzione, gli elementi in gioco sono molti e fuori dal nostro diretto controllo) deve soffermarsi su vari punti tra i quali la conoscenza profonda del Candidato, la definizione di un Obiettivo ben formato, il confronto con il Mercato di riferimento, la definizione di una Strategia ad hoc, in parte diversa per ogni caso specifico e infine, ma solo infine, la creazione degli strumenti più adatti, quali CV e Profilo LinkedIn ma alle volte anche Video CV, Portfolio, etc.

    E poi arriva l’ultimo grande impegno: mettersi in moto e agire, non prima di aver ben chiaro il proprio valore e i bisogni delle aziende di riferimento. E, naturalmente, cercando di sciogliere i pensieri negativi inutili per fare spazio a quelli che ci possono aiutare a perseverare e a mostrare il meglio di noi.

    Tutti questi ingredienti possono aiutare nella ricerca del proprio posto nel mondo del lavoro, e solitamente lasciano molta consapevolezza e determinazione.

    Riccardo Riganti, Specialista Ricerca e Selezione e Orientatore professionale per Giada's Project

    Human Resources? No, Human Relations! Intervista a Riccardo Riganti

    Buongiorno Riccardo, ben ritrovato. Ci racconti qualcosa in più su di te e sul tuo percorso nelle risorse umane?

    Ciao Giada. Grazie anzitutto per la tua disponibilità.

    Il mio percorso professionale in ambito HR è iniziato appena dopo la laurea, nel 2007, quando sono stato inserito in stage presso una storica realtà del settore metalmeccanico nella mia città, Varese, e nella quale ho imparato le basi della selezione di profili del contesto logistico e produzione. Dopo di allora, ho sempre lavorato presso società di servizi, prima, e studi professionali, poi, occupandomi sempre di ricerca e selezione e di consulenza strategica.

    Cosa ti ha spinto ad avvicinarti alle risorse umane?

    Ho sempre avuto un forte interesse per la comunicazione e la possibilità di imparare interagendo con gli altri. Ciò che mi piace molto del mio lavoro, è appunto la comunicazione e l’apprendimento costante dalle persone con cui mi relaziono.

    Riccardo Riganti, Specialista Ricerca e Selezione  e Orientatore professionale per Giada's Project
    Riccardo Riganti, Specialista Ricerca e Selezione e Orientatore professionale per Giada’s Project

    Sul tuo profilo scrivi una frase molto bella ‘HR: Human Resources? No! Human Relations’. Ci approfondisci il concetto?

    A mio avviso, a rischio di dire una cosa banale, non si deve parlare di risorse umane ma di relazioni umane. È una cosa, questa, che ho imparato da un professionista del settore (una persona splendida e con grandissima competenza in ambito HR!): le relazioni umane sono alla base del mio lavoro, e le persone con cui mi relaziono (candidati o aziende che siano) sono lo scopo della mia professione.

    Le persone non sono il mezzo del successo, ma sono lo scopo del successo: successo è solo se si crea una relazione virtuosa tra azienda e candidato, non se si chiude una selezione. Per questo HR significa, per me, Relazioni Umane.

    Come hai visto cambiare l’area della ricerca e selezione nei tuoi oltre 10 anni di esperienza in questo ambito?

    Nella mia esperienza ho visto cambiare molto il mercato e i parametri di riferimento. Mentre, anni fa, si valutavano molto le competenze tecniche, adesso si considerano molto (e giustamente) anche quelle trasversali (le soft skills), che sono elemento cruciale nell’analizzare una figura professionale. Non occorre, infatti, solo individuare una persona competente in un settore, ma anche una persona con cui si possa creare una sana relazione professionale, utile alla crescita aziendale e al benessere interno.

    Quando un’azienda cerca una figura professionale, solitamente è perché manca una competenza (tecnica); però non è solo la competenza tecnica che occorre trovare – io non devo cercare ciò che il cliente mi chiede, ma aiutare il cliente a capire ciò che gli serve e lì indirizzare il mio lavoro -, ma anche quella trasversale (es. comunicazione, capacità di interazione, ecc.).

    Fin dal primo contatto che abbia avuto, ho riconosciuto in te una persona disponibile, empatica ed estremamente gentile e disponibile, caratteristiche essenziali per chi vuole lavorare nelle HR. Cos’altro pensi serva sia a livello di soft skill che di hard skill?

    A mio avviso, ciò che serve maggiormente è l’umiltà di voler imparare ogni giorno, ad ogni colloquio, qualcosa di nuovo (sulla posizione, sul profilo professionale, su me stesso). Ho svolto centinaia di colloqui (credimi, non sono tanti) e ogni volta mi ripeto che uno dei miei obiettivi è imparare qualcosa che ancora non so, per poi migliorare nel mio lavoro e poter essere di aiuto al mio cliente (che sono sia l’azienda che i candidati).

    Un libro (o film, canzone, ecc.) da leggere almeno una volta nella vita.

    Un libro: La schiuma dei giorni, di Boris Vian.

