Piero Vigutto per Giada's Project

HR a 360° – Intervista a Piero Vigutto, facilitatore nella gestione delle Umane Risorse di HR&O Consulting

Buongiorno Piero, è un piacere e onore poterti intervistare. Ci racconti qualcosa in più su di te e sul tuo percorso professionale? 

Buongiorno Giada, grazie per avermi coinvolto in Giada’s Project. Che dire su di me… dopo la laurea in psicologia del lavoro e delle organizzazioni, ho conseguito due master di specializzazione in selezione e formazione del personale che sono stati il trampolino di lancio verso questo meraviglioso lavoro. Ho collaborato con società di consulenza, sono stato in azienda come HR Manager e consulente, ho avuto esperienza sia all’interno di PMI che in multinazionali dove ho progettato e realizzato sistemi di gestione delle risorse umane dal reclutamento, alla formazione, alla valutazione e gestione del personale. Qualche anno fa ho scoperto il piacere della scrittura e della saggistica cosa che mi ha permesso di dare vita a Pillole HR, il blog dove scrivo settimanalmente che conta ormai qualche centinaio di articoli, e di pubblicare alcuni manuali di psicologia del lavoro e delle organizzazioni. Insomma, ho fatto molte esperienze, diverse tra loro ma complementari che mi hanno permesso di sviluppare una professionalità a tutto tondo.

Perché le HR e qual è l’area delle risorse umane che più ti appassiona? 

Il lavoro nelle risorse umane è arrivato dopo la passione nata durante l’Università quando diedi l’esame di psicologia del lavoro, da lì è stato un crescendo di approfondimenti, di esperienze sul campo e di tante, tantissime domande ai senior con cui lavoravo. All’inizio della mia carriera ho avuto la possibilità di conoscere Spaltro e di lavorare con Majer e di interagire molti di quelli che consideravo i giganti della psicologia del lavoro in Italia. Con loro ho fatto esperienza sul campo e da loro ho ricevuto moltissimi stimoli e tante risorse. Come puoi intuire, in un ambiente così stimolante dal punto di vista intellettuale, la passione che era nata all’università non poteva che crescere e riversarsi nel lavoro che ho scelto.

I maggiori stimoli però me li hanno dati sempre le persone che lavorano in azienda. Non intendo solo manager e imprenditori ma anche i dipendenti, i collaboratori che creano spesso involontariamente meccanismi comportamentali e meccanismi relazionali che se non vengono gestiti bene possono essere deflagranti per l’organizzazione ma che per uno psicologo sono davvero interessanti. Il desiderio di capire i meccanismi che soggiacciono a qualunque scelta, ai comportamenti, alle motivazioni va poi di pari passo con la passione per lo studio e la ricerca, due aspetti che riempiono la vita di chi si occupa di persone e organizzazioni e che, nel mio caso, ha portato alla pubblicazione di alcuni manuali di psicologia pratica. Non posso dire che c’è un solo aspetto che mi appassiona, posso però dirti che il bello di questo lavoro è che non smetti mai di imparare perché c’è sempre qualcosa che ti stupisce.

Piero Vigutto per Giada's Project
Piero Vigutto, facilitatore nella gestione delle Umane Risorse di HR&O Consulting per Giada’s Project

Da bambino cosa sognavi di fare ‘da grande’? 

Sognavo di fare l’inventore, strada che ho abbandonato dopo che ho quasi dato fuoco alla casa. Per un periodo ho pensato di fare l’avvocato, era l’adolescenza, e meno male che ho desistito ancor prima di iniziare. Se c’è un mestiere che non ho mai pensato di fare da grande era quello dello psicologo del lavoro, anche perché non sapevo neppure che esistesse un lavoro come questo. Devo dire però che, a pensarci bene, occuparsi di HR in azienda comporta sia le competenze dell’inventore come il problem solving, la capacità di capire come andranno le cose prima ancora di iniziare, la capacità di programmazione e progettazione, e pure quelle tipiche dell’avvocato come la dialettica, la conoscenza del diritto, capacità di mediare e quella di capire le organizzazioni. E ovviamente, visto che hai a che fare con le persone, aver studiato psicologia mi ha aiutato tantissimo.

