Andrea Bez, Account Delivery Executive Microsoft per Giada's Project

Digital transformation e HR Analytics – Intervista a Andrea Bez, Account Delivery Executive di Microsoft

Giada’s Project è un progetto divulgativo con l’obiettivo di raccontare le HR e il mondo del lavoro a 360°, andando a toccare tutti i settori e professionisti collegati e correlati. Impossibile allora non parlare di digital transformation, analytics e innovazione. Impossibile non farlo proprio con chi opera in questo ambito, Andrea Bez, Account Delivery Executive di Microsoft.

Ciao Andrea, piacere di ritrovarti! Per chi non ha ancora avuto modo di conoscerti, ci racconti qualcosa in più su di te?

Ciao Giada, piacere mio. Ho iniziato il mio percorso umano e professionale a Udine – è qui, ai confini dell’impero, che mi sono interessato alle tematiche della trasformazione digitale. Durante gli anni della laurea in Economia, argomenti come cloud e Industry 4.0 stavano creando grandi auspici, e ho deciso di buttarmici a capofitto. Prima con ruoli di crescente responsabilità commerciale presso beanTech, un system integrator locale, e poi nell’ambito della delivery di grandi progetti trasformativi in Microsoft.

In un tweet, dopo diversi anni in questo settore mi definirei un sentimentale dell’innovazione (appassionato a un quadro tecnologico in continua evoluzione), ma profondamente ancorato al business (senza, quindi, perdere mai di vista i risultati).

Andrea Bez, Account Delivery Executive Microsoft per Giada's Project
Andrea Bez, Account Delivery Executive Microsoft per Giada’s Project

Ti definisci un sostenitore della trasformazione digitale. Dove pensi si arriverà in futuro? Quali sono gli aspetti che ti stimolano di più e quali, se ce ne sono, quelli che ti spaventano?

La trasformazione digitale è diventata una leva chiave della competitività aziendale. Oggi si parla di cloud con decisori apicali e C-Level. Non penso di esagerare, quando affermo che è sempre di più il “dato” ad essere il punto focale del business, dal supporto alle decisioni, al lancio e valutazione di un prodotto o di un servizio.

Il futuro in un certo senso è già qua: si guarda con entusiasmo ed aspettativa, per esempio, al metaverso – l’idea di un’interazione “seamless” tra mondo reale e virtuale mi affascina molto. Evoluzioni impressionanti sono avvenute nel campo dell’intelligenza artificiale, e l’aspetto entusiasmante è che questi strumenti sono sempre più alla portata di utenti con un’estrazione non necessariamente informatica, quelli che chiamiamo “citizen developer”.

Sono ottimista sull’impatto positivo che potrà avere la trasformazione digitale sull’ambiente – la mia personale scommessa è che le tematiche inerenti la sostenibilità diventeranno prioritarie nella crescente complessità del nostro ecosistema.

Guardo con una certa apprensione al fenomeno che viene talora definito come “digital dark age” – in un mondo in cui l’informazione è liquida e sovrabbondante, il rischio è che nel tempo parti di essa diventino “scarse” per ragioni che spaziano dall’obsolescenza dei supporti fisici al rumore di fondo.

Parlando sempre di digital transformation, quali sono i problemi più frequenti che ti trovi o ti sei trovato ad affrontare?

Parto dal presupposto che la definizione di problema è un po’ vaga – ti propongo piuttosto il concetto di rischio, positivo (opportunità pertanto da cogliere) o negativo (da mitigare).

Gli aspetti cruciali, e spesso ignorati, che espongono al rischio di insuccesso nella trasformazione digitale sono a mio avviso primariamente culturali e organizzativi. Spesso si soprassiede su tematiche come la gestione del cambiamento, che spazia dall’adozione degli strumenti ad una piena comprensione dello skill gap impattante le risorse umane. Banalmente, non tutte le strutture organizzative hanno la capacità di affrontare progettualità complesse, che hanno connotazioni primariamente di processo, oltre che tecnologiche.

D’altra parte, ho vissuto in prima persona occasioni nelle quali la trasformazione digitale è stata il volano per una radicale rivoluzione del modello di business: per esempio, nell’ottica della servitizzazione, nel comparto manifatturiero.

A tuo parere che legami ci sono e che sinergie possono nascere tra digitale, IT e HR?

Il mondo delle risorse umano è permeato dal digitale. Il nostro CV potrebbe essere stato esaminato in fase di pre-screening proprio da un’intelligenza artificiale! Al netto di esempi come questo, vedo due aspetti fondamentali di interazione e reciproco arricchimento tra questi ambiti.

Il primo, è l’impatto positivo che porterà, e sta già portando, il digitale nella semplificazione dei processi e nell’interoperabilità dei sistemi legacy in ambito HR.

Il secondo, è il dovere, da parte dei moderni HR manager, di guardare con crescente attenzione a un mondo del lavoro che sta cambiando radicalmente. Da un lato, bisognerà ovviare a uno skill gap obiettivamente preoccupante, dove parte della forza lavoro rischia di essere spiazzata dalla crescente domanda di competenze informatiche. Dall’altro, le aziende dovranno essere in grado di trattenere adeguatamente i talenti in un mercato del lavoro più dinamico, e orientato a paradigmi di lavoro flessibile.

Hai fatto anche il docente all’Università degli Studi di Udine dove hai parlato di HR Analytics. Com’è stato tornare nella propria università, seduto dall’altro lato della cattedra?

Va detto che dietro la cattedra sono rimasto seduto davvero poco, tendo a camminare molto quando parlo… sciocchezze a parte, è stata un’esperienza molto stimolante.

Mi ha fatto piacere interagire con studenti interessati a una tematica tutto sommato non banale per dei non addetti ai lavori. Il confronto con esperienze professionali diverse è a mio avviso una grande opportunità da cogliere durante un percorso formativo.

Qualora anche un paio dei partecipanti al corso si fossero incuriositi all’argomento analytics, lo riterrei un successo!

C’è una persona che è stata la tua fonte di ispirazione lungo tutta la tua carriera?

Non vorrei darti una risposta stucchevole, viviamo in un mondo che soffre l’ansia continua della ricerca del modello, dell’ispirazione… a mio avviso come esseri umani abbiamo semplicemente il dovere di sentirci studenti tutta la vita. Sta al singolo cercare con la giusta umiltà mentori in ogni fase del proprio percorso, e non è necessario scomodare i grandi capitani d’azienda o personaggi del passato: può essere un imprenditore, un manager-coach, o una collega intraprendente e in gamba.

Enzo Passaro, Trainer, Skills Developer e Speaker per Giada's Project

Public speaking, emozioni e HR – Intervista a Enzo Passaro

Enzo Passaro, formatore, esperto di public speaking e neurolinguistica, acceleratore di competenze relazionali e autore di ‘Easy Public Speaking’.

Buongiorno Enzo, ti ringrazio davvero molto per la tua disponibilità. Apprezzo molto i tuoi contenuti ricchi di qualità e mai scontati. Per chi non ti conoscesse, ti chiedo di raccontarci qualcosa in più su di te e sul tuo percorso professionale.

Buongiorno Giada e buongiorno al tuo pubblico! In aula mi piace presentarmi così: sono un docente e mi occupo in particolare dello sviluppo delle competenze delle persone attraverso gli strumenti essenziali della Neuro Linguistica che declino, in particolare, nell’efficientamento dei sistemi di relazione interpersonale e nella conduzione e moderazione di eventi. Più di recente ho sviluppato una notevole passione per la Neuro Leadership, arrivando ad essere uno degli undici trainer in Italia ad aver frequentato l’unico percorso formativo a tema organizzato da INNEL®, l’Istituto Nazionale di Neuro Leadership.

Enzo Passaro, Trainer, Skills Developer e Speaker per Giada's Project
Enzo Passaro, Trainer, Skills Developer e Speaker per Giada’s Project

Ti descrivi con una definizione bellissima ‘artigiano della parola’. Da dove proviene questa espressione?

Proviene da un mio mentore, una persona che mi ha insegnato molto quando ero poco più che un apprendista in questo campo. Apprezzava molto la mia prontezza linguistica, la mia capacità di elaborare testi scritti o a voce in maniera molto rapida e coerente con il contesto o la richiesta. Era un uomo minuto, che amava il basso profilo, uno di quelli che si era fatto da solo: con una quinta elementare era arrivato ad essere HR Manager di una multinazionale da 13.000 dipendenti! Un giorno mi disse proprio così:

«Enzo, tu sei un artigiano della parola»

e da allora lo porto con me per il senso del “fare” che avvolge.