    Claudio Gasparri HR Manager Myes English School

    Intervista a Claudio Gasparri, HR Manager My English School

    Buongiorno Claudio. Ci racconti qualcosa in più su di te e sul percorso che ti ha portato a diventare HR Manager di Myes – My English School?

    Il mio percorso è vario e non lineare, pur se tutto in area HR, per questo credo interessante e di “speranza” per chi vuole affacciarsi a questo mondo.

    Mi avvicino alla formazione del personale durante il mio tirocinio post laurea in psicologia: la mia tutor era formatrice per le competenze trasversali nei corsi di laurea di ostetricia ed infermieristica e nella ASL di Empoli, una delle più grandi della Toscana. Questo mi ha consentito di sperimentarmi da subito nell’appassionante modo della formazione.

    Deciso che quella era la mia strada mi sono inserito in IFOA, una delle principali agenzie di formazione e servizi HR a livello nazionale con base in Emilia Romagna.
    Dopo quasi 5 anni in cui ho potuto toccare con mano molti dei processi di selezione, formazione e sviluppo facendo consulenza ed erogazioni per aziende e PA, decido di dimettermi.

    Il mio obiettivo era quello di passare da consulenza ad azienda con il ruolo di responsabile formazione e sviluppo: volevo infatti poter davvero “lasciare il segno” con la continuità di intervento che per sua natura la consulenza non consente.

    Dopo 3 anni di ricerca attiva ed esperienze libero professionali di varia natura (dalla consulenza sui piani formativi alla formazione specialistica in medicina, passando per ANPAL ed il Centro per l’impiego) stavo decidendo di trasferirmi in Irlanda dove immaginavo opportunità evolute in HR grazie alla politica attrattiva adottata all’epoca verso le grandi multinazionali.

    Improvvisamente una inattesa sliding door fa si che io venga selezionato da Experis/Manpower per la start-up della funzione Formazione e Sviluppo nel Gruppo CFT (all’epoca 2500 dipendi e 300Mln€ di fatturato).
    Il ruolo che volevo, vicino a casa, con budget/potere si spesa e mandato autentico del board: come rifiutare?
    Rimango 5 anni sino alla importante crisi aziendale che mi convince a uscire: in certi momenti di vita delle aziende non si può costruire ed io non ero disposto ad aspettar anni affinché l’azienda si risanasse.

    Qui entro in contatto con My English School ancora una volta per uno start-up di funzione: stavolta quella Risorse Umane nel suo complesso.
    A fine 2019 decido quindi di misurarmi con una realtà più piccola (una PMI in rapida crescita) in un ruolo più ampio, certo che potrò avere un gran beneficio dall’allargare visione e competenze.

    A pochi mesi dall’ingresso scoppia la pandemia che rende certo più complesso e faticoso entrare nel ruolo e strutturare la funzione…Ed eccoci ad oggi!

    Cosa ti ha spinto ad avvicinarti al mondo delle Risorse Umane?

    L’aver scoperto la formazione professionale durante il mio tirocinio post laurea ed aver capito che mi sarebbe molto piaciuto andare in quella direzione per la possibilità di supportare lo sviluppo e la crescita delle persone all’interno delle imprese.

    Quali sono gli ambiti delle HR che più ti appassionano?

    Sicuramente la selezione, formazione e sviluppo del personale.

    Cosa significa essere HR Manager di una scuola di inglese?

    Certamente lavorare molto sulla interculturalità, sulla valorizzazione e l’integrazione delle varie anime presenti in azienda, contemperando al tempo stesso le esigenze di una operatività molto dinamica con le rigide norme giuslavoristiche dell’ordinamento italiano.

    Quali sono le caratteristiche necessarie per svolgere al meglio questo ruolo?

    Certamente capacità di ascolto, velocità di azione, ed apertura mentale supportate da solide conoscenze in ambito di giuslavorismo e amministrazione del personale.

    Quali sono gli elementi essenziali che devono essere presenti in un CV a tuo avviso? E in un CV formato inglese?

    Qui temo di non poter portare una visione originale: in tutte le lingue serve che siamo ben descritte le esperienze con le competenze in esse maturate ed i risultati raggiunti.

    A tuo avviso qual è il ruolo delle Soft skill o Power skill nel mondo del lavoro di oggi?

    Quello che hanno sempre avuto: sono fattori abilitanti alla piena espressione del proprio valore professionale.
    Certamente nei ruoli manageriali stanno acquisendo sempre più importanza, ma sempre e solo a coronamento di forte competenza tecnica.

    Qual è il corso universitario, ma non solo, che ti sentiresti di suggerire a chi vorrebbe affacciarsi al mondo delle Risorse Umane?

    Fortunatamente stanno nascendo corsi sempre più specialistici, e/o interfacoltà con focus su HR.
    Sicuramente quindi tutti quelli che preparino alla piena comprensione del sistema azienda ed alle parti hard del ruolo: giuslavorismo e amministrazione del personale in primis.