Si sta parlando molto di quiet quitting, un fenomeno per alcuni versi già noto, ma forse diverso per altri. Che cosa ne pensi? Cosa dovrebbero fare le aziende per aumentare l’engagement dei propri collaboratori? 

Su questo argomento ho scritto recentemente un articolo. Il quiet quitting non ha nulla di nuovo è solo l’ennesimo inglesismo con cui si cerca di fare sensazionalismo mediatico chiamando in maniera diversa un fenomeno ben noto. Pensiamoci bene, il quiet quitting descrive la tendenza a fare il minimo indispensabile. Chiunque abbia fatto esperienza d’azienda sa che questo non è una novità, ognuno di noi potrebbe fare mille esempi di vita vissuta, il collega che alle 17 fugge così velocemente che potrebbe vincere i 100 metri alle olimpiadi, quello che fa finta di non sapere che doveva fare anche altro ma siccome nessuno glielo ha detto non lo ha fatto oppure quello che semplicemente non si prende la responsabilità di andare oltre a quanto previsto, disposto, ordinato. Non ditemi che è una novità. L’unica cosa nuova è che oggi ci si chiede come mai e questo è corretto. In un momento che vede una scarsità di offerta causa una piena occupazione che non si vedeva dagli anni ’70 e una domanda importante c’è da chiedersi non solo come attrarre persone, ma anche come tenersi quelle valide, da qui nascono alcuni spunti di riflessione che si traducono con la parola engagement una di quelle parole di cui si è abusato e che erano contenitori vuoti, ma ora devono essere pronunciate con un significato nuovo e significante. Trascurare il coinvolgimento delle persone significa partire zoppi ed essere eliminati a metà della corsa. 

Collegandomi per alcuni aspetti alla domanda precedente che ruolo hanno oggi la valutazione delle risorse, l’employee retention e l’employer branding? Come possono essere gestiti anche da piccole realtà con budget limitati? 

Argomenti interessanti e correlati, cerchiamo di metterli in linea. La valutazione della performance è forse lo strumento cardine su cui basare le politiche di gestione del personale. La domanda però è: quante aziende hanno strumenti anche home made di valutazione? Pochissime, eppure i premi di risultato vengono erogati, spesso a pioggia con il risultato che chi è un quiet quitter continuerà ad esserlo, chi non lo era lo diventerà. Le aziende, anche piccole, non possono più esimersi dall’implementare questo strumento e, se sai quello che fai, ci vuole davvero poco per crearne uno ad hoc. 

Politiche di attraction: cosa do al mio personale che gli altri non danno? Quali sono i motivi per cui le persone dovrebbero venire a lavorare nella mia azienda? Quali sono i benefit che erogherò (welfare, premi di risultato, benefit, ecc.)? Anche qui ci si pensa poco, si dà per scontato che le persone sappiano quello che facciamo e invece non è così perché spesso le imprese comunicano male. Arriviamo quindi all’employer branding: come comunico quello che faccio? A chi lo comunico? Lo faccio bene? Raggiungo il mio pubblico in maniera efficace? Non basta un articolo sul giornale, oggi le imprese devono essere presenti sui social e comunicare in maniera efficace, non sono argomenti da cui si può prescindere. Come sempre c’è chi lo ha capito e si sta muovendo con ottimi risultati, chi non lo ha capito subirà il mercato invece di cavalcare l’onda. In un mondo del lavoro completamente rivoluzionato dove si fa tanta fatica a trovare persone, investire in comunicazione ha un ritorno che si misura in risparmi di costi sulla ricerca e selezione, sul talent retention e sul calo di turnover. Oggi sono questi i veri ritorni sull’investimento.

A tuo avviso cosa può insegnare il marketing alle HR? Che rapporto hai con il marketing e la comunicazione?

Ho un ottimo rapporto, nel senso che ne riconosco il valore e cerco sempre sinergie con il reparto marketing. Come dicevo la comunicazione è importante e purtroppo molto spesso gli HR comunicano male o non comunicano affatto, ma non dobbiamo fargliene una colpa, semplicemente non è il loro lavoro. In un mondo sempre più iper specializzato pensare che un HR si occupi direttamente della comunicazione esterna è follia un po’ come pensare che chi si occupa di marketing faccia anche l’HR, in entrambi i casi abbiamo il preludio del disastro. Però se parliamo di comunicazione, l’HR deve avere almeno un’infarinatura.