Dove hai scoperto l’amore per il public speaking e la neurolinguistica?

Parlo in pubblico, come racconto anche nel mio libro “Easy Public Speaking” edito da Zandegù, da quando il parroco dell’oratorio che frequentavo da piccolo mi affibbiò, letteralmente, il microfono e mi intimò di condurre la tombola natalizia che organizzava per i genitori e i nonni di noi ragazzi. Rimasi allo stesso tempo spaventato e affascinato da quella situazione che le circostanze mi hanno permesso di rivivere e riscoprire fino a quando ho deciso di frequentare corsi specifici. Tra questi, e non poteva essere altrimenti quando si ha a che fare con questa materia, ne ho seguiti parecchi sulla Programmazione Neurolinguistica e sull’applicazione dei linguaggi nei diversi contesti e attraverso i vari mezzi di cui disponiamo. È stata proprio l’acquisizione delle cosiddette competenze trasversali, le soft skills, a stimolare la svolta professionale verso la formazione e quindi, inevitabilmente direi, verso il mondo complesso ed affascinante delle Risorse Umane.

Parlare in pubblico crea spesso qualche preoccupazione. Cosa serve per acquisire maggior sicurezza e consapevolezza?

Serve innanzitutto uscire dal falso messaggio secondo il quale sia possibile gestire le emozioni, ansia e preoccupazioni comprese. Le emozioni, infatti, precedono dal punto di vista neurale qualsiasi approccio logico tentiamo di applicare. Inoltre, le stesse emozioni rappresentano il nostro vero “sé” la nostra natura, ed è quindi controindicato rinnegarla, magari fingendosi qualcun altro o qualcos’altro. Piuttosto, suggerisco ai miei corsisti di rivelare come si sentono e cosa provano in apertura di un discorso per liberare la tensione che avvertono e darle così una forma più empatica che le persone in platea accolgono con favore proprio perché, a parti invertite, avvertirebbero le medesime sensazioni! Più in generale, teniamo bene a mente che si tratta di un’esperienza già fatta chissà quante volte da piccoli, a scuola, in famiglia o tra amici.

Che ruolo hanno le emozioni in una interazione?

Le emozioni sono il sale di qualsiasi interazione. Dal punto di vista semantico le parole “emozione” e “motivo” hanno la stessa base: si parla di qualcosa che viene da dentro ed esce, naturalmente e spontaneamente, in tutti e tre i livelli della comunicazione umana. Il nostro linguaggio del corpo, la nostra voce e le nostre parole sono lo specchio fedele di ciò che stiamo provando, del “cosa” stiamo dicendo alla persona davanti a noi e di ciò che le arriva per primo, ovvero il “come”. Un buon livello di consapevolezza emotiva, che chiunque può allenare o approfondire, è la premessa indispensabile per avere interazioni efficaci, in grado di portare beneficio ai diversi attori sul palco e di conseguenza all’intera organizzazione.

A tuo avviso come si coniugano la neurolinguistica e il public speaking con le Risorse Umane?

Per rispondere alla tua domanda, basterebbe pensare alle riunioni interne in cui siamo chiamati a presentare un progetto o quando dobbiamo negoziare con altre figure un accordo, una soluzione o un possibile compromesso. In questi casi e in tutte le interazioni possibili entrano in gioco abilità relazionali come l’ascolto attivo, le domande aperte e chiuse, i feedback di qualità, l’utilizzo di parole assertive che sostituiscano tutti quei vizi verbali che ci portiamo dietro come un fardello, la calibrazione e il modellamento dei linguaggi nel rispetto della personalità propria e altrui, i toni di voce empatici, una prossemica adeguata, la lettura del linguaggio non verbale di chi abbiamo di fronte e la gestione corretta del nostro.

Chi si occupa di Risorse Umane è in una condizione di costante scambio perché riceve tantissime informazioni e richieste che deve rielaborare costantemente in funzione della specificità della persona o delle persone con cui si confronta. Inoltre, ha una molteplicità di livelli di interazione visto che il ruolo fa da trait d’union tra posizioni apicali e secondarie, tra manager e i più svariati livelli gerarchici. Diventa quindi indispensabili possedere quell’ampiezza espressiva, quella cassetta degli attrezzi relazionale dalla quale prendere la chiave di interpretazione corretta di ciò che arriva e di ciò che più funzionale restituire. Questo può accadere sia in dinamiche one-to-one e sia in una riunione. In questo secondo caso è auspicabile avere competenze retoriche adeguate a farsi comprendere, apprezzare e, perché no? seguire visto che alla figura di speaker associamo istintivamente quella di leader in una dinamica che ha radici etologiche prima ancora che antropologiche.

Sei co-fondatore di Speaker Social Club, un gruppo Facebook dove poter migliorare le proprie competenze nel public speaking. Da dove nasce l’idea? Chi può accedervi?

Un gruppo Facebook che in realtà nasce su… LinkedIn! Eh sì, perché il bello di LinkedIn, se vi si approccia correttamente e lo si frequenta nell’ottica della divulgazione e dello scambio di contenuti di valore, è la quasi matematica certezza di intercettare professionalità e occasioni che altrove non troveremmo. A me è capitato: un giorno Antonella Brogi, quella che sarebbe diventata nel breve volgere di qualche settimana la mia #partnerincrime, mi manda un messaggio nel bel mezzo della piena pandemia, ci vediamo in una delle tantissime call che abbiamo fatto all’epoca e partiamo con il progetto Speaker Social Club. In pochi mesi abbiamo prima creato uno spazio dove imparare a parlare con e per il pubblico grazie innanzitutto a un test che permette di comprendere subito quale dei tre percorsi disponibili è il più adatto alle proprie esigenze; poi abbiamo accolto e stiamo accogliendo le curiosità, i video e le richieste di chi ha chiesto e ci chiede di entrare nel gruppo Facebook, un gruppo esclusivo e non escludente come ci piace definirlo, facendone semplicemente richiesta; inoltre, aperto un profilo Instagram dove carichiamo contenuti brevi sì, ma di facile ed immediata applicazione; infine, non poteva essere altrimenti, siamo tornati dove tutto era partito, su LinkedIn, con un profilo in cui divulghiamo contenuti più articolati e anche più sfidanti. Il tutto, ovviamente, rigorosamente targato e in stile Speaker Social Club!

Quali sono gli aspetti dell’essere un formatore che ti motivano maggiormente?

C’è un aspetto, oserei dire l’aspetto per antonomasia: la Persona (e la maiuscola non è un errore di battitura!). Tutte le volte che entro in un’aula scolastica o aziendale, infatti, il mio obiettivo è uno: migliorare l’autoconsapevolezza degli individui e delle organizzazioni partendo proprio dalla Persona, dalle sue esigenze e dal suo desiderio di miglioramento. Senza la Persona non c’è prodotto o strategia che tenga e senza miglioramento dell’individuo non c’è miglioramento sistemico del gruppo, piccolo o grande che sia.

Un libro da leggere almeno una volta nella vita.

Accidenti, solo uno? Va bene! Allora, suggerisco un grande classico che forse abbiamo letto da piccoli, ma che letto da adulti ci dà tutta un’altra visione della vita e del mondo: Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry. Un libro, peraltro, lungo il quale l’autore dissemina perle di neurolinguistica che ancora oggi mi chiedo se conoscesse o meno!

Iara Cantarutti, HR Manager Ergon Group per Giada's Project

Cosa significa essere HR Manager oggi? -Intervista a Iara Cantarutti, HR Manager di Ergon Group

Ciao Iara, bentrovata e grazie per la tua disponibilità. Vista la tua lunga ed importante esperienza nel settore delle risorse umane, mi piacerebbe sapere cosa ti ha spinta ad avvicinarti a questo ambito fino a diventare HR Manager.

Ciao Giada, per me è un onore essere una delle tue testimonial del nuovo blog incentrato sulle risorse umane, grazie per il coinvolgimento! Complimenti per l’iniziativa, è importante dar voce a questo pezzo di mondo (quello HR) che spesso ancora non viene valorizzato come invece si dovrebbe. Inizio a rispondere alla tua intervista tuffandomi nel passato per riemergere nel presente!