    È infatti molto più semplice recuperare successivamente le parti soft del ruolo che non il contrario.

    Sconsiglio invece i percorsi puramente umanistici con l’idea di lasciare l’ingrato compito di renderci competenti ad un Master HR.

    Hai un motto o una citazione che ti guida nel tuo lavoro e, più in generale, nella tua vita?

    Amo molto citazioni e proverbi ne metto almeno due:

    • “homo faber fortunae suae/homo quisque faber ipse fortunae suae” l’uomo è artefice della propria sorte (Appio Claudio Cieco)
    • La fortuna non esiste: esiste il momento in cui il talento incontra l’occasione (Lucio Anneo Seneca)

    Nel tempo libero hai qualche hobby o passione particolare?

    In assoluto la musica: vedo moltissimi concerto e suono in basso elettrico in una cover band di Grunge/Rock anni ’90.

    Roberto Marra, L&D Specialist per Giada's Project

    Formazione e HR – Intervista a Roberto Marra, Learning Specialist Amazon

    Buongiorno Roberto. Ci parli un po’ di te e del percorso che ti ha portato ad essere la persona e il professionista che sei oggi?

    Buongiorno Giada. Piacere mio e grazie per l’opportunità.

    Per descrivermi, utilizzo una parola, un proverbio e un aggettivo.

    Rollercoaster”. Liceo Scientifico, Laurea Magistrale in Giurisprudenza, due Master in Risorse Umane. Non proprio il percorso più “lineare” da seguire.

    Chi nasce quadrato non può morire tondo”. Se questa è una verità, mi considero la più classica delle eccezioni. Un rational thinker, che, nel corso degli anni, ha sempre più fatto spazio a istinto e creatività. Posso dire di essere arrivato ad un buon compromesso tra queste tre dimensioni.

    Grato”, in particolare, per due motivi. In primis, perché sono riuscito a costellare il mio cielo di tante stelle, che, con esempi, parole e gesti, hanno illuminato il mio percorso, anche nei momenti in cui la nebbia era fitta. Il professionista e la persona che sono e che sarò è anche merito loro. In secundis, perché ho sempre avuto la possibilità di assecondare le mie passioni e i miei desideri.

    Roberto Marra, L&D Specialist per Giada's Project
    Roberto Marra, L&D Specialist per Giada’s Project

    Il mio profilo Linkedin, invece, racconta che, dopo l’esperienza come assistente giudiziario al TAR e la pratica forense, mi sono occupato, per tre anni, di consulenza organizzativa e formativa, prima di entrare a far parte del team L&D, prima come Trainer e, oggi, come Learning Specialist, di una delle principali internet company del mondo. Sono autore di un romanzo sul mondo Hr, nonché membro della faculty del Master in HR della Business School.

    Fil rouge di tutto questo? L’attenzione costante alle persone che si fidano e affidano a me.

    Cosa significa essere Learning Specialist? Quali sono gli aspetti che più ti motivano del tuo lavoro e quali sono invece quelli più sfidanti?

    Significa, innanzitutto, prendersi cura delle persone, in quanto tali. Essere responsabile di un team di tredici persone, infatti, vuol dire mettere al centro del mio lavoro il benessere di chi lavora con me ogni giorno, ascoltando, affiancando e aiutando loro a crescere come persone e come professionisti. Credo che questa sia la chiave per raggiungere qualsiasi obiettivo e successo nel medio lungo periodo.

    Questa è certamente una delle leve che mi motivano maggiormente nel mio lavoro. La possibilità di lavorare in un contesto globale e altamente strutturato, in cui il cambiamento è costante ed esponenziale, a contatto con stakeholder di differenti settori e culture, completano un quadro altamente stimolante e ingaggiante.

    Sei anche docente presso Business Thool. Ce ne parli?

    Si tratta di un progetto nato dalla volontà, tra i tanti, del dott. Guido Capobianco di proporre un nuovo modo di educare (non solo formare) i professionisti del presente e del futuro. Oltre ad una profonda stima reciproca, infatti, il valore dell’umanità è ciò che ci accomuna. Il progetto si fonda su una semplice, ma quanto mai complessa verità. Ogni persona è diversa dall’altra, in termini di desideri, aspirazioni ed esigenze. L’obiettivo è, quindi, creare una cornice e un network, all’interno della quale tutti possano trovare la propria dimensione e di cui la formazione, intesa come facilitazione, sia solo la punta dell’iceberg.

    Nello specifico, mi occupo del modulo di Formazione del personale all’interno del Master Hr Generalist.

    Cosa consiglieresti ad una persona che vorrebbe lavorare nel campo della formazione?