Indispensabile oggi è l’uso dei social network, l’HR che non li conosce o non li usa non è un vero HR. Stare sui social significa saper scrivere un post e saper attrarre le persone comunicando nella maniera giusta. Per la comunicazione esterna è indispensabile la sinergia con il reparto marketing dove i due asset collaborano con una comunicazione congiunta che ha sia il fine di promuovere il brand sia quella di attirare la curiosità dei decantati talenti, senza dimenticare che una comunicazione HR-MKT fatta bene tiene conto dei colleghi degli altri reparti e li coinvolge attivamente, in quest’ultimo caso serve un giusto bilanciamento tra le relazioni che l’HR è riuscito a creare in azienda unitamente alle doti comunicative del marketing e un grande gioco di squadra tra i due reparti. Sono certo che nel prossimo futuro sarà sempre più frequente vederli lavorare insieme.

Tra qualche settimana inizierà la quarta edizione di #HRO 2022, una interessantissima convention con speaker di altissimo livello e numeri sempre in aumento, alla quale mi sono già iscritta. Cosa ti aspetti da questo evento? 

Mi aspetto quello che mi aspettavo gli anni scorsi, di ascoltare persone che hanno molto da dire, di confrontarmi con professioniste e professionisti, donne e uomini d’azienda disponibili a raccontare la loro esperienza e a darci spunti importanti da portare in azienda. #HRO è nato come momento di stimolo, di contaminazione di saperi e di professionalità. Chi ha partecipato si è sempre portato a casa qualcosa e non intendo il solito gadget ma idee, spunti, riflessioni. #HRO2022 deve essere anche un momento in cui le persone si confrontano, gli anni scorsi non sono mancate le domande dal pubblico e anche quest’anno ci sarà l’occasione per un confronto diretto. Questo secondo me deve essere #HRO.

Un altro progetto che stai seguendo è il Master in Innovative HR Management & HRBP di H-Demy, un percorso formativo altamente professionalizzante, riconosciuto dal MIUR e, punto essenziale e unico, improntato sulla pratica, aspetto non scontato, visto che molti altri corsi si rivelano prettamente teorici. Ci sveli qualcosa in più? 

Lo definirei un Must Have. Come tutti ho fatto molti corsi di approfondimento e di specializzazione, ogni volta cercavo di iscrivermi a percorsi pratici perché ero alla ricerca di strumenti che avrei potuto utilizzare nel mio lavoro. Il più delle volte ci sono riuscito, altre no. Sono partito da una necessità che ho sempre avuto e che ho scoperto poi essere comune a molti colleghi. Sono partito da qui, cercando di capire quali competenze serviranno al HR di domani, ho individuato le materie, cercato docenti che avessero come il desiderio di trasmettere quegli strumenti che faticosamente tutti noi abbiamo racimolato in decine di corsi. Volevo creare un percorso che racchiudesse in sé quello che era necessario portare in azienda. Quando ho terminato il programma mi sono confrontato con HR manager e CEO delle imprese e tutti mi hanno detto “È proprio quello che serve ad un’azienda”. Questo mi ha fatto capire di essere sulla strada giusta, ma ho voluto dare di più cercando anche l’accreditamento universitario.

È l’unico percorso che ti insegna facendo, ad esempio quando ti capita di imparare a strutturare un piano di welfare da chi li fa ogni giorno, creare un vero percorso di D&I, imparare ad utilizzare LinkedIn come un vero social recruiter o ad utilizzare i dati da una vera data analyst, il problem solving utilizzando il gioco del poker, la gestione del team direttamente dal comandante dell’Amerigo Vespucci e tutto nello stesso corso? Ci sono moduli che non troverai in nessun altro corso, ad esempio hai mai visto un percorso di formazione in cui un sindacalista ti insegna la contrattazione sindacale simulandone una con un avvocato giuslavorista e coinvolgendoti direttamente? O come strutturare una sanzione disciplinare partendo dal caso pratico? È stato così apprezzato che abbiamo avuto da subito molte richieste di informazioni e i primi iscritti e, essendo a numero chiuso, contiamo di esaurire i posti entro dicembre per iniziare a gennaio 2023 a formare i primi Innovative HR Manager and HRBP. 