Quando e perché è scattata la scintilla? Al terzo anno di università per caso (oggi aggiungo anche “per mia fortuna “!). Nella lunga lista degli esami facoltativi individuo quello di diritto del lavoro, mi dico “sarà noioso da paura ma proviamoci, può sempre tornare utile avere una base giuslavorista quando prima o poi entrerò nel mondo del lavoro”, lo frequento tutt’un fiato e mi si illumina la strada verso il futuro. Finalmente avevo capito quale volevo fosse la mia dimensione lavorativa: le Risorse Umane! Il mondo del lavoro stava attraversando un momento di passaggio e la figura dell’HR come la intendiamo oggi era ancora un miraggio.

Dopo tre anni di lavori precari e di fatto “tampone” perché, seppur formativi, non rispecchiavano esatta il mio sogno, sono finalmente approdata in Agenzia per il Lavoro. Non mi poteva capitare occasione migliore per costruirmi una panoramica HR più completa e complessa di questa. Ovviamente grazie Maw per avermi dato la fiducia (la mia esperienza era zero assoluto) e l’opportunità di lavorare imparando ed aggiungo pure divertendomi!

Dopo oltre 11 anni presso un’agenzia per il lavoro, MAW, sei diventata HR Manager di Ergon Group. Com’è stato il passaggio? Quali sono state le grandi differenze, ma anche le similitudini che hai riscontrato?

Ad inizio 2022 ho sentito dentro di me una forte necessità di costruirmi una specializzazione attraverso un percorso crescita professionale orientato al mondo Azienda. Non è stato semplice maturare questa consapevolezza perché significava tagliare il cordone ombelicale con Maw e soprattutto allontanarmi dalle persone facenti parte dei Team che gestivo, che negli anni avevo selezionato, fatto crescere e creato con loro una famiglia lavorativa. Elaborato questo stato d’animo, a febbraio mi sono candidata all’annuncio di Ergon Group, inizialmente senza farmi molte illusioni in quanto il mio profilo era molto carente delle competenze tecniche richieste. Subito invece vengo contattata e dopo due lunghissimi mesi di selezione, a cui mi sono aggrappata con tutta me stessa perché fin dal primo colloquio avevo sposato vision, mission e valori di Ergon, sono finalmente entrata a far parte di questa nuova famiglia. Nella ricerca di una nuova opportunità lavorativa per me era fondamentale condividere questi tre principi cardine poiché considero il lavoro parte integrante della mia vita, nella mia azienda devo potermi sentire me stessa, esprimere i miei principi, sentirmi parte integrante dell’organizzazione e sposarne il pensiero che sta alla base del vivere quotidiano.

Iara Cantarutti, HR Manager Ergon Group per Giada's Project
Iara Cantarutti, HR Manager Ergon Group per Giada’s Project

Differenze tra le due esperienze? Ce ne sono eccome! E sono quelle che mi regalano tantissimi stimoli. Intendo: organizzazione chiara (esiste un organigramma dettagliato!! Scusa Giada l’entusiasmo ma ho imparato da pochi mesi a non dare nulla per scontato, nemmeno l’ABC!), job title coerenti con livelli e responsabilità, mansionari, procedure aziendali rilasciate dall’organo preposto della qualità, sono alcuni esempi. Se vogliamo parlare del mio ruolo, ricoprendo la funzione di HR la mia mission è mettermi a disposizione dei colleghi occupandomi (e preoccupandomi) della loro felicità lavorativa. Potrebbe sembrare banale?? Fidati che non lo è, per nulla, perché significa intraprendere ogni giorno azioni, non sempre facili, e prendere decisioni delicate ma necessarie per rispondere a tutte le loro necessità. Quindi fammi dire che fa la differenza che ci sia o non ci sia questa funzione in azienda! Soprattutto in una azienda di medie dimensioni.

Purtroppo, nella mia esperienza precedente l’assenza di questo ruolo e la mancanza di un piano strategico HR li ho sofferti parecchio. Traggo la conclusione che non è né la dimensione né il fatturato di una azienda che rende più appetibile una esperienza lavorativa rispetto ad un’altra, soprattutto nel contesto storico attuale. Le persone oggigiorno pesano maggiormente il coinvolgimento nelle scelte aziendali, l’ascolto da parte della Direzione, la chiarezza di ruolo, e non in ultimo un percorso di crescita trasparente e coerente con le proprie aspettative.

Similitudini riscontrate fra le due realtà francamente poche poiché riflettono logiche e culture molto diverse.

A tuo parere, quali sono le caratteristiche essenziali che un HR manager deve avere?

Ho intrapreso da poco questa nuova esperienza in questo ruolo quindi non posso considerarmi un guru! Ma avendo conosciuto tantissimi HR manager in questi ultimi 12 anni sicuramente posso affermare che alla base deve esserci una forte capacità di visione d’insieme. Mi spiego: l’HR manager deve avere piena cognizione e padronanza del business aziendale poiché è questo che successivamente guida le scelte anche in ambito HR.

Se parliamo di soft skills, sicuramente è importante un buon mix di ascolto e mediazione, oltre che una spiccata dote di sensibilità nel captare quotidianamente gli stati d’animo dei componenti dell’organizzazione al fine di trovare un buon compromesso tra obiettivi individuali e obiettivi aziendali. Gli imprenditori se vogliono aver realmente successo devono cedere di fronte all’evidenza che l’HR manager è una funzione di staff essenziale e strategica. Ed anche “chi” la ricopre fa la differenza, la passione per questo mestiere è l’ingrediente principale. Ricordiamoci inoltre che la partita si vince o si perde in funzione delle spiccate capacità dei singoli componenti della squadra ma anche della bravura dell’allenatore nel compiere le scelte giuste!

Hai un mantra o una frase che guida il tuo lavoro e le tue giornate?

Mi piace ricordare questa citazione di H. Ford:

𝒫𝓊𝑜𝒾 𝒻𝒶𝓇𝑒 𝓆𝓊𝒶𝓁𝓈𝒾𝒶𝓈𝒾 𝒸𝑜𝓈𝒶 𝓈𝑒 𝒽𝒶𝒾 𝑒𝓃𝓉𝓊𝓈𝒾𝒶𝓈𝓂𝑜. ℒ’𝑒𝓃𝓉𝓊𝓈𝒾𝒶𝓈𝓂𝑜 𝑒̀ 𝒾𝓁 𝓁𝒾𝑒𝓋𝒾𝓉𝑜 𝒸𝒽𝑒 𝓅𝑒𝓇𝓂𝑒𝓉𝓉𝑒 𝒶𝓁𝓁𝑒 𝓉𝓊𝑒 𝓈𝓅𝑒𝓇𝒶𝓃𝓏𝑒 𝒹𝒾 𝑒𝓁𝑒𝓋𝒶𝓇𝓈𝒾 𝒻𝒾𝓃𝑜 𝒶𝓁𝓁𝑒 𝓈𝓉𝑒𝓁𝓁𝑒. 𝒞𝑜𝓃 𝑒𝓈𝓈𝑜, 𝒸𝒾 𝓈𝑜𝓃𝑜 𝓁𝑒 𝓇𝑒𝒶𝓁𝒾𝓏𝓏𝒶𝓏𝒾𝑜𝓃𝒾. 𝒮𝑒𝓃𝓏𝒶 𝒹𝒾 𝑒𝓈𝓈𝑜 𝒸𝒾 𝓈𝑜𝓃𝑜 𝓈𝑜𝓁𝑜 𝒶𝓁𝒾𝒷𝒾.” 

Quali sono gli aspetti più positivi del ruolo di HR manager? Quali invece quelli più complessi?

L’aspetto estremamente positivo in primis è il contatto diretto con la Direzione, questo permette all’HR manager di essere parte attiva ed integrante di tutti i processi aziendali, di avere un confronto immediato con la Direzione che ha come diretta conseguenza l’eliminazione del rischio di incagliarsi nei passaggi di mezzo, di poter essere artefice del cambiamento e dell’evoluzione dell’azienda, di portare l’azienda a crescere in termini di fatturato attraverso le competenze delle proprie persone.

Le complessità del ruolo di HR manager derivano spesso dal fatto che nasce come funzione collante fra i diversi stakeholder dell’organizzazione, e come tale deve garantire un bilanciamento perfetto fra le scelte della Direzione e le necessità dei singoli componenti attraverso un ascolto molto attento di tutte le voci a garanzia di un beneficio ad ognuno di essi.

Cosa consiglieresti ad una persona che vorrebbe approcciarsi al mondo delle risorse umane?

Quando in Maw sostenevo i colloqui di selezione dei miei futuri collaboratori trasferivo loro sempre un messaggio ben preciso: questo lavoro non è adatto a tutti, come si è soliti pensare. Sembra così semplice dall’esterno! L’HR riceve CV, li legge, convoca i candidati e li valuta a colloquio, li assume. Passaggi che può fare chiunque, si è portati a pensare! Non è assolutamente così.