    Di essere sempre curioso, di non sentirsi mai arrivato e di appassionarsi, innanzitutto, agli altri. Lavorare in L&D e, in generale, nel mondo delle Risorse Umane significa essere, innanzitutto, poliedrici, per riuscire, nei diversi contesti, a trovare sempre la chiave di lettura che sappia matchare gli interessi del singolo con quelli dell’azienda. In un mondo aziendale/professionale sempre più fragile e guidato dai dati, le persone non possono che tornare ad essere centro nevralgico del dibattito. Di conseguenza, i differenti uffici HR devono essere parte integrante dei disegni strategici aziendali, uscendo dai propri uffici e dalle stanze dei bottoni e portando sul tavolo un punto di vista più umano, frutto di affiancamento e vicinanza alla popolazione aziendale.

    A tuo avviso che ruolo avranno la formazione e il digitale nelle aziende nel prossimo futuro?

    Il cambiamento, ormai, è parte integrante del nostro lavoro e, in generale, del nostro modus vivendi. Non c’è ambito della vita personale e professionale di ognuno di noi che non sia in costante cambiamento. Proprio per questo, qualsiasi società o professionista che intenda vivere da protagonista il mercato di riferimento non può prescindere da un costante e profondo investimento sulla formazione delle proprie persone.

    Lo stesso concetto di formazione sta cambiando.

    Se fino a qualche anno fa si declinava la formazione come addestramento (“per ottenere A, devi fare B”), un po’ come per i mansionari di tayloristica memoria, sempre più oggi si parla di formazione in termini di facilitazione, come strumento di miglioramento personale, in cui la prima skill da apprendere è l’abilità di apprendere. Oggi, quindi, la formazione deve essere declinata secondo le tre L, ossia lifelong, lifewise e lifedeep, per poter essere parte attiva del cambiamento. In questo quadro, ovviamente, il digitale svolge un ruolo fondamentale. Che siano pillole formative, soluzioni di gamification, podcast, AR e, ancora più recente, metaverso, il digitale è in grado di portare ad un livello sempre più alto, in termini qualitativi, l’apprendimento personale. Come sempre, però, non mancano le avvertenze. Non sempre il digitale può e deve essere la soluzione. Basti pensare, ad esempio, allo sviluppo delle competenze trasversali, in cui metodologie altre (in primis, l’Outdoor Training) sono soluzioni da preferire, con il digitale a supporto e ad arricchimento di queste ultime. Altro errore da evitare è quello del learning overloading. L’apprendimento necessita di tempo per essere compreso, razionalizzato ed applicato. Il “tutto è subito” è, in altre parole, un miraggio.

    Che ruolo giocano e hanno giocato le esperienze di volontariato ed extra-lavorative che hai vissuto nel tuo percorso?

    Tutte le esperienze mi hanno, quali direttamente, quali indirettamente, portato ad essere la persona e il professionista che sono. Da questo punto vista, l’esperienza con SHRM mi ha permesso di entrare in contatto, innanzitutto, con tanti altri professionisti, che vedono in persone e cambiamento le due direttive da seguire già da oggi per un futuro sostenibile. La verità è che il network rappresenta una fonte inesauribile di apprendimento, confronto e riflessione.

    Antonella Gioia, Employer branding e consultant Lamborghini per Giada's Project

    Employer Branding, marketing e comunicazione con Antonella Gioia

    Una nuova intervista per Giada’s Project ad Antonella Gioia, Randstad HR Solution Consultant in Automobili Lamborghini S.p.A. Parleremo di marketing, comunicazione e HR e tutti i possibili punti in comune. Buona lettura.

    Ciao Antonella, grazie per la partecipazione. Ci racconti qualcosa in più su di te e sul tuo percorso?

    Ciao Giada, grazie a te per avermi coinvolta. Quando ci siamo sentite la prima volta, stavo facendo un On The Road nella mia regione, la Basilicata. Ci tengo a precisarlo perché è proprio da qui che comincia la mia storia con un Erasmus anticipato, come lo chiamo io, ovvero il trasferimento dalla mia terra d’origine a Bologna, la mia città adottiva. Mia madre era restia, “così lontano, perché non vai a Salerno o Napoli”, ma io ero convintissima. Triennale in Scienze politiche, sociali e internazionali con curriculum comunicazione e poi magistrale in Comunicazione pubblica e d’impresa, il Compass, com’è conosciuto ancora oggi!

    Sono una persona che vive di attimi e intuizioni, più di pancia che di testa, e alla fine quel carpe diem ha funzionato. Dopo la magistrale mi sono candidata per una posizione di stage in Automobili Lamborghini come Employer Branding & Internal Communication support e da allora ho conosciuto un mondo professionale che prima ignoravo…se mi avessero chiesto cosa avrei voluto fare da grande, il mio job title attuale non era sicuramente previsto, semplicemente perché non conoscevo il settore.

    Antonella Gioia, Employer branding e consultant Lamborghini per Giada’s Project

    Cosa ti ha spinta ad avvicinarti al mondo del marketing e della comunicazione?