Matteo Sola HR L&D Leader iliad - Giada's project

Learning & Development, persone e digitale – Intervista a Matteo Sola, HR L&D Leader di iliad

Matteo Sola: HR Learning & Development Leader di iliad, Partner di Kopernicana, società di consulenza in ambito trasformazione organizzativa e new way of working e advisor ed angel nel mondo delle startup HR Tech. Coinvolto nella faculty dell’Università Bicocca di Milano, della 24Ore Business School e contribuisce come expert ai contenuti della community “Radical HR”. In passato ha collaborato con realtà come Newton S.p.A per poi passare a Talent Garden, la più grande piattaforma europea di spazi di coworking per talenti digitali. Un curriculum davvero con i fiocchi!

Matteo Sola HR L&D Leader iliad - Giada's project
Matteo Sola HR L&D Leader iliad – Giada’s project

Buongiorno Matteo, grazie per l’interesse nel progetto e per la disponibilità. Raccontaci un po’ chi sei, da dove sei partito e di cosa ti occupi oggi.

Sono un appassionato di persone e di apprendimento in generale, ma anche di innovazione. Dico sempre che mi occupo del mestiere più bello del mondo: mi impegno ogni giorno per capire come aiutare le persone a crescere e a migliorare il loro lavoro. Come HR nasco formatore d’aula in ambito manageriale e non ho mai smesso di fare attivamente formazione, che fosse fisica o da remoto. A questa ho aggiunto un’esperienza verticale nel mondo digital, anche applicato all’evoluzione delle competenze HR stesse. Il mio percorso è composto da diversi anni in consulenza e da diversi ruoli HR, ma sempre con l’obiettivo di arrivare ad essere quello che sono oggi: responsabile della funzione Learning & Development in azienda. Oggi coordino queste attività per iliad in Italia. 

Dov’è nato l’interesse per le Risorse Umane? Quali sono le aree delle HR che ti appassionano di più?

L’interesse per l’HR nasce dal mio bisogno naturale di studio ed approfondimento continuo. lavorare nell’L&D è prima di tutto una buona scusa per leggere ed aggiornarmi continuamente, per poi scrivere, divulgare contenuti (ultimamente mi sono aperto a diversi progetti editoriali), mettere in pratica le mie ricerche, testare e rimettere insieme questa esperienza in altro sapere da condividere successivamente. Credo realmente che la cultura e l’apertura al nuovo possano “salvare il mondo” e l’ho visto accadere diverse volte in termini di carriera e benessere a lavoro delle persone. Credo che la sfida che più mi appassiona da sempre sia il rinnovamento della funzione HR nel suo complesso, un cambiamento che deve essere utile a metterla al centro delle strategie aziendali per poter fare realmente la differenza per le persone. Più nello specifico, lo sviluppo manageriale, perché cambiare i metodi di gestione delle persone, spesso non adeguati alla complessità del business e del cambiamento generazionale in corso, è tanto importante quanto difficile. Oltre ad L&D, mi piace tutto ciò che una volta si definiva “soft” nel mondo HR: dalla Talent Acquisition alla comunicazione interna, ai più recenti settori del wellbeing e dell’engagement. Tutte attività molto sinergiche con L&D di fatto. 

Cosa consiglieresti a un giovane Matteo appena uscito dall’Università?

Di iscriversi ad un master HR come ho effettivamente fatto. Un’esperienza che consiglio a tutti e che mi ha permesso di aprire questo percorso professionale, a volte complesso e tortuoso ma alla fine, almeno ad oggi, vincente. E di pensare un po’ meno a “dove finirai” perché l’importante è sperimentare e le occasioni arrivano sempre (poi bisogna saperle cogliere). Oggi rifarei quasi tutto quello che ho fatto, passo dopo passo. Però forse gli direi che a volte si può lavorare un po’ meno e avere meno fretta (e su questo devo ancora migliorare parecchio).  

Come hai visto cambiare il mondo delle HR in questi ultimi anni? Secondo te quali saranno i trend del prossimo futuro?