Ad oggi ancora non c’è una vera e propria Laurea in HR, ci sono lauree umanistiche affini che possono fungere da base. Quindi le competenze specifiche del ruolo si possono acquisire sul campo (come è successo a me) oppure attraverso successivi Master in ambito HR. Ma ciò che realmente fa la differenza tra un bravo HR ed uno che lo prende come un lavoro qualunque è la grande passione per questo magico mondo! Quindi consiglio sicuramente, se c’è anche mezza propensione, di provarci, con la consapevolezza che in itinere ci si può rendere conto che sarà il lavoro della vita oppure (senza colpevolizzarsi) che sarà meglio intraprendere un’altra strada e di certo non casca il mondo.

Lavorare nel mondo HR è una vocazione e come tale prevede una dedizione 100% in termini di energie profuse verso il prossimo, anche oltre il canonico orario lavorativo.

Si parla spesso di social recruiting. Qual è la tua esperienza con i social e quali secondo te sono i migliori in questo momento?

Non mi sento molto confidente con il mondo social, mi definisco infatti una boomer per utilizzare un termine contemporaneo! Però mi sento di sponsorizzare LinkedIn come veicolo per reclutare candidature interessanti (tra l’altro l’esperienza personale ne conferma l’efficacia in quanto mi ha aiutata a trovare questa opportunità in Ergon Group). Spero che il buon senso di ognuno di noi ci aiuti a non traghettare questo social verso la decadenza… abusandone e riducendolo a vetrina per tematiche non inerenti al mondo del lavoro.

Grazie di cuore Giada per avermi dato l’opportunità di condividere la mia esperienza e spero di aver regalato emozioni positive ed ispirazione a chiunque sia in questo momento in procinto di intraprendere un percorso nelle Risorse Umane!

Grazie a te Iara, penso tu l’abbia fatto.

Alla prossima intervista di Giada’s Project.

Angelo Rillo aka Il Candidato Ideale per Giada's Project - Interviste agli esperti delle HR e non solo

Tutta la scomoda verità sul mondo del lavoro – Intervista a Angelo (Il Candidato Ideale) Rillo

Ciao Angelo (il Candidato Ideale). Grazie per la tua disponibilità. Ti confesso che godi di tutta la mia stima e che ti seguo da tempo, ancor prima di diventare HR (e comunque ti seguo lo stesso 😊 cercando di fare tesoro dei tuoi insegnamenti e, nel mio piccolo, di essere un HR migliore di alcuni con cui ho avuto a che fare in passato). Ci racconti qualcosa in più su di te?

Ciao Giada prima di tutto ti ringrazio per avermi contattato. È sempre un piacere confrontarmi con una professionista delle risorse umane!

Devo raccontarti qualcosa in più di me?

Guarda in realtà sono un ragazzo normalissimo 😀 nonostante sia riuscito a creare un piccolo alone di mistero intorno al personaggio “Il Candidato Ideale”, la verità è che sono il tipico ragazzo del sud Italia. Ho lasciato casa a 19 anni per fare l’università al nord, mi sono laureato in e poi ho dovuto affrontare il mondo del lavoro come tutti.

Non è stato affatto facile, ma in fondo lo è per qualcuno?

Al momento, curo la comunicazione per una società di consulenza e nei ritagli di tempo porto avanti il mio piccolo progetto “Il Candidato Ideale”.

Angelo Rillo aka Il Candidato Ideale per Giada's Project - Interviste agli esperti delle HR e non solo
Angelo Rillo aka Il Candidato Ideale per Giada’s Project – Interviste agli esperti delle HR e non solo

Da dove è nato l’interesse per il copywriting e per la creazione di contenuti?

Bella domanda.

Ma devo farti una premessa: ho iniziato a scrivere come soluzione “terapeutica”. Ho avuto un momento che potremmo definire di “depressione” / “smarrimento” qualche anno fa, ed una terapista mi consigliò di scrivere un diario e di fare degli esercizi di scrittura tutti i giorni. Funzionò. Stavo meglio.

Sapevo che la scrittura era un’arma potente, ma non sapevo come usarla.

Poi durante un master online in digital marketing ho incontrato ufficialmente il “copywriting”. Fu amore a prima vista, volevo saperne sempre di più e mi piaceva tantissimo.

Per quanto riguarda la creazione di contenuti è una cosa che ho sempre fatto. Alle scuole superiori ero il nerd che creava schemi, mappe mentali, riassunti, e tutti volevamo farsi le fotocopie dei miei appunti – ma io ero stronzo e mi facevo sempre offrire la pizza, la bibita e il caffè.

Quindi per farla breve, quando ho scoperto il “copywriting” è stato naturale mettere tutto insieme. Avevo finalmente trovato il “filo rosso”.

Condividi qualcosa che in pochi realmente vogliono dare: la verità. Quanto costa farlo?

Parlare di verità in realtà NON è difficile.

Molti NON lo fanno perché hanno paura delle conseguenze dell’esporsi. E li capisco.

Infatti “Il Candidato Ideale” è nato proprio per questo, per raccontare le verità scomode sul mondo del lavoro che nessuno ha il coraggio di dire.

Nella mia visione iniziare “Il Candidato Ideale” doveva essere semplicemente un MEZZO.

Volevo creare una community dove tutti potessero raccontare il marcio dietro colloqui di lavoro, aziende, etc. per rendere le PERSONE (e soprattutto i neolaureati) più CONSAPEVOLI.

Per fortuna ultimamente c’è molta più consapevolezza rispetto a questi temi, e ci sono tanti divulgatori (HR professionisti) molto più bravi di me che lo fanno quotidianamente.

Ecco, l’importante è che se ne parli. Sono contento che di dare il mio piccolo contributo alla causa.

Qual è stata la più grande scottatura che ti ha ‘regalato’ il mondo del lavoro?

La differenza abissale tra “aspettative” e “realtà”.

E in particolare le retribuzioni economiche che il mercato italiano offre.

In Italia gli stipendi sono TROPPO BASSI. Io ero uno di quelli che pensava che “studiando e laureandosi con un bel volto” avrebbe guadagnato “tanto”. Mi sbagliavo 😀

Sto ancora cercando di risolvere questo REBUS! E proprio perché l’argomento SOLDI in Italia è ancora un tabù andrebbe esasperato. Ecco mi hai dato un’idea per i miei prossimi articoli! Parlerò di soldi. Grazie.

Ma il Candidato Ideale (oltre a te) esiste davvero?

Una volta ho letto un post su LinkedIn che mi colpì molto (purtroppo non ricordo l’autore), era una cosa del tipo: “Se il candidato che cercate avesse realmente tutti i requisiti dell’annuncio di lavoro, l’azienda NON se lo potrebbe permettere”.

Il Candidato Ideale NON esiste, e soprattutto NON serve.

Servono persone in gamba, curiose, e che vogliano dare un impatto positivo nel mondo. Questo serve oggi.

Di questi tempi il lavoro si trova, si crea o si attrae? Secondo te LinkedIn e affini che ruolo hanno in tutto questo?

Al giorno d’oggi trovare lavoro è diventato più complicato rispetto a prima. Sono cambiate le regole del gioco. La competizione è aumentata. Quando un mercato “evolve” diventa sempre più difficile “emergere” e per farlo è necessario “differenziarsi”. Quindi per rispondere alla tua domanda, si portano avanti tutte e 3 le strategie che hai citato.

  • Il lavoro si trova? Sì, presentandosi alle aziende giuste e con le competenze adatte. Facendo una selezione maniacale delle aziende che ci interessano, ed evitando la pesca a strascico.
  • Il lavoro si crea? Sì, nel modo in cui stai facendo tu ad esempio (hai aperto il tuo blog, la tua pagina IG – guarda che ti ho stalkerata eh – che potrebbero diventare in futuro una fonte di reddito importante). Vedi l’esempio della grande Fabiana Andreani.
  • Il lavoro si attrae? Sì, comunicando la propria professionalità tutti i giorni, conoscendo persone nuove e facendo networking. Nel mondo del lavoro contano le “conoscenze” ed oggi abbiamo gli strumenti per crearcele.

Vanno portate avanti tutte e 3 le strade (anche perché una non esclude l’altra).

Concludo con una nota su LinkedIn.

LinkedIn per ALCUNI SETTORI (comunicazione, marketing, risorse umane, etc.) è la svolta. Credo tantissimo nel valore di questa piattaforma.