    Sono sempre stata appassionata di parole, soprattutto scritte. La comunicazione è il mio centro di gravità permanente, per citare un sommo poeta moderno. Le storie e le persone mi hanno sempre affascinato: quando ero più piccola volevo fare la scrittrice, poi la giornalista e oggi sono una comunicatrice. Credo che dietro ognuna di queste aspirazioni ci sia il mio grande bisogno di condivisione, che a volte mi fa dubitare del mio essere figlia unica, o forse è in realtà una conferma. “Marketing” è molte cose: quello che mi piaceva di più era la sottigliezza delle campagne di comunicazione e l’abilità con cui le parole venivano combinate, ma soprattutto la potenza con cui i messaggi trasformavano e indirizzavano i comportamenti. “Marketing” è ciò quel che faccio oggi, non sul prodotto, ma sull’azienda: l’employer branding è proprio il marketing delle risorse umane, definizione che uso per spiegare meglio quello che faccio.

    Le famose “4 P” del Marketing mi sono tornate spesso utili, anche se basterebbe una piccola ricerca online per scoprire che oggi si è aggiunta una 5 P, che in realtà nell’employer branding è sempre stata la più importante: P di People, le persone al centro e misura di tutte le cose, in un nostalgico ritorno dell’antropocentrismo di età moderna.

    Come sei approdata poi all’employer branding, una piacevole commistione tra marketing, comunicazione e HR?

    Ricordo che quando lessi la posizione aperta su LinkedIn passai un pomeriggio intero ad approfondire il mondo dell’employer branding: a parte la traduzione letterale, non avevo idea di cosa fosse. Quello che mi rassicurava era la parte di “internal communication”, che era sicuramente più parlante e conosciuta in Italia. Esattamente come l’hai definito tu, sentivo di avere due cose dalla mia parte, marketing e comunicazione, mi mancava sicuramente la parte HR. All’Università la sociologia era tra le mie materie preferite, i comportamenti umani mi hanno sempre affascinato, per me le persone sono una grande miniera da scoprire.

    Così ho provato ed eccomi qui!

    Effettivamente il mondo delle Risorse Umane è stato una piacevole scoperta, che erroneamente associavo solo al recruiting e alla selezione. 

    Employer branding e comunicazione interna. Quali sono gli elementi da tenere sempre a mente per lavorare in questo ambito?

    Fare employer branding è un po’ come quando la nonna parla del nipote alla vicina di casa: quanto orgoglio c’è in quegli occhi e in quel tono di voce? Ecco, bisogna essere capaci di raccontare l’azienda sotto quella luce e, affinché il racconto sia autentico, è fondamentale che i propri valori siano allineati a quelli corporate. Al centro di tutto rimangono le persone, con le loro esigenze, richieste e proposte, proprio come per la comunicazione interna, in cui ci si fa canali e collanti di una comunità che condivide non solo obiettivi di business, ma anche stralci di vita quotidiana. Forse l’elemento principale e imprescindibile è l’ascolto, cartina tornasole senza cui sarebbe impossibile disegnare qualunque percorso.

     È un settore in continuo mutamento, non ci si annoia mai perché c’è sempre qualcuno o qualcosa da cui trarre ispirazione. È un ambito che si nutre di immaginazione e lungimiranza nel pensare a qualcosa che ancora non esiste, vive di idee folli ed esagerate che aspettano solo qualcuno che abbia il coraggio di pronunciarle. Più o meno la maggior parte dei progetti che portiamo avanti cominciano così, con un condizionale che poi diventa realtà.

    Parlando di social network, qual è quello che usi di più e perché?

    Senza dubbio Instagram, ma quasi a pari merito con LinkedIn. Instagram è più una sorta di album dei ricordi da andare a risfogliare nei momenti di nostalgia, mentre le Storie sono per me un modo per condividere non solo momenti, ma anche informazioni utili, notizie di attualità, sostegno alle battaglie che quotidianamente vengono portate avanti, soprattutto dalle minoranze.

    Dico sempre che Instagram non dovrebbe essere un canale fine a sé stesso per nutrire la propria vanità, ma appunto uno strumento impegnato e una fonte di ispirazione. Ben vengano quindi le condivisioni volte a sensibilizzare su determinati argomenti oppure a consigliare posti da visitare, esperienze da fare o locali da provare.

    LinkedIn invece è un’aula di scuola sempre aperta, in cui viene riservato a tutti un banchetto. Nonostante i job title risonanti, non c’è gerarchia. Lì davvero conta la sostanza e quello che hai da dire, perché il bello sta proprio nel riuscire ad innescare conversazioni. Cerco di essere attiva e costante nell’uso di LinkedIn perché penso che sia davvero uno strumento di formazione alla portata di tutti e chi non lo capisce spreca un’occasione preziosissima!

    Ti confesso che ho una passione per i motori, dalle due ruote alle quattro ruote. Lavorando come HRPO Consultant di Randstad HR Solutions in Automobili Lamborghini S.p.A., non posso non chiederti qual è il tuo modello di vettura preferito.