L’ho visto cambiare tanto, in particolare grazie alle nuove generazioni che finalmente stanno svecchiando il contesto, che hanno una visione spesso mancante nei colleghi senior, i quali vengono da un’impostazione di mero “servizio” delle HR in azienda, che personalmente non condivido. Spingono, sono proattivi, si formano molto di più, masticano il digitale, non si accontentano di stare ai margini e fare il compitino. Serve sempre di più questo tipo di atteggiamento se vogliamo far svoltare le nostre organizzazioni. I trend del prossimo futuro sono legati a dosi massicce di digitale, sia come metodi di lavoro che come tecnologia in senso stretto. Ma anche un’attenzione sempre maggiore al benessere delle persone e alla costruzione di ambienti di lavoro e culture organizzative sane. Le nuove generazioni dei lavoratori sembrano aver chiuso agli ambienti “tossici” e al sacrificio fine a sé stesso e legato ad una visione di carriera ormai anacronistica. E penso che sia un bene.  

Cosa significa essere HR Learning & Development Leader di iliad?

Significa provare ogni giorno a capire come supportare le persone e potenziare il business insieme a loro. Questo passa dall’ascolto costante ed in ogni forma disponibile. Dalla progettazione di percorsi formativi ed eventi, processi, strumenti di lavoro e situazioni di incontro che possano portare una ventata di novità in azienda alla loro messa in pratica, che è un continuo test e miglioramento sul campo. E dal continuo chiedersi insieme al management “che azienda vogliamo essere domani?”. Oggi ho la fortuna di farlo con un management illuminato e un team L&D che sta crescendo e che porta avanti una quantità ormai rilevante di iniziative, senza mai accontentarsi.   

Oltre ad iliad, sei anche partner di Kopernicana, Expert del Radical HR Club, docente presso realtà di tutto rilievo come la 24ore Business School e l’Università Bicocca e hai anche scritto un libro, “OKR Performance”. Innanzitutto, complimenti! Com’è essere anche docente ed autore e, se posso chiederti, dove trovi il tempo per seguire tutto questo?

Il tempo è lo stesso per tutti. Ogni giornata è di 24 ore per ognuno di noi. La differenza sta nella sua gestione efficace, nelle priorità che ci diamo e nell’energia che ci mettiamo. Non nascondo di lavorare a tratti troppo e di non risparmiarmi mai, ho la fortuna di essere guidato dalla passione e questo rende tutto più facile, anche il sacrificio in più in tarda serata. Ma come dico sempre, in una battuta, il time management forse è l’unica competenza che dovrei realmente insegnare. 

“Always embracing the unconventional” è il tuo motto. Ce lo spieghi brevemente?

 È una semplice frase utile a ricordarmi che i limiti esistono solo nella nostra testa: il “non si può fare” è parente del “si è sempre fatto così” e di altre favolette che ci raccontiamo troppo spesso. I limiti sono frutto dell’abitudine e delle conoscenze o esperienze immagazzinate in passato, che rischiano di diventare false certezze. Quello che ci sembra strano e diverso, lontano da noi, invece è la chiave: se abbiamo apertura mentale, è sempre fonte di ispirazione e di possibili novità da sperimentare nel nostro ambito. Questa è per me la radice dell’innovazione. Con questa frase ricordo in primis a me stesso di percorrere sempre nuove strade.  

Una lettura che consiglieresti a chi si vuole avvicinare alle Risorse Umane?

A proposito di letture non convenzionali, consiglio “brave new work” o “corporate rebels”, testi utili, anche per chi non è un tecnico, a capire in modo semplice ed immediato quanto profondamente stiano cambiando le aziende e gli ambienti di lavoro oggi, mettendo in discussione le certezze del passato. 

Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche essenziali che una persona deve avere per operare nelle HR?

Una certa umiltà intellettuale. Apertura e curiosità per il lavoro degli altri. Disponibilità a capire, ma anche decisione e proattività per portare un impatto. Si fa fatica ad imparare l’interesse per gli altri e ad acquisire la passione per le persone e il loro lavoro se non ce l’hai. Tutto il resto si studia e si impara sul campo. 

A cosa ti dedichi nel tempo libero?