Io dal mio studio, GRATUITAMENTE sono riuscito a costruire una rete di contatti importante, a confrontarmi con tanti professionisti, e ad aumentare le mie competenze.

Senza LinkedIn come avrei fatto? Personalmente dubito che esista una soluzione migliore al momento per emergere come professionista.

Da cosa ti lasci ispirare nella creazione dei tuoi contenuti? (non che il mondo e il mercato del lavoro là fuori non siano sufficientemente interessanti).

Ti condivido il consiglio più prezioso di scrittura che ho ricevuto dal mio mentore.

Ritagliati circa 30 minuti al giorno per leggere LIBRI che non riguardano il copywriting. Considera questa attività parte della tua giornata lavorativa”.

Ti contestualizzo questa frase:

Per imparare a scrivere e creare contenuti NON devi leggere e studiare SOLO libri tecnici. Molte persone sono ossessionate dal voler legger tutti i libri sul copywriting prima di iniziare a scrivere, invece NON funziona così.

Tutte le mie idee di contenuti arrivano al di fuori dei libri di copywriting.

In genere, prendo spunto da conversazioni con persone in carne ed ossa (dicasi MONDO REALE) ma non ho un vero metodo strutturato.

Devo dirti la verità, personalmente mi sento molto portato per la creazione di contenuti, sono più le cose che ho in testa che quelle che riesco a scrivere.

Un consiglio BONUS però voglio lasciartelo:

Un esercizio che faccio sempre è quello di analizzare i post di creator in gamba cercando di capire il “perché” dietro i loro contenuti. Perché hanno scritto quel titolo? Perché hanno usato quell’immagine? Che emozione hanno provato a suscitare nel lettore? Quali argomentazioni hanno usato? Etc.

Insomma fare “reverse engineering” dei contenuti di valore degli altri è un buon esercizio.

Oltre al mondo del lavoro italiano, hai avuto modo di sperimentare anche quello di qualche altro paese estero? Se sì, come ti è sembrato?

Ni, e adesso mi spiego.

Ho fatto 2 esperienze lavorative all’estero:

  1. A 25 anni, ho fatto un anno sabbatico (tra triennale e specialistica) come lavapiatti in UK. Questa esperienza non è correlabile con quello che faccio attualmente. Sono settori troppo diversi, ed eravamo pre-Brexit e pre-Covid. Posso dirti però che in UK c’era la paga minima sindacale che garantisce dignità a tutti i lavoratori. E questa cosa mi piaceva un sacco, il cosiddetto SALARIO MINIMO.
  2. A 28 anni invece, ho lavorato in Francia per la mia tesi sperimentale in un centro di ricerca. Anche lì, la cosa che mi colpì molto fu che dal venerdì pomeriggio NON c’era più nessuno nel centro di ricerca (tranne me ovviamente) e che il lavoro era molto focalizzato sul raggiungimento degli obiettivi. Mentre qui in Italia ti contano le ore che lavori, ho detto tutto.

Però ti ripeto, sono state 2 esperienze singole e molto lontane dal mio contesto di lavoro e settore attuale, e non me la sento di darti un’opinione definitiva!

Tuttavia, se si lavorasse PER OBIETTIVI nelle aziende e ci fosse un SALARIO MINIMO GARANTITO credo che avremmo risolto molti dei problemi attuali.

Resta evidente che il mondo del lavoro in Italia sta affrontando un momento di criticità mai vista. È sotto gli occhi di tutti. Spero che le cose cambieranno in futuro.

Nel tempo libero, che cosa fa il Candidato Ideale?

Mi piace molto passeggiare e/o correre nella natura ascoltando podcast, o musica.

Lavorando sempre al PC, mi impongo di fare almeno 1 ora, 2 ore al giorno all’aria aperta.

Ultimamente con la possibilità di lavorare da remoto sto riscoprendo la tranquillità del paesino e della campagna.

Come tutti, sto cercando di lavorare sul mio nuovo equilibrio vita-lavoro perché questi anni sono stati duri per tutti 😀

P.S. E ovviamente nel tempo libero lavoro sul mio progetto “Il Candidato Ideale”.

Grazie dell’intervista Giada, alla prossima! Ci vediamo su LinkedIn 😀

Grazie mille a te Angelo (il Candidato Ideale) per gli spunti interessanti. Se vuoi provare un po’ di aria di campagna e paesini in FVG ce ne sono molti, posso consigliartene qualcuno. Ci vediamo certamente su LinkedIn.

Alla prossima

Giada (‘s Project)

Ilaria Taviani, HRBP e Chief Hapiness Officer per Giada's project

Gentilezza, felicità, libertà e volontariato – Intervista a Ilaria Taviani, HRBP e CHO

Ciao Ilaria, grazie per la tua disponibilità. Raccontaci chi sei, cosa fai attualmente e cosa ti ha spinta ad avvicinarti al mondo delle HR.

Ciao Giada, grazie a te, è un piacere. Sono Ilaria, friulana, ho 30 anni e vivo con i miei cani con cui condivido l’amore per la natura e le lunghe passeggiate. Adesso sono una libera professionista e mi occupo principalmente di recruiting, sto portando avanti il progetto aziendale di una cooperativa agricola e collaboro attivamente in un’associazione di volontariato dove aiuto imprenditori in forte difficoltà economica.

L’approccio al mondo HR è nato in quarta superiore. Una recruiter ha fatto un intervento di orientamento al lavoro in classe e sono stata ispirata dal suo approccio easy e con il focus alla persona. Due anni dopo mi trovavo a dover scegliere cosa fare da grande e così ho iniziato un corso di amministrazione del personale che mi ha aperto le porte del mondo del lavoro.

Ilaria Taviani, HRBP e Chief Hapiness Officer per Giada's project
Ilaria Taviani, HRBP e Chief Hapiness Officer per Giada’s project

Quando ti ho conosciuta, ho apprezzato da subito la tua empatia, solarità e tenacia, aspetti che credo essere fondamentali per chi lavora nelle Risorse Umane. Che altri elementi ritieni essere essenziali per chi opera in questo campo?

Ti ringrazio Giada. Credo che ogni persona porti la sua unicità che emerge quando si sente veramente di poter essere sé stessa in modo autentico nell’ambiente che trova.

Non credo ci sia un mix perfetto di caratteristiche piuttosto una responsabilità e una forte volontà di crescere genuinamente l’altro. Ancora oggi vedo alcuni HR distaccati, formali o ascolto candidati che sulle prime sono diffidenti e iniziano a recitare la parte per essere presi.

Siamo sicuramente in un momento di evoluzione culturale e credo che ora più che mai la nostra responsabilità di HR sia quella di facilitare umanamente la crescita personale per vivere meglio nel team.

Da HR Manager di Friulbräu a HR Business Partner e HR consultant autonoma. Cosa ti ha spinta a questa scelta?

La libertà. Sono da sempre una persona molto dinamica, amo vivere giornate intense e diverse tra loro, amo l’indipendenza e questi due ruoli di oggi sono una fase di transizione per una visione futura di creazione della mia organizzazione.

Credo fortemente nella contaminazione, mi spiego: ogni individuo se resta nel suo territorio conoscerà molto bene il suo posto, ma non riuscirà ad evolvere aggiungendo un pezzo in più che non conosce così come non darà a qualcun altro quel suo pezzo in più.

In questo mondo servono persone che restano, tanto quelle che si muovono è così che può funzionare veramente una crescita. Io faccio parte delle seconde 😊

Detto questo, Friulbrau rimane la mia azienda del cuore, la mia rinascita e un progetto che sta continuando ad andare avanti grazie ad un’altra grande HR perfetta per questa seconda fase.

A tuo avviso che ruolo hanno oggi gentilezza e felicità all’interno di un’azienda/realtà lavorativa?

Fondamentali. Chi vuole essere trattato male e vivere emozioni negative? Potremmo aprire un capitolo di discussione sul come riportiamo in azienda il vissuto dei momenti di apprendimento a scuola. Alla prossima chiacchierata Giada, magari live! 😊

Sei anche volontaria presso Imprenditore Non Sei Solo. Ce ne parli?

Imprenditore Non Sei Solo è una Onlus in cui imprenditori e professionisti aiutano gratuitamente i colleghi. Potrei dirti di quanti concetti manageriali vengono trasferiti nelle classi di formazione, ma il primo obiettivo è proprio quello di aiutare l’imprenditore-persona a risollevarsi come essere umano. I problemi di soldi sono sempre una conseguenza.