    Difficile scegliere, ma direi Urus, perché poliedrico e mediatore dei desideri più disparati. Un inno alla libertà e un invito alla massima espressione del sé, capace di andare sempre oltre. Urus è un modello inclusivo, che si propone a diversi target di clienti ed è capace di coniugare più esigenze e prospettive. La sua nascita deriva da una visione, concretizzata grazie al coraggio dell’azienda che ha anticipato i tempi e dettato le regole del gioco.

    Se dovessi raccontarlo ai giovani talenti come richiede il tuo lavoro, cosa significa lavorare in Lamborghini, un sogno che molti vorrebbero veder realizzato?

    Questa è la domanda più gettonata ai Career Days! Lavorare in Lamborghini significa accettare di mettersi in gioco e lasciare un impatto tangibile. Significa farsi portavoce di quel senso di responsabilità nei confronti della società che l’azienda si assume attraverso tanti progetti e iniziative. Lavorare in Lamborghini è quasi una missione, definita da un senso di appartenenza molto forte al Brand e ai suoi valori.

    È un’azienda che chiede ma dà anche molto, in cui è la personalità di ognuno a fare la differenza. Entrare a far parte del team Lamborghini significa avere margine di spazio e azione per disegnare il proprio percorso in base alle proprie aspirazioni e ai propri desideri, oltre gli standard. Essendo una grande azienda, in ogni dipartimento si ha la possibilità di confrontarsi con tanti professionisti con background accademici e professionali diversi, un’ottima occasione per crescere e lasciarsi ispirare. È una sfida quotidiana con sé stessi per esplorare nuove direzioni, sognare più in grande ed evolvere insieme ad un team appassionato e visionario. Molti lo definiscono appunto “un sogno” …alla fine dei conti, provare per credere!

    Da cosa ti lasci ispirare nel lavoro e nella vita?

    Sono una gran chiacchierona e, come mi dissero una volta, sono molto generosa nel raccontarmi, ma la cosa da cui mi lascio ispirare maggiormente nel lavoro e nella vita è l’ascolto delle persone. Sono estremamente curiosa, penso che tutti abbiano qualcosa da dare, solo che bisogna essere capaci di accogliere. Dico sempre che ogni percorso è unico e irripetibile e ho imparato col tempo a non paragonarmi mai, piuttosto a registrare l’informazione, approfondirla e farla mia, capendo se e come portarla nella mia vita, partendo da una domanda: “Che valore mi dà questa cosa?” Di base sono una persona che cerca molto in maniera autonoma e condivide tanto, perché penso sia importante mettere in circolo le idee per farle sbocciare. E poi mi nutro di esperienze, che può essere visitare un posto nuovo, leggere un libro o partecipare ad un evento. Siamo costantemente bombardati da stimoli esterni, il segreto sta nel riuscire a selezionarli e filtrarli, per capire su cosa vale la pena concentrare attenzione ed energie.

    Un libro che consiglieresti a chi si vuole avvicinare all’employer branding e comunicazione interna.

    È un libro che ho incontrato grazie al corso di Psicologia della Comunicazione Sociale in triennale, “Le parole sono finestre (oppure muri)” di Marshall Rosenberg. Contiene tutti i principi della comunicazione empatica e non violenta, partendo innanzitutto da una comunicazione consapevole verso sé stessi, imparando ad ampliare il vocabolario delle emozioni. È lo γνῶθι σαυτόν dei greci, punto di partenza per poter accogliere gli altri. Un testo che dovrebbero leggere tutti, non solo chi vuole avvicinarsi all’employer branding o alla comunicazione interna. Non spoilero ulteriormente…buona lettura, con l’augurio di diventare tutti giraffe e non sciacalli!

    Gianluca Pillera, il Consulente del Lavoro per Giada's Project

    Il Consulente del Lavoro – Intervista a Gianluca Pillera

    Buongiorno Dott. Pillera, la ringrazio per la sua disponibilità. Ci può raccontare qualcosa sul percorso professionale e formativo che l’ha portata ad essere il professionista consulente del lavoro che è oggi?

    Il mio è stato un percorso molto particolare, entro in studio subito dopo il diploma di scuola superiore, mi appassiona molto la materia giuslavorista e tento l’esame di stato per diventare consulente del lavoro, ci riesco al terzo tentativo! Poi decido di laurearmi e con due figli piccoli durante il lavoro di studio non mi resta che studiare la notte. Ma se si vuole fortemente una cosa la si ottiene, nulla ci può fermare! E riesco a laurearmi…

    Cosa l’ha spinta a diventare consulente del lavoro?

    Sono fortunato perché figlio d’arte, il mio papà è stato consulente del lavoro e mi ha insegnato tutto, è stato motivo di ispirazione a stando vicino a lui ho potuto imparare i trucchi del mestiere. Mi ricordo la sua soddisfazione quando ho superato l’esame di stato e mi sono abilitato alla professione. Avere lo studio avviato, devo ammettere, è stato più semplice e piano piano ho preso sempre più dimestichezza nel mestiere e ringrazio sempre mio papà che mi ha tramandato la passione per questo lavoro.

    Da dove nasce Il consulente del lavoro © su Instagram? Ad oggi da quanti membri e collaboratori è composto?