Un po’ di sport (troppo poco ultimamente, devo migliorare), tanta musica quando posso dal vivo, videogames e secchiate di cinema e serie televisive. Ci tengo a dire che tutti dovrebbero vedere Breaking Bad nella vita. È importante. 

Grazie Matteo per il confronto. Approfondirò le letture consigliate, mi sembrano essenziali per comprendere meglio il momento in cui ci troviamo.

Alla prossima intervista

Giada’s project

logo università telematica Niccolò Cusano

Pro e contro di frequentare un’Università telematica

Università telematiche. Sul loro conto se ne sono dette – e se ne diranno ancora – tante: fasulle, valide, riconosciute dal Miur, comode per chi lavora, non allo stesso livello delle altre università, sopravvalutate, sottovalutate…

Se stai valutando l’idea di studiare o ricominciare a studiare e, tra le varie opzioni, stai prendendo in considerazione anche le università telematiche, ti posso raccontare la mia storia, sperando ti possa essere di aiuto o quantomeno di spunto.

Perché ho scelto un’università telematica

Da tempo volevo fare un master in ambito marketing, comunicazione e management, ma lavorando a tempo pieno e nemmeno tanto vicina a casa, conciliare gli orari e gli impegni con lo studio diventava difficoltoso. Ho fatto diverse ricerche, trovato master molto interessanti, ma, sebbene vi fosse in alcuni la famosa formula weekend, anche il giovedì e/o venerdì venivano considerati come giorni di lezione ed era necessario essere presenti. Trovandomi però in quelle giornate in ufficio e senza dono dell’ubiquità, ho desistito. Altri erano molto, molto interessanti, ma o troppo costosi oppure full time e abbandonare il lavoro – sebbene voglia cambiarlo e crescere, ma mi aiuta a fare esperienza oltre ad avere delle entrate – per studiare a tempo pieno, non se ne parlava.

Così, continuando con i miei approfondimenti, sono arrivata a scegliere un’università telematica. Nello specifico l’università degli studi Niccolò Cusano, sia per l’offerta formativa, che per il suo ranking e per l’essere riconosciuta dal Miur (qui trovi la lista), le sue modalità di accesso e per il prezzo (che non fa mai male).

Master in Luxury Brand Management Università Niccolò

Ho scelto questo master perché era il connubio migliore e più attuabile. Una bella proposta formativa con un buon mix di comunicazione, brand marketing, brand project, comunicazione di impresa, e sfera economica.

Ho potuto approfondire tematiche come il made in Italy, event management, creatività a più livelli, gestione di un brand, comunicazione integrata…

logo università telematica Niccolò Cusano

Attualmente sono alle fasi finali, in attesa della pubblicazione dell’appello dove poter discutere la mia tesi.

Leggermente OT, la mia tesi tratta gli eventi come strumenti di marketing e comunicazione, capaci di emozionare e far vivere esperienze uniche. In aggiunta? Un caso studio sulla famosa azienda di distillatori friulana, la Nonino. (Se ti va di leggerla fammelo sapere nei commenti e te la giro non appena termino il master)

Pro di una università telematica

Scegliere di studiare appoggiandosi ad un’università telematica può essere molto positivo per i seguenti punti:

  • orari flessibili
  • lezioni frequentabili ovunque e a qualunque ora
  • massima autonomia
  • ottimo compromesso tra la vita lavorativa, personale e formativa

Comoda, accessibile, personalizzabile e gestibile. Se hai problemi di tempo e spazio l’università telematica è la scelta ideale.

Contro di una università telematica

Optare per un’università telematica a scapito di una più ‘tradizionale’ ha però anche dei lati negativi. Flessibilità ed elasticità vedono dall’altro lato della medaglia un’elevata dove di autonomia e un percorso più solitario.

Qualche esempio?

  • ridotto contatto con i professori e compagni d’aula
  • minori possibilità di scambio e condivisione
  • ridotto rapporto diretto
  • vita di ateneo molto limitata

Il tutto diventa quasi solo virtuale. Se sei una persona che ama lo scambio diretto, i rapporti interpersonali, conoscere nuove persone e il senso di comunità, ti troverai un pò soletto.

Hai frequentato anche tu un’università telematica? Parliamone nei commenti.