Vedo persone trasformarsi, cambiare radicalmente la loro vita o altre che studiando management d’impresa e riescono a rimettere in piedi se stessi, la loro famiglia e l’azienda.

E’ un’organizzazione del bene, un pezzo di mondo sano dove ogni volontario è allineato e abbiamo chiara la nostra missione. E’ divertimento, condivisione, fiducia e amicizia che porta alla crescita di ogni persona che ne fa parte.

Il modello di Imprenditore Non Sei Solo sarà presentato al Parlamento Europeo a settembre e adottato da altri stati europei.

Hai formato ed aiutato a crescere molte persone. Chi è stato il/la tuo/a mentore, se ne hai avuto uno/a?

Ne ho avuti e ne ho tanti. Proprio per il principio della contaminazione e di trasformazione in ogni momento di vita c’è quella persona che ti parla, quell’autore che leggi, quel formatore che ascolti giusto per il tempo in cui ti trovi. Ho una libreria varia, leggo libri di management (S. Sinek e P. Ruggeri i principali), di crescita personale (L. Bourbeau e Krishnananda Amana), alcune biografie e romanzi di viaggi. La formazione e la crescita personale le vedo come una responsabilità individuale prima di aiutare qualcun altro.

Cosa ti motiva maggiormente nello svolgere la tua professione?

Conoscere le persone, le loro storie di vita, aiutarle a vedere la loro parte bella e connetterle ad altre che sono allineate.

Grazie Ilaria per questa carica di gentilezza, felicità e libertà che ci hai dato.

Ci vediamo alla prossima intervista di Giada’s Project.

Se avete qualche nominativo da suggerirmi, fatelo nei commenti 😉 vi aspetto

Matteo Sola HR L&D Leader iliad - Giada's project

Learning & Development, persone e digitale – Intervista a Matteo Sola, HR L&D Leader di iliad

Matteo Sola: HR Learning & Development Leader di iliad, Partner di Kopernicana, società di consulenza in ambito trasformazione organizzativa e new way of working e advisor ed angel nel mondo delle startup HR Tech. Coinvolto nella faculty dell’Università Bicocca di Milano, della 24Ore Business School e contribuisce come expert ai contenuti della community “Radical HR”. In passato ha collaborato con realtà come Newton S.p.A per poi passare a Talent Garden, la più grande piattaforma europea di spazi di coworking per talenti digitali. Un curriculum davvero con i fiocchi!

Matteo Sola HR L&D Leader iliad - Giada's project
Matteo Sola HR L&D Leader iliad – Giada’s project

Buongiorno Matteo, grazie per l’interesse nel progetto e per la disponibilità. Raccontaci un po’ chi sei, da dove sei partito e di cosa ti occupi oggi.

Sono un appassionato di persone e di apprendimento in generale, ma anche di innovazione. Dico sempre che mi occupo del mestiere più bello del mondo: mi impegno ogni giorno per capire come aiutare le persone a crescere e a migliorare il loro lavoro. Come HR nasco formatore d’aula in ambito manageriale e non ho mai smesso di fare attivamente formazione, che fosse fisica o da remoto. A questa ho aggiunto un’esperienza verticale nel mondo digital, anche applicato all’evoluzione delle competenze HR stesse. Il mio percorso è composto da diversi anni in consulenza e da diversi ruoli HR, ma sempre con l’obiettivo di arrivare ad essere quello che sono oggi: responsabile della funzione Learning & Development in azienda. Oggi coordino queste attività per iliad in Italia. 

Dov’è nato l’interesse per le Risorse Umane? Quali sono le aree delle HR che ti appassionano di più?

L’interesse per l’HR nasce dal mio bisogno naturale di studio ed approfondimento continuo. lavorare nell’L&D è prima di tutto una buona scusa per leggere ed aggiornarmi continuamente, per poi scrivere, divulgare contenuti (ultimamente mi sono aperto a diversi progetti editoriali), mettere in pratica le mie ricerche, testare e rimettere insieme questa esperienza in altro sapere da condividere successivamente. Credo realmente che la cultura e l’apertura al nuovo possano “salvare il mondo” e l’ho visto accadere diverse volte in termini di carriera e benessere a lavoro delle persone. Credo che la sfida che più mi appassiona da sempre sia il rinnovamento della funzione HR nel suo complesso, un cambiamento che deve essere utile a metterla al centro delle strategie aziendali per poter fare realmente la differenza per le persone. Più nello specifico, lo sviluppo manageriale, perché cambiare i metodi di gestione delle persone, spesso non adeguati alla complessità del business e del cambiamento generazionale in corso, è tanto importante quanto difficile. Oltre ad L&D, mi piace tutto ciò che una volta si definiva “soft” nel mondo HR: dalla Talent Acquisition alla comunicazione interna, ai più recenti settori del wellbeing e dell’engagement. Tutte attività molto sinergiche con L&D di fatto. 

Cosa consiglieresti a un giovane Matteo appena uscito dall’Università?

Di iscriversi ad un master HR come ho effettivamente fatto. Un’esperienza che consiglio a tutti e che mi ha permesso di aprire questo percorso professionale, a volte complesso e tortuoso ma alla fine, almeno ad oggi, vincente. E di pensare un po’ meno a “dove finirai” perché l’importante è sperimentare e le occasioni arrivano sempre (poi bisogna saperle cogliere). Oggi rifarei quasi tutto quello che ho fatto, passo dopo passo. Però forse gli direi che a volte si può lavorare un po’ meno e avere meno fretta (e su questo devo ancora migliorare parecchio).  

Come hai visto cambiare il mondo delle HR in questi ultimi anni? Secondo te quali saranno i trend del prossimo futuro?

L’ho visto cambiare tanto, in particolare grazie alle nuove generazioni che finalmente stanno svecchiando il contesto, che hanno una visione spesso mancante nei colleghi senior, i quali vengono da un’impostazione di mero “servizio” delle HR in azienda, che personalmente non condivido. Spingono, sono proattivi, si formano molto di più, masticano il digitale, non si accontentano di stare ai margini e fare il compitino. Serve sempre di più questo tipo di atteggiamento se vogliamo far svoltare le nostre organizzazioni. I trend del prossimo futuro sono legati a dosi massicce di digitale, sia come metodi di lavoro che come tecnologia in senso stretto. Ma anche un’attenzione sempre maggiore al benessere delle persone e alla costruzione di ambienti di lavoro e culture organizzative sane. Le nuove generazioni dei lavoratori sembrano aver chiuso agli ambienti “tossici” e al sacrificio fine a sé stesso e legato ad una visione di carriera ormai anacronistica. E penso che sia un bene.  

Cosa significa essere HR Learning & Development Leader di iliad?

Significa provare ogni giorno a capire come supportare le persone e potenziare il business insieme a loro. Questo passa dall’ascolto costante ed in ogni forma disponibile. Dalla progettazione di percorsi formativi ed eventi, processi, strumenti di lavoro e situazioni di incontro che possano portare una ventata di novità in azienda alla loro messa in pratica, che è un continuo test e miglioramento sul campo. E dal continuo chiedersi insieme al management “che azienda vogliamo essere domani?”. Oggi ho la fortuna di farlo con un management illuminato e un team L&D che sta crescendo e che porta avanti una quantità ormai rilevante di iniziative, senza mai accontentarsi.   

Oltre ad iliad, sei anche partner di Kopernicana, Expert del Radical HR Club, docente presso realtà di tutto rilievo come la 24ore Business School e l’Università Bicocca e hai anche scritto un libro, “OKR Performance”. Innanzitutto, complimenti! Com’è essere anche docente ed autore e, se posso chiederti, dove trovi il tempo per seguire tutto questo?

Il tempo è lo stesso per tutti. Ogni giornata è di 24 ore per ognuno di noi. La differenza sta nella sua gestione efficace, nelle priorità che ci diamo e nell’energia che ci mettiamo. Non nascondo di lavorare a tratti troppo e di non risparmiarmi mai, ho la fortuna di essere guidato dalla passione e questo rende tutto più facile, anche il sacrificio in più in tarda serata. Ma come dico sempre, in una battuta, il time management forse è l’unica competenza che dovrei realmente insegnare. 

“Always embracing the unconventional” è il tuo motto. Ce lo spieghi brevemente?