    La pagina Instagram de @ilconsulente_del_lavoro nasce nell’estate del 2020 quando mi resi conto che non esistevano profili di colleghi CDL con aggiornamenti di lavoro, sentivo l’esigenza di condividere notizie di lavoro in maniera precisa, ma soprattutto puntuale all’uscita della norma. Adesso la pagina sta avendo un successo enorme, quasi inaspettato, ed è diventato un aiuto concreto per i colleghi e un punto di riferimento per tantissimi colleghi CDL di tutta Italia. Molti chiedono informazioni e confronto, molti si affidano a noi e addirittura adesso si sente dire: “aspettiamo che viene pubblicato da @ilconsulente_del_lavoro”.

    @ilconsulente_del_lavoro

    Il profilo de @ilconsulente_del_lavoro è stato ispirazione per tantissimi colleghi che ultimamente si affacciano sempre più spesso al modo social, mantenendo la professionalità che ci contraddistingue.

    Come pensa evolveranno lo smart working e le proposte di settimana corta?

    È il futuro! Il periodo di pandemia ha realmente stravolto il nostro modo di vedere il lavoro, ha anticipato i tempi di 4/5 anni, le nuove generazioni hanno affrontato oltre due anni di lavoro con questa modalità e l’hanno fatta loro, la richiesta attuale è CONCILIAZIONE VITA – LAVORO.

    Afferma che ‘il futuro è nel temporary management’. Ce lo spiega?

    Il TEMPORARY MANAGEMENT è il mio pallino da sempre! Nel mio studio cerco anche di sperimentare vie nuove ed essere sempre pronto ad offrire nuove consulenze ai miei clienti, anche qui negli ultimi anni ho notato che le esigenze aziendali si stanno modificando fortemente. Molte realtà aziendali hanno necessità di professionalità all’interno che non riescono a trovare e magari non hanno la possibilità di poter inserire in organico figure dirigenziali con costi esorbitanti, da qui l’idea di entrare in azienda con figure professionali strutturale, ma temporanee. In studio Pillera abbiamo ormai 3 professionisti che ogni giorno si recano in aziende per svolgere la funzione di Responsabile Risorse Umane; entriamo nelle aziende per gestire il personale e per ottimizzare la gestione interna facendo tra interfaccia tra il datore di lavoro e i dipendenti. Penso che il futuro sia questo! Entriamo nelle aziende anche con contratti di 1 solo giorno a settimana che per molte aziende può essere sufficienti per risparmiare sui costi, ma ottenere grandissimi risultati in termini di efficienza.

    Quali sono le più grandi perplessità e paure che nota nelle aziende nell’ultimo anno?

    Più che altro vedo giovani imprenditori che non sono abituati a gestire situazioni complicate e non riescono a prendere decisioni, a volte anche impopolari, che possono essere vitali per l’andamento aziendale, da qui il nostro ruolo sta diventato sempre più importante e di supporto agli imprenditori

    Come sono cambiati i contratti di lavoro dopo il decreto trasparenza? Vi è davvero una chiarezza maggiore?

    Sono totalmente contrario all’inserimento del Decreto Trasparenza, ulteriore complicazione con aggravio di burocrazia che, invece di aiutare il dipendente nella lettura della lettera di assunzione, ha creato e creerà incomprensioni nel dipendente prima e negli studi un aggravio di burocrazia e tempistiche nella redazione.

    Quali sono gli elementi essenziali per essere un buon consulente del lavoro?

    Sempre disponibile, sempre aggiornato, sempre innovativo, curioso e chiedersi come mai il cliente non ti chiama da ormai 10 giorni….

    Manuele Ceschia CEO di MyNet

    Intervista a Manuele Ceschia, CEO di App MyNet

    Ciao Manuele, bentrovato. Ci racconti qualcosa in più su di te e sul percorso che ti ha portato a diventare il CEO dell’App MyNet?

    Diciamo che è stato un percorso esperienziale determinato da un mio approccio nel formarmi nel contesto in cui sono.

    Sono partito dal mondo degli eventi, organizzando prima delle feste, poi dei festival, poi degli eventi per la Regione, aziende ed enti di varia natura e dimensione. Questo mi ha fatto toccare e respirare il mondo del marketing. Sono entrato poi come dipendente in un’agenzia di marketing, diventando successivamente uno dei soci e portandola a crescere dieci volte tanto quanto era il volume di affari di quando l’avevo incontrata.

    Nel tempo il marketing mi ha permesso di conoscere svariate aziende, molte delle quali mi hanno offerto l’esperienza di entrare nelle loro società e offrire le mie competenze in cambio di questo, da piattaforme welfare, siti di couponing, un e-commerce per prodotti per moto…

    Poi però, con l’andare del tempo e della mia crescita, ho deciso di lasciare tutte queste esperienze, che mi hanno insegnato molto, per un progetto mio. Sono così uscito da queste diverse realtà, vendendo tutte le mie quote acquisite, sfruttando quanto ricavato per mettere a terra un’idea che ci era venuta, ovvero quella di realizzare App MyNet, un’App che rendesse la vita dei dipendenti migliore con la comunicazione.