 È una semplice frase utile a ricordarmi che i limiti esistono solo nella nostra testa: il “non si può fare” è parente del “si è sempre fatto così” e di altre favolette che ci raccontiamo troppo spesso. I limiti sono frutto dell’abitudine e delle conoscenze o esperienze immagazzinate in passato, che rischiano di diventare false certezze. Quello che ci sembra strano e diverso, lontano da noi, invece è la chiave: se abbiamo apertura mentale, è sempre fonte di ispirazione e di possibili novità da sperimentare nel nostro ambito. Questa è per me la radice dell’innovazione. Con questa frase ricordo in primis a me stesso di percorrere sempre nuove strade.  

Una lettura che consiglieresti a chi si vuole avvicinare alle Risorse Umane?

A proposito di letture non convenzionali, consiglio “brave new work” o “corporate rebels”, testi utili, anche per chi non è un tecnico, a capire in modo semplice ed immediato quanto profondamente stiano cambiando le aziende e gli ambienti di lavoro oggi, mettendo in discussione le certezze del passato. 

Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche essenziali che una persona deve avere per operare nelle HR?

Una certa umiltà intellettuale. Apertura e curiosità per il lavoro degli altri. Disponibilità a capire, ma anche decisione e proattività per portare un impatto. Si fa fatica ad imparare l’interesse per gli altri e ad acquisire la passione per le persone e il loro lavoro se non ce l’hai. Tutto il resto si studia e si impara sul campo. 

A cosa ti dedichi nel tempo libero?

Un po’ di sport (troppo poco ultimamente, devo migliorare), tanta musica quando posso dal vivo, videogames e secchiate di cinema e serie televisive. Ci tengo a dire che tutti dovrebbero vedere Breaking Bad nella vita. È importante. 

Grazie Matteo per il confronto. Approfondirò le letture consigliate, mi sembrano essenziali per comprendere meglio il momento in cui ci troviamo.

Alla prossima intervista

Giada’s project

Maria Micoli per Giada's Project

Recruiting 4.0, Orientamento e Instagram – Intervista a Maria Micoli

Ciao Maria, grazie per il tuo tempo che mi hai dedicato in mezzo alle tue tante attività. Raccontaci un po’ chi è Maria Micoli, dai suoi inizi ad oggi.

Se penso agli inizi mi viene in mente il mio 3° anno di Liceo Classico. Avevo scelto il liceo un po’ come accade a tanti: su suggerimento dei professori che ritenevano io fossi portata per le materie umanistiche e che una formazione di questo tipo sarebbe stata più completa. Vero, ma non del tutto perché non amavo materie come il latino e il greco. I primi anni non sono stati per nulla facili ma è proprio durante il terzo anno che queste difficoltà sono diventate una vera e propria crisi esistenziale.

Non mi sentivo nel posto giusto, non avevo voglia di andare a scuola, uscivo di casa al mattino e piuttosto passavo la giornata a casa dei miei nonni, il rapporto con i compagni di classe e gli insegnanti era teso, il mio impegno era pari a 0. E non poteva essere altrimenti visto che ero costretta a studiare qualcosa che non mi piaceva. Molti miei compagni avevano lo stesso problema e preferivano resistere, proseguire, arrivare alla fine per paura soprattutto di parlarne con la propria famiglia.

Le aspettative sono sempre molto alte nei confronti di noi giovani e un dietro-front pensiamo sempre possa deludere gli altri e ci dimentichiamo di quello che vogliamo noi. Per fortuna, invece, io ho deciso di parlarne.

La mia famiglia ha compreso questo mio disagio ed è stata molto accogliente nei confronti di una sofferenza che era diventata, nel frattempo, così evidente da influenzare la mia vita di tutti i giorni.

Di comune accordo, quindi, ho deciso di abbandonare la scuola e prendermi quello che oggi chiamiamo GAP YEAR, un periodo di pausa che però può essere riempito di esperienze e soprattutto di tempo per capire cosa fare davvero della propria vita lavorativa (e non solo). Era quello che mi serviva: tempo. Quello che nessuno ti concede perché viviamo in una società che ci impone di prendere in fretta una decisione che dovrà dar forma alla nostra carriera lavorativa e quindi alla nostra vita.

Ma quanti di noi a quell’età hanno il giusto grado di maturità per poter fare una scelta consapevole? Con il senno di poi, posso dirti che davvero in pochi sanno che direzione prendere e la stessa cosa accade anche dopo il diploma e dopo l’università. Il motivo? In Italia l’orientamento è qualcosa di ancora sconosciuto.

Ma torniamo a noi. Quella pausa era davvero quello di cui avevo bisogno. Sono ripartita da me e dai miei interessi e grazie a questi ho trovato me stessa. Fino a quel momento avevo divorato libri e libri di psicologia. Mi sono quindi iscritta al liceo socio-psico pedagogico e da lì non ho mai più avuto dubbi.

Maria Micoli per Giada's Project

Come ti sei avvicinata al mondo delle risorse umane?

Con la scelta del nuovo liceo avevo ben chiara la mia strada. Terminato, infatti, mi sono iscritta a Scienze e Tecniche Psicologiche dove ho scoperto Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni attraverso alcuni esami. Ho iniziato un approfondimento personale e questo mi ha portato ad individuare le Risorse Umane come la parte più strategica all’interno delle organizzazioni. Da quel momento in poi il mio destino era praticamente già segnato. Avevo deciso che mi sarei specializzata in questo e ne avrei fatto il mio futuro professionale.

Comunichi molto sia su LinkedIn che su Instagram. Quali sono le grandi differenze che riscontri tra le due piattaforme in termini di linguaggio, pubblico, contenuti e quali invece le somiglianze?

Rispetto ad altri social le conversazioni su Linkedin sono più limitate ma è un’ottima piattaforma per creare delle discussioni interessanti per il pubblico in target che scegliamo e, strategicamente, lavorare per ampliare il proprio network.

IG, invece, è diretto e informale. C’è Maria nella sua veste di Recruiter ma anche nella vita di tutti i giorni. Mi racconto ormai apertamente alla mia community attraverso le stories o IGTV portando anche il mio percorso di vita.

Infondo, ho solo una decina di anni in più rispetto al mio pubblico, ho vissuto e superato le stesse difficoltà e incertezze, ancora tutt’ora, e mi piace raccontarlo.

Da dove nasce recruiter.life?

Recruiter Life nasce nell’aprile del 2018. Ero alla mia seconda esperienza lavorativa e con la mia collega senior (diventata poi un’amica) ci divertivamo a riprendere i momenti più belli della nostra recruiter life. Creai una cartella in evidenza sul mio profilo IG personale, chiamandola propri così, e con il tempo ho iniziato a sentire il bisogno di condividere la mia vita da Recruiter con più persone con lo scopo di fare informazione e trovare un punto di contatto tra selezionatori e candidati che non sempre si comprendono. Nel gennaio 2021 tutto questo diventa il mio attuale profilo IG seguito da + 10k followers.

Da quest’anno hai aggiunto un ulteriore tassello alla tua carriera, diventando docente del Master Job Farm. Complimenti! Come sta andando questa esperienza? Quali sono le materie che insegni?

Ti ringrazio tantissimo! Devo dire che quest’anno è stato pieno di soddisfazioni. Attualmente ho un lavoro a tempo pieno da dipendente, sono una libera professionista e ora anche una docente. Allo stato attuale, siamo nella fase di progettazione e definizione del modulo che ho scelto: Social & Digital Recruiting. Non potevo occuparmi di qualcosa di diverso considerando che negli ultimi anni, a livello formativo e professionale, mi sono specializzata in quello che chiamiamo Recruiting 4.0.

Il Marketing e la Comunicazione hanno infatti cambiato il mondo delle risorse umane ed è importante capirne le logiche e gli strumenti che abbiamo a nostra disposizione. Il Master comunque partirà ad ottobre, al rientro dalle vacanze condividerò tutti i dettagli sui miei social.

Cosa ti ha spinta a diventare freelance?

La necessità di dedicarmi ai ragazzi. Come libero professionista, infatti, mi occupo di orientamento e fornisco consulenze personalizzate. Come raccontavo prima, attraverso la mia storia, l’orientamento scolastico e lavorativo è fondamentale ma è qualcosa di ancora poco applicato al nostro sistema scolastico. Di conseguenza, figure come la mia possono essere un punto di riferimento per i giovani che si approcciano al mondo del lavoro o che semplicemente non hanno ancora le idee chiare e, per questo motivo, hanno bisogno di essere guidati. In consulenza io faccio proprio questo: prendo per mano la persona, il suo obiettivo diventa il mio, e lavoriamo insieme per i risultati che abbiamo convenuto insieme.

Inoltre, mi permette di instaurare e seguire altre attività collegate alla formazione su temi legati all’ambito HR oppure su curriculum, ricerca di lavoro, orientamento e carriera.

In tutto quello che fai traspare la passione per il tuo lavoro. Tra i tanti aspetti positivi che può avere, qual è quello che ti affascina e motiva di più?

Lasciare il segno nella vita delle persone. Che sia il ricordo di una selezione o di un percorso di orientamento nel mio lavoro si creano rapporti che durano nel tempo. Sento ancora tutt’ora, ragazzi e ragazze che ho inserito nel mondo del lavoro quando io ho iniziato la mia carriera nelle risorse umane ed è bellissimo vederli crescere, diventare dei professionisti e rimanere, per loro, un punto di riferimento. Questo è il bello del mio lavoro.

Ci racconti qualcosa in più su due dei tuoi progetti: ORIENTIAMOCI e #dallapartedelcandidato?

Orientiamoci è il nome che ho scelto per la mia community di IG. La nostra community è aperta a chi vuole saperne di più sul mondo del lavoro, per chi è confuso e/o disorientato, per chi cerca il suo primo impiego, uno stage curriculare o una tesi in azienda, per chi vuole orientarsi nella variegata offerta formativa di scuole, università e corsi.  Il confronto con me e gli altri della community permette di accedere ad una maggiore conoscenza, consapevolezza e comprensione del mondo del lavoro con un focus sul mondo STEM, DIGITAL, SAP e HR.

#dallapartedelcandidato l’ho ideato, invece, per veicolare in modo chiaro i miei contenuti sui social. In un mondo in cui tutto sembra ruotare contro le nuove generazioni a causa della pandemia, della disoccupazione, delle aspettative e pressioni che il sistema ci impone volevo far capire che c’è qualcuno dalla loro parte. Ed eccomi qui, dalla parte del candidato.

Grazie Maria per aver condiviso con me i tuoi brillanti progetti e per aver approfondito tematiche non scontate come il Recruiting 4.0, l’orientamento e le potenzialità date da Instagram. Tienici aggiornati sugli sviluppi!

Alla prossima.

Giada’s projet

Se invece vi siete persi l’intervista precedente la trovate qui.

Giuseppe Malandrino per Giada's Project

Ironia, empatia e personal branding – Intervista a Giuseppe Malandrino di Diversey

La prima intervista di Giada’s project – Intervisti a professionisti ed esperti delle HR e non solo – ha come protagonista Giuseppe Malandrino, Senior Recruiter – RPO EMEA Diversey.

Giuseppe Malandrino per Giada's Project

Senza dilungarmi troppo, direi di partire e lasciare direttamente la parola a Giuseppe.

1. Ciao Giuseppe, innanzitutto grazie per la disponibilità e complimenti per la tua carriera. Virgin Active, Amazon, Gi Group, fino ad arrivare a Korn Ferry sono solo alcune delle esperienze professionali che hai avuto. Come si suol dire: tanta roba! Ci racconti qualcosa in più sulla tua storia, da dove sei partito, come sei cresciuto e dove sei oggi.

GM: Lette così sembro uno importante – da fuori le cose fanno sempre un altro effetto immagino… Però grazie! Vediamo, sono nato, cresciuto e partito da Bolzano, città che grazie al suo bilinguismo mi ha insegnato la fortuna della diversità ed il rispetto delle regole.

Ho poi girato parecchio: Firenze, Prato, Grosseto, Milano e Torino sono le principali città dove ho vissuto. In qualcuna per studio, altre per sport (ho giocato a calcio a 5 per anni ad un buon livello) altre per lavoro.

Torino per scelta. Ho svolto qui la specialistica in psicologia e me ne sono innamorato. Ricordo ancora quella domenica in cui, ormai stabili a Bolzano con la mia compagna palermitana, abbiamo visto credo un reel su Torino: magone.

Dopo tre anni di sacrifici tra cui due master e un lavoro a Milano siamo riusciti a tornare, mollando tutto per niente di certo – pensa che ho lasciato un lavoro fatto e finito come psicologo (a Bolzano sanità e terzo settore funzionano) per uno stage a Milano a 31 anni! Sono sempre stato uno che se nelle cose ci crede si entusiasma facilmente…3 anni in un monacale a Corsico con la mia compagna a Torino. Non facilissimo.

Ma era il nostro sogno tornare. E adesso siamo qui in tre.

2. Una domanda che faccio sempre: Cosa ti ha spinto ad avvicinarti al mondo delle Risorse Umane?

GM: Un’intuizione della mia compagna: al tempo lavoravo tanto con i ragazzi – comunità, progetti individualizzati, supplenze, sportello psicologico… Ero sempre in tuta.

Un giorno, tornando a casa mi fa: “Giù, non ti vedo felice. A te piace la sartoria napoletana e sei sempre in tuta. Perché non ti fai un master e te ne vai in azienda.” Un’epifania. E detto da lei mi è sembrato possibile…

Diciamo che mi aiuta a scoprirmi ogni giorno.

3. Ti seguo da tempo e penso di non essere l’unica a adorare quel mix di competenza, ironia ed empatia che lasci trasparire. Sei sempre stato così?

GM: Ci credi che mi stupisco sempre quanto ricevo apprezzamenti di questo tipo?

Intanto ti ringrazio; competente sicuramente no; frasi fatte a parte ci sono parti del mio lavoro che letteralmente adoro, come alzare il telefono e parlare con uno sconosciuto, dare un feedback, supportare. Se un’attività ti piace, ti prende, credo sia naturale sviluppare con l’esperienza una certa dose di competenza, ma credimi, ne devo mangiare ancora di pastasciutta!

Ironia ed empatia invece mi sento di dirti che mi hanno accompagnato da sempre, alternati a momenti anche abbastanza bui; Alida (N.d.A. la compagna) dice che faccio come i cavalli: mi dimentico del buono e vivo a pieno il momento no come se fosse sempre (stato) così. Come i cavalli perché mi viene lo sguardo vacuo. Credo che empatia e ironia siamo in qualche modo legate a questo aspetto.

4. Quali sono i must-have di un recruiter a tuo avviso?

GM: Ma sai, per come la vedo io, ogni lavoro va interpretato e soprattutto non puoi esimerti dall’essere la persona che sei, prima del professionista.

Io sono così sempre e la mia personalità si rispecchia nel lavoro. Probabilmente in un contesto altamente competitivo, focalizzato sul fatturato a scapito delle persone risulterei quanto meno inadatto.

Per risponderti: per quanto mi riguarda empatia, trasparenza e affidabilità sono la base; il punto vero però è trovare un contesto dove le tue personali competenze/valori siano non solo apprezzate, ma utili.

Ci sono recruiter con personalità, approcci e valori molto lontani da me che risultano benissimo in altri contesti.

5. Quali sono le più grandi difficoltà che trovi o hai trovato facendo selezioni multilingue? Quali sono invece i pregi di non comunicare solo in italiano?

GM: Banalmente, ci sono volte che qualche concetto ti sfugge, vuoi per la pronuncia, vuoi per la cultura di riferimento. Io chiedo sempre chiarimenti, senza timore di sembrare ignorante: si imparano un sacco di cose! Credo di aver risposto ad entrambe le domande…😅

Ah, sono convinto anche che “switchare” tra più lingue tenga allenato il cervello, anche se ogni tanto sembra di averlo messo dentro il frullatore…

6. Quanto conta avere una presenza online e curare il proprio personal branding sia lato recruiter che candidato?

GM: È la base del marketing: puoi anche essere il candidato migliore del mondo, ma se nessuno sa che esisti…

Ne parlavamo poco fa: io e te non ci siamo mai incontrati, eppure tu sei fatta un’idea abbastanza chiara di me grazie alla mia presenza qui. Oggi il contesto è questo; meglio o peggio non saprei. Io sono dell’idea che in generale è bene essere consapevoli, poi ognuno fa le sue scelte.

7. Che consiglio daresti al te sbarbatello pronto ad iniziare il suo primo lavoro?

GM: Mettici entusiasmo. Troppe volte ho avuto la conferma che fa la differenza…

8. Da cosa e da chi ti lasci ispirare?

GM: Dalla mia compagna- incontrarla è stata la fortuna più grande che abbia mai avuto, dalle passeggiate con la musica nelle cuffiette, dalle persone che osservo per ore seduto su una panchina, dal Valentino e da via Roma, dalla corsa, dalle culture nuove, dal mare, dalle storie.

Grazie Giuseppe per la condivisione. Ci vediamo in rete.  

Alla prossima intervista

Giada(‘s project)