    Manuele Ceschia CEO di MyNet
    Manuele Ceschia CEO di MyNet

    Cosa ti affascina del mondo delle Risorse Umane? E di quello Digital?

    Mi affascinano sicuramente le possibilità che questo mercato ha. Il mondo delle HR e della digitalizzazione al suo interno sono in grandissima crescita. Posso dire che il nostro credo, cioè quello di dare valore alle persone tramite la comunicazione, negli ultimi anni, anche grazie alla pandemia e alle difficoltà che le aziende hanno nell’attrarre e trattenere i talenti, è sempre più centrale. Questo ha permesso di portare visibilità al nostro strumento che permette per l’appunto di fare questo.

    Diciamo che ho portato il marketing, il digitale, con un nuovo punto di vista nel mondo delle HR. Non si parla più del software HR che viene calato sul dipendente, ma di una tecnologia in grado di rispondere alle sue esigenze, tutto in un’unica piattaforma. Sicuramente molto ingaggiante.

    Da dove è nata l’idea dell’App MyNet?

    L’App Mynet è un’idea nata in Biofarma, a Gabriella Tavasani, che era un’azienda cliente della nostra agenzia di marketing e che ci ha lanciato questa sfida. Fondamentalmente è stato quello che nel mondo delle startup adesso si chiama POC.

    Abbiamo fatto un test su di loro, sviluppando questa App, con una tecnologia ovviamente non performante come quella attuale, ma sicuramente un qualcosa che ci ha permesso di diventare sempre più informati e di acquisire know how.

    Poi ogni cliente che è arrivato, ogni trattativa gestita, ci ha generato del valore e la nostra curiosità ci ha spinto ad informarci sempre più. Ora godiamo di capacità e conoscenza del mercato, dei processi e delle tecnologie molto ampie a nostra disposizione.

    Cosa vi differenzia dalla concorrenza? Cosa offrite in più ai vostri clienti?

    A mio avviso sono due le principali differenze:

    1. La grande capacità di interagire con le risorse in uno strumento che utilizzano perché gli semplifica la vita lavorativa;
    2. La possibilità che le aziende hanno di offrire uno strumento proprietario e personalizzato che va ad interagire con tutti i vari gestionali che solitamente hanno un approccio del tipo ‘accedi a questo sito e fai questa cosa’. Invece adesso, tutto può essere a portata di mano. Sempre più infatti le persone, le aziende e gli HR manager si sono resi conto che la user experience del dipendente sta al centro di tutti i processi.

    E in più offriamo dei consulenti preparati sul mondo HR, tecnologia, marketing, comunicazione, che osservano il loro operato e che con una frequenza trimestrale, organizzano delle riunioni per aiutarli a migliorare il loro lavoro e l’esperienza dei loro collaboratori all’interno dello strumento.

    Qual è il modulo di MyNet che preferisci e perché?

    Non c’è un modulo che preferisco. Ne ho diversi che mi piacciono molto. Solitamente rispondo che è il prossimo modulo che dobbiamo sviluppare. Nel senso che mi piace molto pensare ad arricchire la piattaforma con nuove funzionalità.

    Ad esempio, adesso stiamo pensando, da una parte, ad una funzionalità legata al mondo del performance management e, dall’altra, ad un modulo legato al report sulle attività svolte per portare anche la produzione e i reparti produttivi all’interno dell’applicativo.

    Siete anche una società benefit. Cosa comporta questa scelta? Cosa consiglieresti alle aziende che stanno pensando di intraprendere questo percorso?

    Questa scelta non comporta granché perché, in realtà, noi come moltissime altre aziende siamo benefit nel pensiero e nelle persone, quindi di fatto è semplicemente un’etichetta che ci siamo messi addosso, ma che sentiamo nostra da molto tempo. Essa ci permette di pensare e andare avanti in questa direzione, continuando sempre a incrementare e migliorare il nostro essere benefit.

    Cosa consiglierei alle aziende che vogliono entrare in questo fantastico mondo? Beh, a quelli che lo fanno senza convinzione, di non farlo. A quelli che lo fanno con convinzione, suggerisco di informarsi bene, di comunicare, di mettersi in rete e di fare molto networking.

    Progetti per il prossimo anno?

    Ci sarà un grande impatto in termini di sviluppo, di tecnologia proprio, perché andremo a fare delle importanti evoluzioni nel prodotto, soprattutto nella parte hard HR, ovvero nel work flow di richiesta/approvazione, nel timbratore. Sicuramente punteremo ad espandere il nostro mercato all’estero con dei partner e cercheremo di consolidarci sempre di più nel mercato italiano, cercando di mantenere i ritmi attuali, che ci stanno dando tante soddisfazioni, facendo diventare il team sempre più grande e tutti i nostri clienti sempre di più motivati e coinvolti.